Giovanni Russo, il responsabile dell’amministrazione penitenziaria, aveva promesso occupazione. Ma a un anno di distanza da quell’impegno la situazione dietro le sbarre è sempre più drammatica, mentre proprio questa settimana è stato superato il record di suicidi in cella in un anno
«Io nel giro di un anno sarò in grado di offrire a più della metà dei detenuti del nostro paese un’attività lavorativa». Una promessa dal sapore del miracolo quella pronunciata, 14 mesi fa, da Giovanni Russo, il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, magistrato in aspettativa e scelto dal governo delle destre per guidare il disastrato universo carcerario. Prima di entrare nel merito del roboante impegno assunto, più di un anno fa, bisogna svelare uno dei tratti distintivi di Russo: il silenzio.
Quando succede qualcosa di rilevante tra i corridoi di via Arenula, sede del ministero, e tra gli addetti ai lavori si solleva una domanda: ma Russo perché tace? A distanza di oltre un anno da quella promessa il capo del Dap fa i conti con un record assoluto, quello dei suicidi in carcere, è stato superato il numero osceno del 2022 quando in 84 si erano tolti la vita. Morti mentre erano nella mani dello stato, Russo a questa e ad altre domande di Domani ha scelto di non rispondere.
L’aria e Russo
Partiamo dall’ultimo scivolone del vero e unico riferimento del mondo carcerario, Andrea Delmastro Delle Vedove, esponente di spicco di Fratelli d’Italia, uno e trino, un poco ministro, un poco capo del Dap e anche sottosegretario di stato. Le parole del meloniano doc hanno suscitato diffuso disappunto. «L’idea di vedere sfilare questo potente mezzo che dà prestigio, con il Gruppo operativo mobile sopra, l’idea di far sapere ai cittadini (...) come noi non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato, è sicuramente per il sottoscritto una intima gioia», ha detto Delmastro alla presentazione della SsangYong Rexton Dream e-XDi220, auto avveniristica che suscita ilarità a guardare le condizioni delle carceri italiane.
«Una risata amara visto che nelle celle i detenuti si fanno la guerra per un materasso, quando entri in carcere la sensazione è di corpi ammassati, non ci arrivi a pensare alle necessità di quelle persone», dice Susanna Marietti di Antigone, una vita a difesa dei diritti dei reclusi. Torniamo alle parole di Delmastro che hanno provocato un piccolo tsunami politico, anche se dalle parti del Gom, il gruppo operativo mobile, dalle parti degli operatori del carcere duro, sono state accolte con gratitudine, depurate dal tratto di disumanità e percepite come atto di attenzione rispetto a quel mondo.
Ma la domanda è: mentre Delmastro si prende le sue responsabilità e piogge di critiche, Russo dove era? E cosa ne pensa di quelle parole? Non è dato sapere. Così come non è dato sapere cosa pensi sul recente calendario della penitenziaria presentato in pompa magna dove il carcere non si vede, ma ogni mese racconta di agenti in compagnia di caschi, scudi e manganelli.
Nelle ultime settimane il nome di Russo è tornato d’attualità, e non per i successi ottenuti da capo del Dap, bensì per il pregresso ruolo di numero due della Dna, la direzione nazionale antimafia. Avrebbe, infatti, segnalato anomalie nelle condotte di Pasquale Striano, indagato dalla procura di Perugia nella cosiddetta inchiesta sugli accessi abusivi in banca dati (che coinvolge tre giornalisti di Domani, tra questi anche chi scrive, ndr). Segnalazioni fantasma sentendo, invece, l’ex capo della Dna, oggi deputato del M5s, Federico Cafiero De Raho. «Io quell'atto non l'ho mai visto», ha raccontato quest’ultimo ai pm perugini.
