In Italia, più una persona è giovane, più è probabile che si trovi in condizioni di povertà assoluta. E più vive in un’area i cui i servizi sono carenti, più è probabile che rimanga in povertà. Sono dati che, però, non devono generare risposte d’emergenza ma spingere a un’analisi concreta della realtà del nostro Paese, delle ragioni che la determinano, in particolare dalla pandemia in poi, per proporre politiche pubbliche in grado di invertire la tendenza.

Con questo obiettivo, l’impresa sociale Con i Bambini insieme a Openpolis ha condotto il report “Giovani e periferie”: un’indagine sulla condizione dei minori per raccontare come vivono gli adolescenti nelle aree periferiche d’Italia e che cosa li differenzia dai coetanei che abitano in città.

Un’analisi basata sui dati per orientare anche la narrazione che fanno i media del “disagio giovanile”, per andare oltre i termini come «baby gang» o «maranza» a cui spesso si riduce il discorso sulla violenza. E inquadrare il fenomeno non come un’emergenza a cui rispondere frettolosamente, ma come strutturale, anche conseguenza di condizioni specifiche che si ripetono in determinate aree del Paese, che è diviso non solo tra Nord e Sud ma anche, all’interno di uno stesso Comune, tra centro e periferia, appunto.

«Dobbiamo porci il tema di come una società garantisce il benessere dei suoi ragazzi: se la società fallisce, c’è il disagio ed è anche da questo che si genera la violenza», spiega Vincenzo Smaldore, direttore sviluppo istituzionale di Openpolis durante la presentazione del report l’11 dicembre alla Camera dei deputati: «L’indagine, che si inserisce nel progetto Osservatorio povertà educativa, che va avanti da anni, intreccia una serie di dinamiche prima a livello nazionale e poi con focus in 14 città, da Bari a Venezia, per mostrare come un quadro chiaro di dove e in che modo le disuguaglianze agiscono in maniera preponderante metta in luce il legame tra le dimensioni che pesano soprattutto sulle spalle di chi vive in periferia: disagio socio-economico, dispersione scolastica, mancanza di servizi e spazi di aggregazione, condizione di neet».

Minori possibilità per sempre

Così, dal rapporto “Giovani e Periferie” si capisce che l’ascensore sociale in Italia è rotto. E che per questo la povertà educativa diventa una trappola da cui è difficile uscire soprattutto per chi vive nelle aree periferiche del Paese: «Chi cresce in una famiglia con minori possibilità economiche, generalmente ha anche minore accesso alle opportunità educative, sociali e culturali che potrebbero consentirgli di affrancarsi da una condizione di svantaggio», si legge nell’analisi che mostra, infatti, come il percorso di istruzione dei minori tende a riflettere le condizioni dei familiari e a influire lungo tutto l’arco di vita della persona.

Anche quando si parla di dispersione scolastica esplicita – dato in miglioramento se si guarda la media nazionale ma non altrettanto se si stringe il focus su alcune aree del Paese – e di quella implicita, cioè di chi pur andando a scuola presenta carenze gravi nelle competenze di base.

In città come Catania, Napoli e Palermo, ad esempio, la percentuale di famiglie che si trova in potenziale disagio economico è anche 4 o 5 volte superiore a quella che si rileva nel centro-nord. Ma anche all’interno dello stesso Comune i divari hanno dimensioni diverse: a Catania ad esempio, a fronte di una media cittadina del 6.2% si passa dal 3.1% del Terzo municipio al 9.3% del Sesto. A Napoli: si va dal 3% in quartieri come Arenella e Vomero al 9.2% di San Pietro a Patierno.

Le semplificazioni sono inutili

Ecco perché «offrire opportunità che rompano questo circolo vizioso è la principale sfida per le politiche pubbliche», si capisce ancora dall’indagine che invita ad andare oltre i dati nazionali e a calarsi nelle specifico dei territori, se si vuole promuovere la crescita del Paese.

Ma anche a interpretare i numeri con cautela e senza dimenticare la loro complessità: quando si legge, ad esempio, che il tasso dei minori presunti autori di delitti violenti denunciati o arrestati dalle forze dell’ordine è cresciuto del 54% negli ultimi anni, bisogna tenere presente che i dati prendono in considerazione un periodo troppo breve per essere definiti una tendenza, si deduce dalle parole del presidente di Con I Bambini, Marco Rossi Doria, che non chiede di sottovalutare il fenomeno della violenza giovanile ma neppure di ridurlo al binomio: «Povertà è sinonimo di baby gang».

Per Rossi Doria, quindi, è fondamentale intervenire comprendendo che i minori non apprendono a compartimenti stagni, o solo quando sono dentro gli edifici scolastici: «Ma in ogni ambito della loro vita. E che anche la percezione di insicurezza che ha chi abita in periferia influisce sulla percezione che ha di sé stesso. Per questo è fondamentale andare oltre stereotipi e semplificazioni, nei dibattiti e suoi giornali. Il rapporto fornisce un’ulteriore evidenza di come nelle periferie italiane i giovani continuino a scontare inaccettabili disparità nell’accesso a servizi educativi, culturali e sociali, sui cui è necessario lavorare per far crescere l’Italia. Come è possibile che in un Paese ricco come il nostro, con un basso tasso di natalità, esistano ancora divari così ampi dentro la stessa città? Investire sulle periferie significa garantire un futuro alle nuove generazioni».

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