Quando nel 1901 John Francis Queeny fondò con 5mila dollari la Monsanto a Saint Louis, mai avrebbe pensato che oltre un secolo dopo l’azienda sarebbe arrivata a fatturare miliardi di dollari l’anno e che poi sarebbe stata acquisita dal colosso farmaceutico tedesco Bayer. Una fortuna economica garantita da una forte attività di lobbing e originata soprattutto dalla scoperta e vendita dell’erbicida più impiegato al mondo: il glifosato.

Da quando è stato approvato l’utilizzo del glifosato in agricoltura, intorno ai primi anni Settanta, in poco tempo il diserbante è entrato nel settore agroalimentare di oltre 130 paesi. A cinquant’anni di distanza, però, molti stati hanno iniziato a limitarne l’uso per via delle crescenti preoccupazioni sulla salute umana e dell’impatto ambientale della molecola chimica creata nei laboratori della Monsanto da John Franz.

L’ultimo organismo ad esprimersi sul caso è l’Efsa (l’agenza europea per la sicurezza alimentare) che ha pubblicato ieri un parere scientifico atteso da fine 2022, quando l’Ue ha rinnovato l’autorizzazione sull’uso del glifosato fino al prossimo dicembre. Nel suo giudizio finale, l’Efsa scrive che «non ha individuato alcuna area di preoccupazione critica in relazione al rischio che esso comporta per l’uomo, gli animali o l’ambiente».

Tuttavia, l’Agenzia ammette che ci sono alcune lacune nei dati e «tra le questioni che non è stato possibile risolvere in via definitiva rientrano la valutazione di una delle impurità presenti nel glifosato, la valutazione del rischio alimentare per i consumatori e la valutazione dei rischi per le piante acquatiche». Ora spetterà alla Commissione europea elaborare un’informativa e presentarla agli stati membri, che sono ancora divisi sul tema. Le conclusioni dell’Efsa – accusata nel 2015 di essere stata influenzata dalla lobby della Monsanto – sono opposte alle richieste delle associazioni che da anni cercano di tenere alta l’attenzione sui rischi del glifosato.

«Ci sono una serie di dimostrazioni scientifiche che ci dicono che è potenzialmente cancerogeno e quindi per un principio di precauzione abbiamo chiesto con decisione che fosse messo al bando in maniera definitiva», dice Angelo Gentili responsabile nazionale agricoltura Legambiente. «Come paesi europei dobbiamo dare un segnale per salvaguardare l’ambiente», aggiunge.

Le criticità

Nell’ultima decade diversi studi hanno analizzato gli effetti collaterali del glifosato e il suo impatto sulla salute. Lo Iarc (l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) organismo dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) lo ha categorizzato come un probabile cancerogeno. Tuttavia, la maggior parte degli studi realizzati in passato rischiano di essere parziali dato che hanno analizzato solo il principio attivo del glifosato che non viene utilizzato in purezza ma viene miscelato con altre sostanze chimiche e a volte anche con altri pesticidi. «Non c’è nessuno che fa una valutazione sul prodotto finale che viene commercializzato e quindi sugli eventuali effetti sinergici che questo principio attivo può avere con altre sostanze», spiega Federica Ferrario di Greenpeace.

Il dibattito sul glifosato è acceso sia in Europa che oltreoceano. In diverse aule giudiziarie degli Stati Uniti, dove sono state intentate circa 31mila cause contro la Monsanto, si è arrivati a dimostrare come l’esposizione al glifosato in alcuni casi abbia causato forme di linfomi non Hodking. Lo scorso anno la Corte federale degli Stati Uniti ha accusato l’Epa, l’Agenzia per la protezione ambientale, di non aver valutato adeguatamente se il glifosato causi il cancro e di essersi sottratta ai suoi doveri quando, nel gennaio del 2020, l’amministrazione Trump ha prorogato l‘uso dell’erbicida.

