Quando i poliziotti sono entrati nella villa hanno trovato una sorpresa: i vetri rotti, le grate tagliate e le basi dei camini divelti. La storia dei Casamonica, clan autoctono più potente del Lazio, è come la gramigna (in passato così è stata ribattezzata un’inchiesta che li ha riguardati). Quando l’erba sembra estirpata, ricresce. E quanto accaduto a “villa Sonia” è un dettaglio tutt’altro che irrilevante di un sistema criminale fatto di testimoni impauriti, montagne di soldi e pervicace controllo del territorio.

La villa era infatti di proprietà di Guerrino Casamonica, meglio noto come Pelè. Lui però non era all’interno dell’abitazione, è stato arrestato nel giugno di quest’anno dopo anni di bella vita tra Roma e Montecarlo. Oggi la villa è dello stato, sequestrata e assegnata a un Ipab, un istituto pubblico di assistenza e beneficenza della regione Lazio. Mercoledì scorso l’amara scoperta. Qualcuno è entrato in questa magione ornata di statue e dotata dell’immancabile piscina, e si è diretto senza esitazioni alla base dei camini, asportando le mattonelle. Un segnale intimidatorio per dire “noi ci siamo ancora” oppure un colpo per recuperare quello che durante le perquisizioni non era stato trovato? «Di certo non cercavano stupefacenti perché quando Pelè è stato arrestato c’erano i cani antidroga. Però al momento della sua cattura non sono stati trovati soldi, il tesoro», dice uno degli inquirenti. Le indagini sono in corso e sono state affidate alla polizia di stato, si attendono gli esiti dei rilievi della scientifica.

I soldi del clan

«Loro c’hanno case piene di soldi. Io non capisco. Quando fanno perquisizioni, come che... ci vuole tan... è difficile? Basta che vedete il battiscopa, è sotto... specialmente in cucina, dove sta il mobile della cucina, la maggior parte è lì, tutto sempre tutto nascosto, doppi muri, fatti, lavanderie, nel garage», dice Simona Zakova, testimone che racconta il potere del clan dove aver avuto una relazione con Raffaele Casamonica e aver subito minacce e violenze.

L’interrogatorio risale al 18 ottobre 2018 e descrive quello dei Casamonica come un regno di evasione attraversato da un fiume di contanti. «Pagano tutto in contanti, la gente è contenta. Tutto in contanti, loro con le carte non comprano niente». Poi aggiunge un riferimento alla zia di Pelè, Gelsomina Di Silvio: «Lei non lavora e va a spendere quattromila euro in un giorno per una borsa, come fai, ma così sono tutti. Loro, da Gucci hanno una che li serve, cioè ci sta soltanto una per i Casamonica (...) Certo, loro nessuno lavorano. Chi ha mai lavorato!? Solo soldi sporchi, guadagni illeciti».

Debora Cerreoni, un’altra ex di un Casamonica, Massimiliano, conferma la prassi del clan di nascondere i soldi nelle pareti di casa. «So che Giuseppe Casamonica (detto Bitalo, ndr) diceva di avere 10 milioni di euro nascosti nei muri». Come Gelsomina Di Silvio anche Guerrino Casamonica di soldi ne ha tanti, fanno parte dello stesso ceppo nella grande galassia della famiglia. Sono stati coinvolti, lo scorso giugno, nella medesima inchiesta della procura antimafia capitolina, Guerrino è stato arrestato per usura, estorsione e mafia. Quando i poliziotti della squadra mobile guidati da Luigi Silipo sono andati ad arrestarlo, Guerrino non ha trattenuto le lacrime perché pochi giorni dopo sarebbe stato il suo compleanno e in frigo c’erano le bottiglie di champagne che, insieme ai Rolex, sono un “marchio di fabbrica” della famiglia. La festa era già pronta. «Hanno imparato da quelle del patriarca Vittorio, quello del funerale show, che alle feste atterrava in elicottero. Le ricordano anche i ristoratori ai quali non ha mai pagato un euro, mai», racconta chi li conosce bene e preferisce l’anonimato.

