Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha rotto il silenzio sul futuro di Gaza e ha dichiarato ad Abc News: «Ci assumeremo la responsabilità della sicurezza nella Striscia di Gaza per un periodo indefinito una volta terminata la guerra». Praticamente ha promesso di occupare la Striscia, anche se questo vuol dire voltare le spalle agli Stati Uniti che non sono a favore di un ritorno di Israele a Gaza, dopo il ritiro nel 2005.

La risposta dell’amministrazione americana è arrivata attraverso il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby: «Il presidente crede ancora che una rioccupazione di Gaza da parte delle forze israeliane non sia positiva. Non è positiva per Israele, non è positiva per il popolo israeliano».

Qualche giorno fa, durante un incontro con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, il presidente dell’Anp, Abu Mazen, si è detto pronto ad occuparsi della Striscia dopo un’eventuale «soluzione politica globale».

La pressione del presidente Joe Biden ha comunque avuto il risultato di convincere Netanyahu a concedere delle brevi pause umanitarie di poche ore tra un combattimento e l’altro per aiuti umanitari. Gli Stati Uniti infatti non spingono per un cessate il fuoco a differenza del segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per cui «la necessità di un cessate il fuoco umanitario diventa sempre più urgente ogni ora che passa» – anche se il Consiglio di sicurezza non è riuscito ad adottare una risoluzione sul conflitto – o anche dell’Oms che chiede lo stop ai combattimenti e una «pace duratura» e ricorda che dal sette ottobre sono morti oltre 160 operatori umanitari.

I combattimenti

«Per la prima volta da decenni stiamo combattendo nel cuore di Gaza City», ha detto Yaron Filkelman, comandante del fronte sud di Israele, così si chiude il primo mese ufficiale di guerra. L’esercito, che nei giorni scorsi aveva circondato la città di Gaza, oggi è avanzato al suo interno da nord e da sud. Secondo Agi, Hamas non sembra avere la forza di resistere all’avanzare delle colonne di blindati. L’intento dell’esercito è chiaro: distruggere i tunnel e colpire le roccaforti del gruppo terrorista, come il campo profughi di al Shati, anche noto come Beach Camp, lungo la costa di Gaza City.

Israele ha anche comunicato di aver eliminato Wael Asefa, comandante del battaglione Deir al Batah di Hamas e tra gli artefici dell'incursione islamista in territorio israeliano dello scorso 7 ottobre, e di aver bombardato un edificio vicino l’ospedale Al Quds dove secondo l’esercito erano nascosti alcuni terroristi. La caccia ai miliziani di Hamas prosegue anche in Cisgiordania dove ieri sono stati arrestati 28 palestinesi, undici dei quali affiliati al gruppo.

Nel frattempo, Tel Aviv continua a bombardare anche il resto della Striscia. Dall’inizio della guerra l’esercito ha ordinato ai civili gazawi di sposarsi a sud lungo la Salah al Din Road, ma i palestinesi hanno presto imparato che nessun luogo è sicuro, come dimostrano anche i bombardamenti di ieri a Khan Younis – dove secondo Hamas 12 persone sono morte e 29 sono rimaste ferite – e a Rafah, città al confine con l’Egitto in cui stati uccisi 25 civili. L’attacco arriva, nonostante ieri il valico di Raffah sia stato aperto per quattro ore all’uscita degli stranieri, dei feriti e dei cittadini con doppio passaporto.

Hamas invece ha nuovamente lanciato missili dalla Striscia contro il sud di Israele e le zone limitrofe, in particolare i media israeliani hanno riferito di una raffica di razzi a Ashdod. A fare pressione stavolta sul nord del paese c’è anche Hezbollah dal Libano. Una ventina di razzi sono stati sparati facendo partire le sirene nell’Alta Galilea e nelle alture del Golan, mentre dallo Yemen il gruppo di ribelli sciiti Houthi (sostenuti dall’Iran) ha rivendicato il lancio di droni militari contro obiettivi sensibili in Israele. Per rispondere alle ulteriori aggressioni Tel Aviv ha predisposto una nuova struttura anti missile, considerata «più infallibile di Iron Dome», agisce in soli 30 secondi.

Tutto questo mentre vengono attaccate le basi statunitensi in Iraq e in Siria da gruppi supportati dall’Iran, aumentando il rischio di allargamento e allontanando la soluzione diplomatica.

Abu Mazen

A complicare la situazione diplomatica, ci sarebbe anche un presunto attacco al leader dell’Anp, Abu Mazen.

La Cnn turca ha reso noto che il convoglio su cui viaggiava il presidente dell’Anp è stato oggetto di un attacco e una delle sue guardie sarebbe rimasta ferita, ma l’emittente non ha fornito informazioni sul luogo dove sarebbe avvenuto il presunto attacco, né sulle condizioni di Abbas.

Secondo il quotidiano turco Hurriyet , sarebbe opera del gruppo radicale "Figli di Abu Jandal", uno dei tanti rami dell’Anp, che il giorno prima aveva diramato un ultimatum rivolto proprio ad Abu Mazen che avrebbe dovuto «denunciare le dichiarazioni del criminale Blinken». Il portavoce delle forze della sicurezza dell’Autorità ha però smentito tutto e ha dichiarato che si è trattato in verità di «un’operazione antidroga», che non ha coinvolto Abu Mazen.

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