Il pane come bene alimentare, epicentro di buone pratiche agricole e sociali. A Bologna, il collettivo del Forno Brisa ha avviato la sua ricerca a partire da questo assunto, impegnandosi al contempo per realizzare un modello di impresa che fosse naturalmente sostenibile sotto il profilo economico, ma soprattutto felice, perché fondato sulle relazioni umane, con i fornitori in primis – non semplici pedine di una catena, ma attori essenziali per la buona riuscita del progetto – e con i clienti chiamati a entrare in bottega, curiosare, appassionarsi al prodotto, comprendere il senso dell’operazione (cosa sto acquistando? Perché devo essere disposto a riconoscergli il giusto prezzo? Qual è il suo valore aggiunto?).

Del resto, la presenza di un avamposto agricolo – come un laboratorio di panificazione dovrebbe tornare a essere – in città trova un senso nella volontà di riallacciare i fili di una filiera alimentare che ha rischiato (e rischia) di essere svilita, sopraffatta, nel momento di scegliere che consumatore essere, dalla pigrizia, dalla fretta, dalla mancanza di curiosità non meno che dalla crisi economica.

Il forno collettore

Illustrazione Dario Campagna

Oggi i tempi sono maturi perché un forno di quartiere possa essere collettore di buone esperienze, avvalorando il suo ruolo sociale attraverso la qualità dell’offerta e la fruibilità di spazi e contenuti diversi, ma accomunati dalla stessa visione. In Italia questo approccio ha dato origine nel 2018 alla rete dei Pau, Panificatori agricoli urbani.

A Londra, il team di E5 Bakehouse parla esplicitamente di “Rinascimento agricolo”: il progetto è nato nel 2011 sotto gli archi della stazione ferroviaria di London Fields, riqualificati per far posto a una serie di attività commerciali.

Dalla “semplice” produzione di pane a lievitazione naturale si è passati a gestire un’azienda agricola nel Suffolk, a molire i cereali in laboratorio, ad avviare la produzione di cioccolato from bean to bar (dalla selezione della fava di cacao alla tavoletta) e inaugurare una torrefazione di caffè, la Poplar Bakehouse di Tower Hamlets, che è insieme bakery e coffee roastery, e impiega, in collaborazione con il Refugee Council, rifugiati che hanno bisogno di ricominciare a vivere lontano dal proprio paese.

Il sistema E5 contempla anche la possibilità di fare la spesa in negozio, acquistando frutta e ortaggi in arrivo dall’azienda di proprietà. E così torniamo al punto: perché non usare il pane per veicolare contenuti molteplici e affini?

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L’esperienza italiana

Anche Forno Brisa ha scommesso sul caffè, che come il pane è un prodotto agricolo. È nato così Brisa Coffee Roaster: si acquista la materia prima nel luogo di produzione, garantendo retribuzioni eque a chi lavora nelle piantagioni; i chicchi arrivano “verdi” a Bologna per essere tostati con criterio in torrefazione. Il prodotto finale piace agli operatori del settore che lo acquistano per proporlo nei loro locali, e a chi frequenta le panetterie-caffetterie del gruppo in città.

Pane e caffè. Ma non solo

Esempi analoghi si rintracciano con una certa facilità anche altrove, in Europa, a dimostrazione di come il pane generi naturalmente relazioni, com’è sempre stato nella storia dell’uomo. Öfferl, a Vienna, è un altro modello da prendere a esempio: «La storia non inizia da noi» spiega il gruppo «ma da un contadino che guarda i suoi campi e si interroga sul valore della crescita, della nascita della vita».

Dalla campagna questa filosofia è stata portata in città: nella capitale austriaca oggi sono tre i punti vendita (mentre il quartier generale è a Gaubitsch). E la panetteria agricola, come la chiamano loro, ha finito per evolversi in un centro di comunità che condivide valori comuni.

Quindi in negozio si vende anche il caffè tostato nella torrefazione di Gaubitsch, insieme ai prodotti freschi e confezionati su cui Öfferl appone un sigillo di garanzia, dando risalto però alla storia di chi li produce: il miele della fattoria Rohrauer, la marmellata della famiglia Hummel, il latte da fieno di Marksteiner. E poi formaggi, burro, uova. Per ritrovare il gusto di fare la spesa. In panetteria.


Questa è la rubrica Non è più il pane di una volta. Di mese in mese raccontiamo il pane contemporaneo, la rivoluzione californiana e la scuola danese, l’evoluzione dei paysan boulanger in Francia, l’Australia di Iggy’s Bread, ma anche, ovviamente la new age di Londra, il Canada e i nuovi panettieri italiani. L’India e il Giappone con le loro tradizioni che cambiano.

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