Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra.

La riconducibilità del movente del delitto alla coraggiosa attività giornalistica svolta da Mario Francese in ordine alle vicende mafiose fu immediatamente compresa con chiarezza dai massimi rappresentanti dell’azienda editoriale. Al riguardo, l’attuale direttore del "Giornale di Sicilia", Antonio Giuseppe Ardizzone, nel verbale di assunzione di informazioni del 25 giugno 1998, ha dichiarato: «Subito dopo il grave episodio ricordo che ci riunimmo con il direttore e i capi redattori per un commento immediato e successivamente, non ricordo se la sera stessa o l’indomani mattina, insieme con mio padre Federico Ardizzone, entrambi amministratori delegati della società ed uno dei due anche presidente (…), e con il direttore Lino Rizzi decidemmo, in segno di solidarietà e quale immediato aiuto nei confronti della famiglia, di assumere il figlio di Mario, Giulio Francese presso il Giornale di Sicilia in qualità di giornalista, professione che già svolgeva presso altra testata. Ricordo, inoltre, che ci ponemmo subito la domanda circa il possibile movente del delitto e fummo concordi nel ritenere che verosimilmente la causa era da ricercare nell’attività professionale svolta dal Francese e soprattutto nel modo coraggioso di svolgere le proprie inchieste, riguardanti principalmente omicidi e fatti di mafia, nonché nell’attività di acquisizione di notizie dagli informatori».

L’omicidio di Mario Francese convinse Lino Rizzi che il giornale da lui diretto «era stato ormai preso nel mirino» (v. il verbale di assunzione di informazioni rese dal Rizzi in data 8 gennaio 1997).

Lo stesso Rizzi aveva subito un attentato incendiario nella notte del 22 settembre 1978: alle ore 1.10 era, infatti, giunta al centralino del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Palermo la segnalazione anonima della presenza di una autovettura in fiamme in Via Alloro; il personale della Squadra Mobile della Questura, giunto sul luogo, constatò che era stata cosparsa di liquido infiammabile ed incendiata l’autovettura Fiat 131 targata PA 442472, di proprietà del "Giornale di Sicilia S.p.A." ed utilizzata esclusivamente dal direttore del quotidiano, Lino Rizzi, il quale la aveva parcheggiata intorno alle ore 00.45 davanti alla sua abitazione, sita in Via Butera n. 28, a breve distanza dallo spiazzo disabitato in cui il mezzo era stato dato alle fiamme (cfr. la segnalazione di reato del 22 settembre 1978 e la successiva nota del Dirigente della Squadra Mobile della Questura di Palermo, nonché il processo verbale di denunzia reso dal Rizzi).

Un altro grave gesto intimidatorio fu realizzato circa un mese dopo, in danno del capo cronista del "Giornale di Sicilia", Lucio Galluzzo.

Un’auto bruciata, una villa in fiamme

In data 24 ottobre 1978, intorno alle ore 23, ai Carabinieri di Casteldaccia giunse la notizia che si era sviluppato un incendio in un villino sito nel territorio del medesimo comune, in località Stazzone, di proprietà di Lucio Galluzzo. Sul luogo intervennero anche i Vigili del Fuoco di Palermo. Il fuoco venne domato nelle prime ore del mattino. L’incendio, che distrusse o danneggiò le porte e finestre interne ed esterne e bruciò tutto quanto si trovava nel primo piano dell’immobile, era stato provocato dalla benzina cosparsa nell’ambiente e contenuta in un bidoncino di plastica, rinvenuto nella sala soggiorno (v. il rapporto giudiziario del 20/11/1978 della Compagnia di Bagheria dei Carabinieri).

Nelle sommarie informazioni rese il 30 ottobre 1978, il Galluzzo fece riferimento al precedente incendio dell’autovettura utilizzata dal Rizzi ed aggiunse: «Il fatto che nel giro di due mesi e con modalità analoghe in quanto al mezzo (la benzina) siano stati colpiti due giornalisti dello stesso Giornale di Sicilia, mi induce a ritenere che possa esservi un nesso tra i due episodi».

Il Galluzzo dopo il predetto episodio intimidatorio avvertì un forte senso di solitudine. Nel verbale di sommarie informazioni testimoniali del 6 febbraio 1979 egli ha riferito: «Dovetti registrare con profondo rammarico e comprensibile turbamento che all’incendio di casa non fece seguito alcun atto di solidarietà di gran parte dei colleghi e dell’organo rappresentativo sindacale interno». La notizia dell’attentato non fu pubblicata sul "Giornale di Sicilia". Il Galluzzo si dimise dal suo incarico di capo cronista del "Giornale di Sicilia" e cessò l’attività lavorativa con decorrenza dal 30 dicembre 1978; il 1° gennaio 1979 ritornò a lavorare presso l'A.N.S.A.. Nel verbale di assunzione di informazioni del 14 aprile 1998, il Galluzzo ha precisato: «La mia decisione di lasciare il Giornale è stata determinata dalla constatazione della sostanziale solitudine nella quale, di fronte a gravi episodi, tanto io quanto il Direttore ci venimmo a trovare. Il che non significa che io non avessi paura. Anzi la consapevolezza di quella solitudine ha ingigantito la paura, che già si era dilatata, dopo l’incendio della villa, coinvolgendo la mia famiglia. Resomi conto della situazione venutasi a creare, decisi di andarmene e invitai Lino RIZZI, da amico, a fare lo stesso».

