C’è un caso simile a quello di Ilaria Salis, questa volta in Romania. Non riguarda una sola persona, come per la militante antifascista accusata di lesioni aggravate ai danni di due neonazisti a Budapest. Ma due cittadini italiani, Filippo Mosca e Luca Cammalleri (e non Camilleri, come riportato inizialmente in questo articolo).

Sono stati arrestati a inizio maggio 2023 per droga mentre si trovavano nel paese per un festival musicale e da ormai nove mesi vivono l’incubo delle carceri romene, le più sovraffollate d’Europa e condannate più volte dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu). «Abbiamo passato settimane intere in mezzo ai topi e ai loro escrementi. Ora ci hanno spostato ma siamo in 24 in una cella di 30 metri quadri in condizioni disumane», ci racconta Filippo durante una telefonata dal carcere di Porta Alba, dove è recluso insieme a Luca.

Dopo oltre sette mesi di custodia cautelare per i due ragazzi è arrivata la condanna a otto anni e tre mesi per traffico internazionale e possesso di droga. Nella sentenza ci sono errori temporali e alcune prove sono state raccolte in modo irregolare o sbagliato, assicurano gli avvocati romeni e italiani. Del caso si sta occupando anche l’associazione Nessuno Tocchi Caino ed è stata depositata un’interrogazione parlamentare.

L’arresto

La storia inizia il 29 aprile quando Filippo Mosca, 29 anni, arriva in Romania con la fidanzata Claudia e una coppia e qui si trova con altri amici, tra cui Luca Cammalleri. Partecipano al festival Sunwave e alla vigilia del ritorno una delle ragazze del gruppo chiede di poter indirizzare una spedizione con i suoi effetti personali all’albergo di Filippo e degli altri, visto che era saltata la consegna al suo appartamento. Il pacco, partito da Barcellona quando Filippo ancora si trovava in Sicilia, viene intercettato dalla polizia, che dentro trova 50 grammi di marijuana, 50 di cocaina e 50 di ketamina. I ragazzi presenti in albergo in quel momento, cioè Filippo, Claudia, Luca e la ragazza del pacco vengono arrestati.

«Ci hanno portati in caserma e ci hanno lasciato dentro una stanza videosorvegliata. Io sono stata lì per 10 ore, gli altri di più e non ci era concesso niente, neanche bere e mangiare», denuncia Claudia. Lei sta zitta per tutto il tempo e per questo viene liberata.

Gli altri parlano e quello che si dicono viene usato come prova di colpevolezza prima per trattenerli in carcere in custodia cautelare, poi per condannarli a otto anni e tre mesi nel dicembre scorso. Questo nonostante nessun magistrato avesse autorizzato le intercettazioni ambientali, il che rende le prove illegittime secondo la difesa.

E nonostante la ragazza del pacco sin dall’inizio si sia assunta tutta la responsabilità e abbia scagionato gli altri. Gli avvocati che seguono il caso denunciano anche che le conversazioni ambientali sono state trascritte in modo parziale e con errori di traduzione. Tanto che risulta che Filippo fosse in Romania quando in realtà era ancora in Sicilia, come dimostrano i biglietti aerei.

La detenzione

I primi 28 giorni Filippo e Luca li trascorrono in quarantena. Una cella con un tavolino, dodici letti a castello con materassi strappati, un box con un tubo che cade da sopra il tetto come doccia e sotto un bagno alla turca. Spazzatura lì da chissà quanto e sporcizia ovunque, come fosse un luogo abbandonato.

«La prima mattina ci siamo svegliati per i rumori nelle nostre borse, dove c’erano vestiti e un po’ di cibo. Sono usciti dei ratti, si erano intrufolati e stavano mangiando tutto», racconta Filippo quando riusciamo a metterci in contatto con lui. «Abbiamo capito che non eravamo soli in quella stanza. I topi a volte uscivano anche cinque-sei alla volta dalle tubature scoperte. La cella era un mix di muri cadenti, porte con legno marcio, finestre senza infissi, ragnatele e scarafaggi. E lì passavamo praticamente tutta la giornata: ci era concessa giusto un’ora d’aria in un minuscolo cortile in cemento, sarà stato due metri per due».

Con il passare dei giorni la cella si riempie e si ritrovano a condividere la stanza, grossa circa trenta metri quadri, in 24. Numeri normali per la Romania, che ha le carceri più sovraffollate d’Europa insieme a Cipro e che di recente è stata ammonita dal Comitato europeo contro la tortura affinché implementi al più presto una riforma penitenziaria per mettere una toppa a questa situazione disperata.

Negli anni passati la Romania è stato il paese europeo a ricevere più condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) per i trattamenti inumani e degradanti riservati ai suoi detenuti. E molti di questi casi hanno riguardato il carcere di Porta Alba, proprio quello dove sono reclusi Filippo Mosca e Luca Cammalleri, nei pressi della città di Costanza. 

A questo proposito abbiamo contattato Apador-Ch, ong romena che si occupa di diritti umani, e ci ha confermato la precaria situazione nelle carceri del paese, compreso quello di Porta Alba. Sovraffollamento estremo, mancata assistenza medica e psicologica, condizioni igienico-sanitarie precarie e forte repressione interna per mano degli agenti.

Dopo la quarantena, i due ragazzi sono stati spostati in un altro reparto ma oggi la situazione è pressoché la stessa dei primi giorni sia in termini di sovraffollamento che di degrado degli spazi.

«Stiamo vivendo una situazione disumana, non ci sono attività da svolgere, nel regolamento c’è scritto che di giorno non puoi dormire ma non c’è alcun modo per passare il tempo. Una volta al mese veniamo chiamati per imparare una poesia e ripeterla, tutto qui», continua Filippo.

Le luci restano accese 24 ore su 24, la doccia si può fare tre volte a settimana, è in fondo a un gelido corridoio da attraversare nudi. L’acqua calda spesso non c’è. In cella ci sono due buchi nel pavimento come wc, sono otturati e spesso risalgono gli escrementi. I generatori spesso saltano e il carcere resta senza riscaldamento.

E poi c’è il problema delle aggressioni. Gli stranieri come Filippo e Luca non sono ben visti né dai detenuti né dagli agenti, la conflittualità nel carcere è altissima. La scorsa settimana Filippo è stato aggredito da due compagni di cella, gli hanno lanciato un pentolino di acqua bollente addosso e hanno provato ad accoltellarlo. Per questo è stato trasferito in un’altra cella.

La mobilitazione

«Stiamo vivendo un incubo, la situazione di mio figlio è disperata ma ci sentiamo impotenti», spiega Ornella Matraxia, madre di Filippo. Il ragazzo ha problemi al colon, dovrebbe seguire un regime alimentare preciso e assumere medicinali che però gli vengono negati dal carcere.

Ai detenuti non viene distribuita neanche l’acqua: quando si riesce la si compra allo spaccio interno a prezzi stellari, altrimenti c’è chi beve l’acqua giallastra che esce dai rubinetti. Al disagio psichico si aggiunge quello fisico per le cure negate. “Sono spaventato per quello che mi succederà”, chiosa Filippo.

Ad aprile ci sarà la sentenza d’appello per i due ragazzi italiani. L’associazione Nessuno tocchi Caino con Rita Bernardini sta seguendo il caso, mentre il 29 gennaio la storia è arrivata al parlamento italiano con l’interrogazione del deputato di Italia viva, Roberto Giachetti. Anche sui giornali romeni se ne inizia a parlare. L’unico ancora in silenzio, per ora, è il governo italiano.

© Riproduzione riservata