Una telefonata “sospetta” dall’ospedale, il passato di Santagati e i legami col tecnico del dicastero di Porta Pia. I pm capitolini continuano a indagare sul caso di Federico Vittorio Rapisarda, il super dirigente di Salvini preso a bastonate a ottobre scorso
Un caso che ancora non è chiuso, pieno di ombre ma anche di nuovi particolari. Un caso che agita il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dove ormai da mesi non si parla d’altro. Nei corridoi del dicastero guidato dal leader leghista Matteo Salvini il chiacchiericcio non appresta a fermarsi.
L’aria è molto tesa. C’è di fatto un giallo a Porta Pia. Che riguarda tre uomini: un super dirigente del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti brutalmente picchiato nell’androne del suo palazzo a Roma, un pregiudicato di origini siciliane identificato come esecutore materiale dell’aggressione e un altro uomo ancora, braccio destro della vittima e, secondo i pm capitolini, mandante della “missione punitiva”.
Il protagonista della vicenda è Federico Vittorio Rapisarda, 68 anni, provveditore alle opere pubbliche di Lazio, Abruzzo e Sardegna del Mit: un funzionario da cui dipende la sorte di centinaia di appalti cruciali. Chi lo ha preso a bastonate a ottobre scorso? Ma soprattutto perché lo ha fatto? I magistrati della procura di Roma stanno mettendo insieme i pezzi.
Dopo aver identificato Giancarlo Santagati, 55 anni, come aggressore di Rapisarda, sono arrivati a Daniele Moretti: tecnico con esperienza in progettazione, direzione lavori e gestione contabile di opere pubbliche che ha lavorato per diversi ministeri, tra cui quello della Giustizia e degli Affari esteri, fino ad approdare nel 2016 nella segreteria tecnica di Rapisarda.
Chi indaga ipotizza che l’uomo, iscritto nel registro degli indagati, possa essere la mente dell’aggressione e che possa aver “istruito” sul da farsi Santagati che, accusato di tentato omicidio e rapina, al momento si trova in carcere.
Su questa storia, come detto, a emergere sono nuovi particolari. Un esempio? Quello riguardante la telefonata che avrebbe incastrato Moretti. Quest’ultimo, dall’ospedale dove si era recato per accertarsi delle condizioni di salute di Rapisarda, ha un contatto con Santagati.
Di cosa parlano? E come si conoscono? Gli inquirenti non solo scoprono che le telefonate tra i due uomini sono intercorse sia nei giorni dei sopralluoghi effettuati da Santagati nei pressi dell’abitazione di Rapisarda, ma anche che il legame tra il presunto esecutore materiale e Moretti non è nuovo. Entrambi, del resto, vivono a Vetralla, nel Viterbese, e Santagati, per come ricostruito, sarebbe il factotum di Moretti: gli cura il giardino, gli accudisce i cani, dicono fonti investigative.
Cosa c’è sotto? Fondamentale, per eventuali sviluppi giudiziari, sarà dunque il deposito delle copie forensi dei telefoni intestati a entrambi: dall’analisi dei dispositivi sequestrati dai carabinieri del nucleo Roma centro si potrà probabilmente rispondere a molte domande, a quelle che ancora non hanno risposta. Attesa anche la perizia, voluta dai pubblici ministeri, sulla dinamica dell’aggressione.
Il passato di Santagati
«Cose, cose accadute in Sicilia anni fa». È il 2014 e Giancarlo Santagati, originario di Gela (Caltanissetta) ma residente a Vetralla, dichiara davanti ai giudici del tribunale di Viterbo di camminare per le strade del paese con un fucile a canne mozze per fatti “siciliani” non meglio precisati. Con quello stesso fucile Santagati, nel mese di marzo del 2011, minaccia il proprietario di un locale: quest’ultimo, insieme a un amico, gli ha vietato di continuare a usare le slot machine presenti all’interno del bar.
Per la vicenda Santagati viene condannato in primo grado a scontare la pena di due anni e mezzo per minacce e detenzione di arma clandestina. Condanna che, in base a quanto si è appreso, va prescritta in appello.
Il “curriculum” di Santagati non è dunque immacolato. Oltre ai fatti di Vetralla di oltre dieci anni fa, l’uomo ha avuto un’altra condanna per rissa, anch’essa prescritta, e poi è risultato coinvolto in altre vicende. Tutti reati bagatellari, i suoi. O quasi.
Con l’aggressione a Santagati la sua posizione si “aggrava”. Intanto nel corso degli interrogatori davanti ai pubblici ministeri di Roma Santagati ha scelto per due volte di avvalersi della facoltà di non rispondere. Perché ha aggredito il fedelissimo di Matteo Salvini? E perché ha scelto di non parlare? Lo farà in futuro illuminando i punti rimasti oscuri in questa storia?
Fatti e moventi
Ma andiamo con ordine. E torniamo al 4 ottobre, quando Rapisarda viene aggredito alle spalle e con venti bastonate nel proprio condominio, a pochi passi da piazza di Spagna, da un uomo armato di bastone che gli ruba poi il borsone, contenente effetti personali: un asciugamano e una banana.
Grazie alle videocamere di sorveglianza si scoprirà che l’aggressore è proprio Santagati, che finisce subito in carcere: il pregiudicato nei giorni antecedenti al fatto aveva anche fatto dei sopralluoghi in zona.
Quali le ragioni dell’agguato? Ma soprattutto quali i legami tra Santagati e il provveditore interregionale per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna del ministero?
Gli investigatori, coordinati dal pm Giovanni Conzo, credono che ci sia qualcosa di strano. Non tanto questioni relative ad appalti: la pista è quella inerente alla vendetta personale. Perché Moretti vuole vendicarsi di Rapisarda?
Lo “sgarro” da punire nasce all’interno delle stanze del ministero guidato da Salvini? Tutto è ancora da accertare. Nel frattempo gli investigatori stanno cercando il telefono sulla cui utenza, intestata a un soggetto straniero, Daniele Moretti e Giancarlo Santagati hanno comunicato nei giorni dell’aggressione al super funzionario. Un vero e proprio giallo.
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