Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


Giugno, succedono molte cose fra Roma e Palermo. A Roma, al congresso della Dc, sono undici i siciliani eletti al Consiglio Nazionale. C’è Lima, c’è D’Acquisto. C’è Luigi Gioia, fratello del ministro Giovanni, quello «bollato» come mafioso dal Tribunale di Torino al processo contro lo scrittore Pantaleone e l’editore Einaudi.

C’è anche l’ex ministro della Difesa Attilio Ruffini, nipote prediletto dell’ex cardinale e che nel 1979 – da ministro – è stato invitato a una cena elettorale, alla trattoria La Carbonella, dagli Spatola e dagli Inzerillo. I «meglio mafiosi» di Palermo.

E don Vito, Ciancimino, è designato responsabile provinciale degli Enti locali della Dc.

A Palermo, per la prima volta, la Finanza entra per un controllo negli uffici della Satris, la società di riscossione delle tasse dei Salvo di Salemi. È la violazione di un luogo sacro per la mafia.

Poi, è la rivolta dei prefetti.

Quelli siciliani protestano al Viminale, dicono che ne hanno le tasche piene di un generale che vuole imporsi su tutto e tutti.

Al coro si aggiunge anche il prefetto di Napoli, Riccardo Boccia, che ha qualcosa da recriminare su dalla Chiesa e sui «super-poteri» che pretende di avere dallo Stato. Cosa vuole questo carabiniere? Militarizzare la Sicilia? Dichiarare lo stato d’assedio nell’isola? Incarcerare mezza popolazione?

Un diluvio di parole, la malevolenza mascherata ancora una volta da garantismo, principi, regole. Tutti hanno qualcosa da eccepire o contestare a Carlo Alberto dalla Chiesa mentre laggiù, in Sicilia, si muore.

La mattina del 16 giugno, sulla circonvallazione di Palermo viene attaccato un piccolo convoglio che scorta al carcere di Trapani il boss catanese Alfio Ferlito. Ucciso il mafioso, uccisi i tre carabinieri, ucciso l’autista.

I sicari sono armati di fucili mitragliatori sovietici, i kalashnikov. Gli stessi che un anno prima sono stati usati per eliminare il capo di Cosa Nostra di Palermo, Stefano Bontate. Gli stessi che saranno impugnati da lì a due mesi, il 3 settembre.

È impotente il generale davanti a questi altri morti.

Lo vedo da lontano. Cammina da solo, sta tornando indietro.

Ha appena parlato con i carabinieri vivi che sono piegati sui carabinieri morti.

Poi se ne va. Scansa le auto ferme in colonna sulla circonvallazione. Ha un vestito chiaro, la faccia scura. Gli vado incontro. Generale, questi cadaveri sono un altro messaggio per lei? Mi guarda, è cupo, non risponde. Mi dice che non può e che non vuole parlare. Non ha scorta. Non vedo il suo autista. Non c’è nessuno dietro di lui e nessuno davanti a lui.

La solitudine del generale per me è soprattutto in questo ricordo di un breve incontro sulla circonvallazione, la mattina del 16 giugno 1982.

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