Come una bomba di petardi e cartaccia, ha fatto prima un gran rumore per poi lasciare a terra cenere e una scia di veleno. La lotta della destra contro la parola “Genitori” al posto di “Padre e madre” è stata respinta dalla Corte di Cassazione. «La dicitura "padre” / “madre” sulla carta d'identità elettronica è discriminatoria», si legge nella sentenza n. 9216 che respinge il ricorso presentato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi  e conferma la decisione della Corte d’Appello, secondo cui la dicitura “padre” / “madre” «non rappresenta tutti i nuclei familiari e i loro legittimi rapporti di filiazione. L'indicazione corretta è dunque «genitore». 

Una guerra che sembrava eterna quella portata avanti da Matteo Salvini, nel 2019 dal Viminale e da Giorgia Meloni che il 19 Ottobre dello stesso anno, da piazza San Giovanni a Roma, lanciò il suo grido di battaglia più famoso: «Io sono Giorgia, sono una madre» e «non genitore 1 e genitore 2».

La storia era iniziata con il governo Lega-M5s con uno dei primi provvedimenti spot, firmati da Salvini che governava dal Viminale: un decreto per modificare i termini contenuti nelle disposizioni del 2015, ossia l’espressione «o dai genitori o tutori in caso di minore». In base alle regole volute dal leader leghista, queste parole venivano sostituite con «o dal padre o dalla madre, disgiuntamente, o dai tutori, in caso di minore».

La parola «Genitori» veniva sostituita con «Madre e padre»; le parole «Cognome e nome dei genitori» con «Cognome e nome del padre e della madre»; e la parola «Parents» (l’inglese per “genitori”) con «Father and mother’s» (l’inglese per “del padre e della madre”). Una scelta criticata anche dal Garante della Privacy che in un parere sullo schema di decreto aveva dichiarato che sostituire il termine “genitori” con “padre e madre” poteva avere degli «effetti discriminatori», per esempio su quei minori che non avevano una figura paterna o materna, e creare dei problemi nella raccolta dei dati e nel rispetto delle normative europee.

«È una piccola cosa, un piccolo segnale», aveva dichiarato Salvini al quotidiano ultracattolico “La Nuova BQ” «però è certo che farò tutto quello che è possibile al ministero dell’Interno». Anche Giorgia Meloni nelle campagne per le europee nella primavera del 2019 paventava «il disegno» (delle elité mondiali) affinché sui «documenti non ci deve essere scritto padre e madre», ma «genitore 1 e genitore 2».

Storia di una polemica inutile

In realtà genitore 1 e 2 non sono mai esistiti. Nel 2015 il Governo Renzi si era limitato a introdurre sulla carta d’identità elettronica, e per quanto riguarda i minori, nelle leggi e sui documenti il termine “genitori”, (attenzione: non “genitore 1” e “genitore 2”). Poi la svolta nel 2019 con Salvini che decide di sostituire “genitori” con “padre e madre”. 

Nel 2023 inizia la lotta di una coppia di mamme seguita dai legali di Rete Lenford - Avvocatura per i diritti LGBTI+ e dell’associazione Famiglie Arcobaleno. La coppia che aveva ricorso alla stepchild adoption, chiedeva prima al Tar del Lazio e poi al Tribunale di Roma, l'emissione di un documento d'identità che «rispecchi la reale composizione della loro famiglia». Il Tribunale aveva accolto la richiesta delle due mamme, dichiarando di fatto illegittimo il decreto «in quanto il documento emesso integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico».

Nel 2024 vincono anche la sentenza in Corte d’Appello e non solo: Salvini viene condannato al pagamento delle spese processuali. La Corte aveva ribadito un concetto molto semplice: sulla carta d'identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile.

Il governo non si arrende e il 10 aprile del 2024 il Consiglio dei ministri conferisce «mandato all'Avvocatura dello Stato ai fini del ricorso in Cassazione» contro le madri e il Comune di Roma. Respinto.

I motivi di Piantedosi per la Corte sono  «inammissibili» e «infondati». Insomma: il ricorso è scritto male. I giudici della Cassazione confermano quindi la Corte: quell’atto è irragionevole e discriminatorio. Il decreto Salvini «imponeva all'altra (madre) di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità ("padre") non consona al suo genere». 

I giudici ricordano infine che l'adozione in casi particolari produce ormai effetti pieni e, in seguito alla sentenza della Consulta 79/2022, fa nascere anche relazioni di parentela con la famiglia dell'adottante.

Raggiunti da Domani Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford, e Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, esprimono soddisfazione per questa sentenza e fanno sapere che non è la prima: «Qualche giorno fa la Corte di Cassazione aveva respinto un altro ricorso del ministero su una vicenda identica: il ministero dell’Interno aveva presentato l’impugnazione contro la sentenza a favore di una coppia di mamme con ben 105 giorni di ritardo pur di contestare una legittima dicitura. E ha perso, con condanna alle spese di lite. Esistono, quindi, oggi due famiglie che potranno veder emessa una carta d’identità rispettosa delle proprie identità». 

Il decreto Salvini tuttavia resta. Le disapplicazioni delle due sentenze di Cassazione implicano che siano limitate ai due casi concreti. Ogni singola famiglia dovrà fare ricorso ai Tribunali ordinari per vedere ristabilito un diritto stravolto dal Viminale guidato dalla Lega nel 2019. Una lotta quindi ancora aperta: «Continueremo a far sentire la nostra voce – dichiarano i presidenti Miri e Crocini – perché nessuna famiglia deve essere invisibile, nessun diritto può essere violato e nessun bambino o bambina deve sentirsi meno tutelato per come è composta la sua famiglia. Dopo queste sentenze l’unica soluzione auspicabile è l’annullamento del decreto Salvini che per pura propaganda cancellò la dicitura “genitori”, da sempre presente sulle carte di identità dei minori». 

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