La fine della pantomima era nota. Nella giornata di lunedì 28 agosto, alle 17 locali (le 16 italiane) Roberto Mancini verrà presentato a Riad come allenatore della nazionale saudita.

I Green Falcons, come vengono chiamati per dar loro un tono da calcio globale. E adesso che i falconi verdi hanno come commissario tecnico una Green Eagle (aquila grigia), sentiranno di poter guardare con qualche speranza in più alla corsa verso i mondiali 2026, i primi a 48 squadre, che verranno disputati in Canada, Messico e Usa.

E a proposito di questo auspicato approdo, chissà se nel ricco contratto fatto firmare all’ex commissario tecnico della nazionale azzurra (si parla di 25 milioni di euro all’anno esentasse, scadenza 2027) vi sia anche una clausola rescissoria in caso di mancata qualificazione alla fase finale del mondiale nordamericano.

Una clausola simile a quella della mancata qualificazione agli Europei 2024 che tanto lo avrebbe nuociuto al suo senso di sicurezza. Sarebbe stato questo uno dei tanti motivi che sono circolati per giustificare l’addio di Mancini nella domenica che precedeva il Ferragosto, uniti ai cambiamenti dello staff, alla possibilità che vi venisse inserito il difensore juventino Leonardo Bonucci, alla stanchezza e alla sfiducia che d’improvviso sentiva intorno a sé, e ad antani come se fosse blinda.

Motivi che non parevano sufficienti a giustificare un distacco così repentino, per di più a pochi giorni dalle pre-convocazioni per le gare di qualificazione agli Europei in agenda a settembre. Una mossa brutale, per ridimensionare la portata della quale ha dichiarato: «Non ho mica ammazzato nessuno». Ah, ok.

Nel giardino di corte saudita

Già nell’immediato dell’annuncio di dimissioni aveva preso a circolare la notizia di un’offerta dei sauditi. Le flebili smentite dell’ex Ct («L’Arabia Saudita non c’entra nulla», però non negava l’offerta né l’intenzione di accettarla) finivano per confermare. A quel punto era soltanto una questione di tempo: quanti giorni sarebbero trascorsi fra l’addio alla nazionale azzurra e l’abbraccio con quella saudita? La risposta è arrivata oggi: due settimane esatte. Giusto il tempo di lasciare che la Figc trovasse (con difficoltà, ancora in parte da risolvere) un sostituto in Luciano Spalletti. E adesso che il dossier del Ct azzurro è risolto, per il tecnico che ha vinto gli Europei del 2020 cadono le ultime remore. Può legarsi al calcio che con la forza del denaro sta comprando tutto. Anche lui e il suo staff di fedelissimi, che erano tutti lì al suo fianco nonostante le polemiche sui cambiamenti a lui sgraditi che la Figc gli avrebbe imposto.

Adesso quello staff lo seguirà a Riad, pacchetto completo, per realizzare la missione di far salire di livello la competitività della nazionale saudita. Missione complicata, perché su questo versante non si può intervenire con lo strapotere del denaro, acquistando il meglio che c’è sul mercato come succede a livello di club.

Qui c’è da fare col prodotto locale, il cui livello continua a essere quello che è.

Un livello che magari ti permette di battere l’Argentina nella singola partita dei Mondiali ma poi non ti dà nemmeno la certezza di qualificarti alla fase finale. Per adesso la sola sicurezza che gli viene data, e che verrà ribadita dal presidente federale saudita Yasser Al Miseal nel corso dell’odierna conferenza stampa, è il programma delle amichevoli dì settembre: l’8 settembre contro la Costa Rica è il 12 contro la Corea del Sud. Entrambe da disputare al Saint James’ Park di Newcastle, cioè il club di Premier League controllato da Public Investments Fund (Pif) il fondo sovrano saudita he sta guidando la scalata al calcio globale. Il giardino della corte saudita. E a essere un balocco del regime degli Al Saud il nuovo Ct dovrà fare l’abitudine.

Perché non parli?

Ma appunto, parliamo di conferenze stampa. Quella che Mancini tiene a Riad. Ma anche quella che non ha tenuto in Italia per spiegare ai tifosi italiani,con timbro ufficiale, i motivi del suo addio. In queste due settimane l’ex Ct azzurro ha parlato soltanto con giornalisti amici. Nessuna volontà di affrontare l’arena delle domande multiple e l’esposizione alle telecamere. Va via da insalutato ospite e ciò dà un altro tocco di mancanza di stile al suo addio. .

Certo, non è il primo Ct che scappa d’improvviso. Arrigo Sacchi se ne andò nottetempo dopo una sconfitta in amichevole contro la Bosnia Erzegovina, per tornare al Milan di Silvio Berlusconi. Ma era il 1996, da allora sono passati quasi trent’anni e si pretenderebbe ben altra responsabilità comunicativa. A lui basta far sapere che non ha ammazzato nessuno. Gli consigliamo di non ripetere la battuta col principe ereditario Mohammed Bin Salman, che potrebbe prenderla come una pessima allusione.

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