Una testimonianza che trova conferma consultando i video che li immortalano. «Ao sta musica ce la siamo inventata noi», dice Guerrino Casamonica mentre beve champagne e ascolta la musica del Padrino durante una vecchia festa. Guerrino è un boss furbo, scaltro, per lungo tempo ha vissuto in Germania dove è stato cacciato perché coinvolto in un traffico di stupefacenti. Ha la passione per il gioco e il casinò di Montecarlo era una tappa fissa. Proprio tra Roma e Montecarlo, negli anni scorsi, è stato scoperto un giro di riciclaggio per milioni di euro messo in piedi dal padre di Guerrino, Giuseppe, e dalla moglie Anna Di Silvio.

Con una rete capillare sono in grado di “lavare” il denaro sporco che entra copioso nelle casse del clan. «Non siamo mafiosi, noi siamo ignoranti, non abbiamo case, siamo poveri», dicono per difendersi prima di dedicarsi a minacce e intimidazioni esplicite. Quando si parla dei Casamonica si fa spesso riferimento a un patrimonio di cento milioni di euro, ma è una stima falsa, riferita a una vecchia operazione della Direzione investigativa antimafia, risalente al 2003 che riguardava solo 50 componenti del clan.

Negli anni sono stati diversi i colpi inferti alla famiglia e ogni operazione è stata presentata, erroneamente, come quella finale. Quando, nel novembre 2018 l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini ha abbattuto la villa di Giuseppe, sembrava la fine di un impero, ma era una goccia nel mare. Che non è stato ancora svuotato. «Questi non hanno capito chi sono i Casamonica, hanno un mare di soldi. Mica vanno a vivere in baracca: quello a cui hanno abbattuto questa villa, dopo dieci anni, vive in un’altra che è il doppio», era il commento di chi assisteva all’abbattimento. Così mentre il ministro operaio muoveva la ruspa e si beava di «ruspare la villa di un mafioso» a trecento metri di distanza, in via Flavia Demetria, sorgeva una villa meravigliosa, con piscina e due leoni all’ingresso. Anche questa villa è stata sequestrata, ma attualmente è occupata dai familiari del clan.

Anche quando a giugno scorso la polizia ha arrestato Gelsomina, Giuseppe e Guerrino, sembrava un colpo definitivo, ma la spedizione mirata dei giorni scorsi racconta che la rete è ancora in piedi. La villa oggetto dell’intrusione confina con un’altra proprietà del clan dove oggi vive Antonio Casamonica, figlio del defunto Vittorio. In passato altre ville sequestrate erano state saccheggiate. Di recente per un altro immobile era stata disposta la vigilanza armata. «Questa volta non abbiamo messo la vigilanza perché era una sfida, questa è una strada che si sta trasformando, grazie al contributo dei cittadini, in una strada di libertà e legalità. In una villa è sorto un parco, un’altra è in gestione così come sarà riutilizzata questa. Noi non arretriamo», dice Gianpiero Cioffredi, presidente dell’Osservatorio regionale sulla criminalità.

Il processo che parla alla città

Segnali incoraggianti che non si registrano nell’aula di tribunale di Roma dove si celebra il processo contro il clan. Gli imputati sono accusati di mafia. «Non ricordo questa cosa, pensi che io quando vado a fare la spesa porto sempre un bigliettino perché non ricordo niente», dice uno dei testimoni sentito nel processo in corso nell’aula bunker del carcere di Rebibbia. Quello che non ricorda è che il figlio aveva preso in gestione un ristorante per conto di Massimiliano Casamonica. Davanti al pubblico ministero Giovanni Musarò, agli avvocati, e alla presidente Antonella Capri, si celebra una processione che conferma un tratto distintivo della presenza mafiosa: l’omertà. I testimoni che sfilano sono affetti tutti da problemi di memoria. «Non ricordo», «Io non li ho denunciati», «Mi hanno chiamato i carabinieri», dicono rinnegando quanto avevano dichiarato agli inquirenti. Parole che diventano irripetibili in un’aula di tribunale davanti ai Casamonica collegati in videoconferenza. Sembra un processo di 30 anni fa alle mafie tradizionali del sud, senza una sola vittima costituitasi parte civile. Invece siamo nel 2020, a Roma, ma l’omertà è la stessa di un tempo e odora di mafia.

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