Silenzio Albania
Negli ultimi mesi si è parlato di Albania e del trattamento riservato alla polizia penitenziaria, ma dal capo del Dap non sono arrivate parole o prese di posizione. Si inizia ad agosto con il lunare vademecum per gli agenti impegnati oltre confine. «Non corteggiate le donne e vestitevi in modo sobrio», si leggeva nel prontuario, dove si davano consigli anche su come prendere il caffè. Si arriva a settembre quando proprio Domani pubblicava le foto degli alloggi delle forze dell’ordine, alberghi con sauna e piscina, mentre la penitenziaria era destinata a vivere nello stesso carcere prefabbricato costruito per ospitare migranti riottosi.
Fino all’esito finale con l’istituto di pena trasformato in canile, uno scoop di questo giornale arrivato fino in Parlamento, e le stanze dell’istituto prive di antenna e con l’acqua razionata. Un disastro sul quale Russo non è mai intervenuto pubblicamente, gli stessi sindacati hanno più volte denunciato una caccia alle streghe per chi esprime criticità o rileva carenze nei servizi.
Le promesse mancate
Ma che fine ha fatto la promessa di lavoro per oltre la metà dei detenuti? Neanche su questo abbiamo ottenuto risposta, i dati raccontano il fallimento, gli ultimi disponibili indicano nel 33 per cento i reclusi impegnati in attività. Di accordi il ministero ne sottoscrive tanti, l’ultimo è con l’Ama, l’azienda di raccolta rifiuti capitolina, per l’attività di messa alla prova di indagati, imputati o condannati anche minorenni.
«Nel recente passato sono stati annunciati diversi accordi, ma non hanno funzionato. I detenuti sono aumentati, i reati pure e il quadro è cambiato. Il lavoro è sempre quello, poco e dequalificato, il carcere è stato luogo sperimentale dei contratti più atipici possibili con tempi di lavoro creativi», conclude Marietti. I detenuti hanno superato quota 62mila a fronte di una capienza ufficiale di 51mila posti, cifra dalla quale bisogna sottrarre oltre 4 mila non disponibili. Ci sono altri numeri da paese incivile.
«Le carceri sono al collasso e portano alla morte: in un anno 232 decessi totali, di cui 85 suicidi e 1133 tentativi di suicidi. Ho la percezione che i provvedimenti dell’ultimo anno utilizzano il diritto penale per allontanare il nemico. Nuovi reati che identificano nuovi nemici: mendicanti, protestanti, occupanti, detenuti, nomadi, immigrati, tossicodipendenti», dice Samuele Ciambriello, portavoce nazionale dei garanti dei detenuti. Ma proprio su questo il Dap è intervenuto.
I numeri del Dap
«Sono 79 le persone detenute che a oggi si sono tolte la vita all’interno degli istituti penitenziari. Il dato si riferisce al numero dei casi per i quali le evidenze dei fatti hanno escluso la necessità di ulteriori accertamenti da parte dell’autorità giudiziaria». Una precisazione accolta con disappunto da associazioni e garanti territoriali, poche ore da Verona è arrivata la notizia di un ragazzo di 24 anni che si è impiccato nella cella del carcere, lo hanno soccorso, ma non si è salvato.
Anche la Uil parla di 86 suicidi ricordando anche i 7 agenti che si sono tolti la vita prima di attaccare duramente l’amministrazione penitenziaria: «Il Dap farebbe bene a sfruttare la tecnologia per prevenire e impedire queste morti e non solo per conteggiarle alla stregua dei necrofori, per di più malamente e per “mera statistica”».
Il segretario del sindacato della polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio, ricorda una situazione ormai al collasso con gli agenti che dall’inizio dell’anno hanno subito almeno 3 mila aggressioni. «Sembra che a qualcuno sfugga che non si parla di semplici numeri, ma di vite umane spezzate da un sistema penitenziario assolutamente fallimentare, diffusamente illegale e che, a nostro parere, non risponde neppure ai presupposti giuridici per il suo mantenimento. Per quanto qualcuno si creda assolto, è già per sempre coinvolto», conclude De Fazio. Silenti.
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