Le divisioni dentro l’Ue

Nonostante i dubbi, nel 2017, l’Ue ha rinnovato l’autorizzazione all’uso del glifosato fino al 2022 con soli nove paesi contrari tra cui Italia, Belgio, Grecia, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Malta e Austria. Un’estensione temporanea dell’autorizzazione arrivata anche per via dell’astensione della Germania e per il via libera dei paesi nordici. Lo scorso anno Bruxelles, in attesa del parere dell’Efsa, ha deciso di estendere l’autorizzazione per un altro anno fino al prossimo dicembre. Ora saranno gli stati a dover adottare una decisione politica sul tema.

Non è ancora chiara la posizione del governo Meloni. Il ministero dell’Ambiente guidato da Gilberto Pichetto Fratin ha fatto sapere che per il momento si attende l’informativa della Commissione europea prima di prendere una decisione. «Gli stati membri – ivi compresa l’Italia – dovranno esaminare le conclusioni rilasciate da Efsa ed Echa prima di determinare una loro posizione in merito all’eventuale rinnovo dell’approvazione di questa sostanza attiva», ha detto invece il ministero della Salute. Intanto, i paesi membri hanno deciso di inserire alcune restrizioni all’utilizzo del glifosato: nel 2016 l’Italia ha vietato l’uso del glifosato in preraccolta e ha posto restrizioni all’uso nelle aree frequentate dal pubblico. Il governo tedesco nel febbraio del 2021 ha approvato una legge che impone agli agricoltori di ridurre gradualmente l’uso del glifosato per poi eliminarlo entro il 2024. In Danimarca, l’Autorità per l’ambiente di lavoro ha classificato il glifosato cancerogeno e ha raccomandato di usare altri prodotti chimici. E così via.

Contaminazione ambientale

Oltre ai rischi per la salute umana, il glifosato ha anche un impatto ambientale. Gli ultimi rilevamenti dell’Ispra pubblicati nel 2022 hanno riscontrato che nelle acque superficiali italiane le sostanze più ricorrenti sono gli erbicidi. Nello specifico, «il glifosato e il metabolita Ampa, cercati in 14 regioni, sono stati riscontrati con frequenze complessive rispettivamente del 42 per cento e del 68 per cento» si legge nell’ultimo rapporto Ispra. In 561 punti di monitoraggio sono state registrate concentrazioni di glifosato superiori ai limiti ambientali.

«Basta che ci sia un po’ di vento che questa sostanza viene diffuso nell’ambiente circostante e se ci sono nelle vicinanze strutture come scuole o campi sportivi la sostanza entra più facilmente a contatto con le persone», spiega Federica Ferrario. «Inoltre, lo scorso anno ci sono stati fenomeni concentrati di spopolamento che hanno riguardato oltre 10 milioni di api nel periodo della pre-semina in aree di grandi monoculture e dove spesso si utilizza il glifosato prima di andare a seminare».

Il paradosso canadese

Se in Europa sono stati introdotti dei limiti al glifosato, altrove non è così. Il Canada è uno dei paesi più attenzionati sotto questo punto di vista, dato che il potente erbicida viene utilizzato anche in fase di preraccolta per essiccare il grano, una pratica che lascia all’interno della piante una maggiore quantità di residui di glifosato. Il grano canadese, però, arriva anche in Europa dove spesso viene impiegato per produrre soprattutto la pasta.

Ovviamente sempre all’interno dei limiti di concentrazione consentiti dalla normativa. Soltanto nel 2023 le importazioni italiane di grano canadese sono aumentate del 747 per cento anche grazie al Ceta, l’accordo di libero scambio tra Canada e Ue. Nell’accordo si legge che «le misure adottate da entrambe le parti al fine di garantire la sicurezza alimentare e la salute di piante e animali non devono costituire barriere superflue e ingiustificate agli scambi commerciali ma piuttosto devono facilitarli». Un monito per le prossime decisioni.

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