C’è stato un momento nel quale la carriera politica di Harry Reid, ex senatore del Nevada scomparso il 28 dicembre all’età di 82 anni, poteva finire in modo improvviso. Siamo nel 2010. Reid è il potente leader dei democratici al Senato. Guida una maggioranza di 59 senatori grazie ai quali ha approvato due riforme chiave del primo biennio di Barack Obama: il piano di stimolo all’economia da 787 miliardi di dollari, fino ad allora il più ambizioso piano di rilancio dell’economia dopo gli anni del New Deal, e la riforma sanitaria basata su un sistema di obbligo individuale di ottenere un piano sanitario, definito Obamacare.

La politica americana è già fortemente polarizzata: parte dei dem, come il senatore del Nebraska Ben Nelson o il deputato dello Utah Jim Matheson, sostiene a malincuore l’agenda primo presidente americano. Troppo progressista per loro che devono farsi eleggere da un elettorato fortemente conservatore.

Il più impopolare

Harry Reid con la sua esperta guida riesce a mantenere unita una compagine piuttosto eterogenea: dai quasi conservatori come lo stesso Nelson, Mark Pryor e Blanche Lincoln fino ai progressisti come Bernie Sanders e Al Franken. Al contrario, alla Camera, ogni volta è uno stillicidio di voti. La riforma sanitaria passa per soli sette sì, nonostante una maggioranza di quasi quaranta.

Eppure, o forse proprio per questo, Harry Reid nel 2010 è forse il politico più impopolare del paese. Politico di professione, accusato di gestire il Senato come «una piantagione di schiavi», rappresenta la vecchia politica di Washington, fatta di accordi sottobanco e di compromessi che vanno contro “i principi”, siano essi di destra o di sinistra.

A sfidarlo è Sharron Angle, una politica locale che cavalca l’onda del Tea Party. Secondo l’ala più conservatrice del partito repubblicano, quella che loro propongono contro le tasse è una «rivoluzione libertaria» che prevede, tra le altre cose, una forte opposizione all’aborto e l’eliminazione del dipartimento federale dell’istruzione, per lasciare la gestione dei programmi scolastici ai singoli stati (una questione che anche nell’odierna polemica contro la Critical race theory mostra ancora una certa presa) e la privatizzazione del sistema pensionistico.

Il Midterm

Durante il dibattito del 14 ottobre, Angle attacca Reid anche personalmente. Si sarebbe arricchito da senatore grazie ai legami con il tessuto economico di Las Vegas, che gli permetterebbe di vivere durante i suoi soggiorni a Washington in una lussuosa suite all’hotel Ritz-Carlton. «Abbi coraggio delle tue azioni, Harry Reid», gli urla contro.

Il vecchio senatore sembra spacciato. Il midterm non è favorevole per i presidenti in carica e Obama non fa eccezione, anzi: l’Obamacare stenta a decollare e viene vista dalle imprese come l’ennesimo, inutile, obbligo burocratico a cui adempiere per i propri dipendenti. I sondaggi, anche quelli dei media amici, danno Reid per battuto di misura. Poi arriva il giorno del voto.

Il leader democratico vince con il 50 per cento dei voti rispetto al 44 per cento della sua avversaria, che non ammette la sconfitta. Anzi, accusa di aver rubato l’elezione grazie «agli immigrati clandestini».

Questo perché? Reid vinse grazie al loro voto e all’organizzazione a sostegno della sua candidatura. Che non previde soltanto una difesa di quanto fatto finora, ma anche il pagamento di autobus per andare a portare fisicamente le persone al seggio. Il senatore li ringrazia dicendo «non so se avrei vinto senza il loro sostegno, probabilmente no».

Nato in una baracca

Lo stesso Reid non era quello che sembrava: non era il rampollo di una dinastia politica come il suo collega di allora Ted Kennedy. Era nato in una piccola baracca nel villaggio minerario di Searchlight, senza acqua corrente, bagno e telefono. Si deve trasferire da alcuni parenti per studiare alle scuole superiori, dove si fa strada anche grazie alla sua abilità nel pugilato.

Si laurea alla Utah State University grazie a una borsa di studio in scienze politiche e prende la sua abilitazione a esercitare come avvocato mentre lavora come poliziotto al Campidoglio, posto ottenuto grazie a un suo amico politico, il suo ex insegnante di boxe Mike O’ Callaghan.

All’età di trent’anni, entra in politica come membro dell’assemblea statale del Nevada e poi come vicegovernatore proprio di O’Callaghan, con il quale inaugura una partnership proficua, che lo porta a occupare la posizione di capo della commissione sul gioco d’azzardo nel 1977.

Lì riesce a incastrare Jack Gordon, un manager che gli propone una tangente di dodici mila dollari per aprire nuovi casinò. Ma lo fa arrestare dall’Fbi, non prima però di perdere le staffe e di tentare di strangolarlo urlando «Hai tentato di corrompermi, eh figlio di puttana?», tanto che sono gli agenti che arrestando Gordon lo allontanano.

Un uomo con questa tempra di combattente non poteva che scalare la leadership del Senato, fino al vertice, dove avrebbe sfidato un presidente popolare come George W. Bush dopo l’11 settembre, definendo «perdente e bugiardo». Dopo si sarebbe scusato ma solo per averlo definito perdente. Non solo: riesce ad affrontare con successo l’ostruzionismo duro della sua controparte repubblicana Mitch McConnell, abbassando il quorum per le nomine federali alla maggioranza semplice per togliergli un’arma di ostruzionismo.

Senza rivali

Da allora, il leader repubblicano non ha mai avuto un avversario all’altezza, come riconosce nel suo elogio funebre: «In parallelo abbiamo raggiunto gli stessi risultati».

Ai democratici odierni una figura come quella di Harry Reid manca: capace di domare anche i membri più riottosi senza aspettare l’intervento della Casa Bianca, affrontando un gruppo di democratici conservatori molto più nutrito e determinato dei due senatori centristi di oggi, Joe Manchin e Krysten Sinema.

Sulla necessità di organizzare i votanti in modo anche “militarizzato” al momento l’unica voce di un certo peso è Stacey Abrams. Perché contro un partito repubblicano determinato a vincere anche rendendo difficile l’accesso al voto non si può ricorrere solo al consenso per i programmi elettorali. Ci vuole anche un’organizzazione sul terreno. Questo Harry Reid lo sapeva bene. Chissà se il suo ex collega al Senato Joe Biden lo ricorda.

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