La grande passione per il giornalismo

Circa due anni dopo, Lino Rizzi lasciò l’incarico di direttore del "Giornale di Sicilia", che aveva assunto nei primi giorni del mese di gennaio del 1977; al riguardo, nel verbale di assunzione di informazioni dell’8 gennaio 1977, il Rizzi ha dichiarato: «Alla fine del 1980, dopo che erano stati commessi a Palermo una serie di omicidi eclatanti, quali quello di Boris Giuliano, del giudice Terranova, di Mattarella, e dello stesso FRANCESE, omicidio questo che mi aveva convinto del fatto che il Giornale da me diretto era stato ormai preso nel mirino, ho maturato la convinzione di interrompere quella esperienza professionale. Ero solo a Palermo, senza la mia famiglia, ed il clima era certamente divenuto pesante. Io stesso ero stato oggetto di un attentato, ed allo scadere dei quattro anni ho manifestato agli editori la mia intenzione di lasciare il Giornale di Sicilia».

Mario Francese, quando fu ucciso, aveva ripreso la propria attività lavorativa da 26 giorni, dopo un periodo di convalescenza che aveva fatto seguito ad un infarto che lo aveva colpito il 5 settembre 1978; come ha ricordato il figlio Giulio, «psicologicamente sembrava rinato per essere tornato al lavoro» (v. il verbale di sommarie informazioni rese il 31 gennaio 1979 e il verbale di spontanee dichiarazioni rese il 7 marzo 1994 da Giulio Francese). Era l’unico giornalista ad occuparsi di cronaca giudiziaria all’interno della redazione del quotidiano (cfr. il verbale di assunzione di informazioni rese da Giulio Francese il 4 aprile 1998); come ha esplicitato il collega Ettore Serio nel verbale di sommarie informazioni testimoniali del 22 aprile 2000, Mario Francese «si occupava di un settore di cui nessuno si voleva occupare per cui era in una specie di isola deserta». La grande passione di Mario Francese per il lavoro che svolgeva, e la sua ferma determinazione di continuare l’attività giornalistica nello stesso settore, sono evidenziate dal seguente episodio, narrato dal figlio Giulio Francese nel verbale di assunzione di informazioni del 4 aprile 1998: «Quando si trovava ancora in convalescenza, ma si recava già qualche volta al Giornale, è rientrato in casa molto amareggiato dicendo che “si ventilava” la possibilità del suo trasferimento dalla “giudiziaria” alla “regionale”. Ricordo anche che mio padre disse che così sarebbe morto. Quello della “regionale” è infatti un lavoro completamente diverso da quello che mio padre era abituato a fare quale cronista giudiziario, lavoro che è oggettivamente più attivo di quello che si fa alla “regionale”, di natura più che altro amministrativa. Peraltro il “ventilato” trasferimento avrebbe comportato in quel momento per mio padre la necessità di abbandonare il (…) dossier sulla mafia».

Sul "Giornale di Sicilia" del 28 gennaio 1979 venne pubblicato un articolo di Nonuccio Anselmo, dal titolo «Se mi tolgono la “giudiziaria” mi uccidono», nel quale l’autore narrava il seguente episodio: «L’ultimo lungo colloquio con Mario Francese l’ebbi poco meno di un mese fa. Ero ancora membro del comitato di redazione, l’organismo sindacale aziendale dei giornalisti. Chiese di parlarmi poco prima di andarsene a casa, alla fine del suo lavoro, verso le nove (…). Era agitato. Ci chiudemmo in uno dei salottini della redazione per parlare con calma. Era preoccupato perché aveva appreso che il direttore e il redattore capo pensavano ad una sua possibile sostituzione al Palazzo di Giustizia. L’idea andava maturando da quando era stato colpito dall’infarto. Non era legata a fatti professionali, ma soltanto alla preoccupazione per la sua salute. Mario, al Palazzo di Giustizia, benché fosse ormai di casa, non faceva la vita comoda. Non si risparmiava. (…) Si pensava che in redazione si sarebbe affaticato di meno. Quella sera compresi che il rimedio sarebbe stato peggiore del male: se ne parlava soltanto, e già era in agitazione. (…) Per chiudere ogni possibile discorso mi disse: “Sai, preferisco morire d’infarto e non morire professionalmente; ho sempre fatto la giudiziaria”. Gli dissi di stare tranquillo, di pazientare perché non c’era ancora nulla di deciso. Che forse non se ne sarebbe fatto niente. Infatti, non se n’era fatto niente, perché tutti ci eravamo resi conto che, pensando di aiutarlo, forse lo avremmo ammazzato sul serio».

La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.

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