Quel pezzo di terra veneta dove la provincia padovana si unisce a quella veneziana, che se vivi troppo a destra ti chiaman “ciosòtto” e se vivi troppo a sinistra ti mandano a cagare, che è stata la culla dei Felice Maniero e dei Serenissimi, è stata anche una grande appassionata di Made in Usa.

L’NBA, i pantaloncini con la bandiera Americana, le Nike, i bambini chiamati Maicol, Demis o Gennifer, la pesca sportiva al “black bass”, Alexi Lalas e, infine, i gamberi americani. Come Bubba, l’amico di Forrest Gump, alcuni allevatori pensarono che i gamberi americani fossero buonissimi, più pregiati di quelli nostrani e decisero di importarli per allevarli, venderli e mangiarli. Migliori addirittura di granseole e canòcie, il gambero rosso della Louisiana si poteva fare in tanti modi, diceva Bubba.

Lo allevavi, lo pescavi e lo cucinavi.

Ucciderlo era una roba barbara. C'era chi li immergeva nel ghiaccio appena catturati, per farli morire di freddo, oppure nel congelatore appena arrivati a casa. Alcuni pescatori amatoriali li sbattevano contro i muretti per farli secchi, a volte troppo forte, ed esplodevano, oppure li schiacciavano con i propri piedi per non farli soffrire, dicevano.

È normale che a un certo punto, esasperato, il gambero rosso della Louisiana abbia deciso di volerci uccidere tutti.

Il gambero della Louisiana è stato sfruttato in patria, deportato e imprigionato in Italia in campi di detenzione, chiamati anche allevamenti. Poi un giorno, forse un incidente, forse la noia di alcuni imprenditori, forse perché «se gà roto i cojoni e se gà incassa’!», questo gambero ha trovato la via della libertà.

Non diremo quanto è grande il gambero della Louisiana, perché va immaginato.

Vi basterà sapere che è conosciuto anche col soprannome di killer, sembra cresciuto guardando Rambo, vive la vita in guerra col mondo, non ha amici al di fuori dei suoi simili e gli piace annientare il nemico facendo agguati, nascondendosi nei tunnel sotterranei che lui stesso ha scavato negli argini dei fiumi che poi fa collassare.

Piccola parentesi sui fiumi. A parte il Brenta, gli altri della zona vengono chiamati “fossi” e quella che sembra acqua è un mix liquido di fango, alghe, escrementi e elementi chimici di qualche fabbrica. I nostri professori alle medie dicevano che «quando eravamo ragazzini fasevimo i bagni nei fossi!».

Non ci abbiamo mai creduto, noi, che all’epoca avevamo paura di prendere le malattie quando ci avvicinavamo troppo.

«Vara che te ciapi ea lectospiròsi, mona!»

Ecco, in questo ambiente insalubre, il gambero killer si sentiva al sicuro, a casa, e mentre in quegli anni i leghisti urlavano “padroni a casa nostra!”, i crostacei immigrati pianificavano l’invasione, in silenzio, dandosi da fare. Han fatto fuori prima i propri simili locali, i gamberi italiani d’acqua dolce, andati molto vicini all’estinzione, e poi tutto il resto: piante, alghe, lumache e gli altri pesci. La mafia dei lucci, dei siluro, dei pesci gatto.

“e poi me so’ acorto che ad un certo punto tutti i pesci eran spariti”, diceva un signore ad un giornale locale.

Poi, di colpo, una sera d’estate le rane smisero di cantare.

Tutto diventava sua preda, e nessuno avrebbe mai saputo che esistevano veramente se non fossero cominciati gli avvistamenti per strada. Sull’asfalto rovente. E le persone iniziarono a notarlo.

È successo, per esempio, di trovarne alcuni sotto il cavalcavia di una strada secondaria, vicino a Campolongo Maggiore, morti.

«Chi casso xé che lancia gànbari per strada!?»

Nessuno.

Se un serial killer finisce le sue prede, si sposta, ed è quello che aveva tentato di fare quel gambero, primo di una nuovissima stirpe di gamberi terracquei che hanno sviluppato negli anni l’abilità di respirare fuori dall’acqua anche per ore. Biologicamente non possono farlo, perché hanno le branchie, ma “loro non lo sanno e respirano lo stesso”, si adattano, e questo li rende terrificanti. Inoltre la storia del gambero che cammina all’indietro è una palla, non vanno all’indietro ma in avanti e corrono, mica camminano, corrono soffiando come i gatti quando sono arrabbiati e attaccano ferocemente qualsiasi cosa. Mossi dal disagio in cui vivono e dalla loro cattiveria, “li abbiamo visti attaccare i cani e le bestie” prima di attaccare il nemico numero uno, le persone. Se non ci credete, andate a cercare, ci sono gli articoli di giornale con le testimonianze.

Una famiglia della zona di Mestre è rimasta bloccata in casa perché aveva il giardino invaso da decine e decine di gamberi. “Aiutateci”, dicevano, “non riusciamo ad uscire di casa”. Dei dipendenti di un’azienda in Toscana si son ritrovati a dover sfidare centinaia di killer nel parcheggio per tentar di raggiungere le proprie auto. Questi animali non hanno paura dell’uomo, anzi lo puntano dritto come un cecchino.

Qualcuno ha provato ad intervenire, veterinari, asl, persino la polizia ma nessuno ha mai fatto nulla di concreto, tranne nel 2011 quando è stato dato il via libera alla loro pesca con utilizzo di fegatini di pollo.

“ste bestie magna tuto! no come el me putèo che non magna un casso”

Comunque, ucciderli era inutile. Ne nascevano più di quanti ne ammazzassero.

Mangiarli era impossibile. La loro carne era diventata tossica.

Non erano più animali, erano simboli, avvertimenti viventi.

Se vivi in un ambiente tossico te diventi tossico anca ti, te te inveleni, te fe el sangue amaro e, magari, te fe na strage.

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