Nuovi dettagli emergono dai verbali di assunzione di informazioni della Procura di Firenze sull’inchiesta che riguarda la fondazione Open e l’ascesa politica di Matteo Renzi.

Le indagini ruotano attorno ai finanziamenti della fondazione che è stata utilizzata per organizzare eventi politici durante gli anni in cui Renzi era all’interno Partito democratico.

Secondo i pm che hanno condotto le indagini, Luca Turco e Antonino Nastasi, Open avrebbe agito come l’articolazione di un partito ricevendo una somma di denaro milionaria negli anni in netta violazione della normativa sul finanziamento dei partiti.

I verbali

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Domani ha potuto visionare i verbali degli interrogatori di alcuni dei vertici del Partito democratico. Tra i nomi di spessore compaiono quelli di Rosy Bindi, Pierluigi Bersani, Matteo Orfini e il sindaco di Firenze, Dario Nardella. Tutti chiamati a rispondere sulla fondazione Open e sulle sue casse.

Rosy Bindi, interrogata dai pm in quanto presidente dell’Assemblea del Pd dal 2009 al 2013 dice di non aver mai avuto rapporti con la fondazione Open e di conoscere l’esistenza di questa tramite la stampa. «Non ho mai avuto interesse a capirne di più considerata la distanza politica dei relativi esponenti dalle mie posizioni», dice Bindi.

Agli inquirenti spiega di non sapere nulla dei finanziamenti verso la fondazione, «anche se era evidente che manifestazioni come quella della Leopolda comportavano spese rilevanti». Non va oltre l’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia.

Anche Pierluigi Bersani, ex segretario del Pd dal 2009 al 2013, nei verbali del 30 novembre 2020 dichiara di non aver avuto rapporti diretti con la fondazione Open, ma si scaglia contro il leader di Italia Viva: «Ho avuto ben chiaro fin dall’inizio che l’obiettivo di Renzi era quello di avviare una nuova componente...».

«La nuova componente – continua Bersani – aveva l’obiettivo di scalare il partito attraverso una piattaforma politica molto aggressiva, un sistema ampio di relazioni e una vera e propria raccolta fondi».

Come segretario vedeva chiaramente che la nuova corrente politica interna «cercava forme che potessero suscitare il coinvolgimento di soggetti esterni al partito stesso, ma interessati a tagliarne le radici della sinistra storica politica e sindacale».

Secondo Bersani, quasi tutti erano a conoscenza di quello che accadeva: «Nel partito era chiaro a tutti che Renzi in contemporanea ricopriva il ruolo di segretario, ma aveva anche una propria struttura che si occupava di relazioni e raccolta fondi. Questo tema non è stato mai discusso dagli organismi di partito, era un momento di crescita elettorale e si è ritenuto di non affrontare la questione. È stata una delle questioni che mi convinsero dello snaturamento del partito stesso».

Insomma, in un momento di crescita elettorale per il Pd il tema dei finanziamenti ai partiti è passato in secondo piano.

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L’onorevole Matteo Orfini, presidente del Pd dal 2014 al 2019, afferma di non avere avuto rapporti con la fondazione Open, ma aggiunge un elemento di riflessione ulteriore rispondendo alle domande dei pm: «Rappresento che l’attività di raccolta fondi privati subì un drastico ridimensionamento dopo l’inchiesta mafia capitale, nel senso che il partito decise di interrompere lo svolgimento delle grandi cene di raccolta fondi che erano state in passato organizzate, ricordo a Milano e a Roma, per sostenere l’attività ordinaria del partito», dice Orfini.

Davanti ai pm ci è finito anche uno dei renziani più doc del panorama politico italiano: si tratta del sindaco di Firenze, Dario Nardella. Nell’interrogatorio reso agli inquirenti dice: «In un’occasione, ricordo che Bianchi (Alberto, ex legale di Renzi ed ex presidente di Open, ndr) richiese all’avvocato Frittelli se fosse possibile effettuare un contributo economico alla Fondazione, io aderii e il contributo fu versato». Si tratta, in totale, di una cifra di 1800 euro, effettuato il 13 febbraio del 2014.

Le dichiarazioni della segretaria della fondazione

Carole Schmitter una dipendente dello studio dell’avvocato Bianchi, iscritto nel registro degli indagati, è stata chiamata a rispondere alle domande dei pm il 17 settembre del 2019. Si occupava di tenere in ordine la documentazione della fondazione Open.

Agli investigatori Schmitter dice: «La fondazione, nel corso degli anni, ha stipulato contratti di collaborazione con diverse persone per promuovere l’attività politica del senatore Matteo Renzi. Ciò avveniva in particolare, durante le campagne elettorali, durante la campagna referendaria».

Lo stato dell’inchiesta

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Insomma, nessuno dei vertici aveva rapporti diretti con la fondazione Open ed escludono anche di essere a conoscenza dei finanziamenti.

Ma era chiara, almeno ai leader storici del partito, la strategia politica di Renzi per far crescere la sua corrente interna al partito democratico.

Lo scorso 19 ottobre la procura di Firenze ha inviato gli avvisi di conclusione dell’indagine. In totale sono indagate 11 persone e oltre al senatore fiorentino ci sono anche i suoi più stretti amici e collaboratori come Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l’imprenditore Marco Carrai e l’avvocato Alberto Bianchi. Una lunga serie di nomi che ora dovrà rispondere alle domande dei procuratori.

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