Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, si continua con la narrazione del patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi.

Uno dei motivi per cui la mafia sta diventando invisibile e invincibile sta nel fatto che se ne riconosce solo la sua dimensione giuridica, che corrisponde in gran parte alla sua versione militare. Si combatte solo se è visibile e se ha i requisiti dell’articolo 416-bis del codice penale. Il modello catanese che prevede un patto tra poteri civili e criminali ha reso ancor più invisibili gli affari di Cosa nostra. Nessuno ha mai provato a fare una indagine “chimica” per capire di cosa è composto l’ambiente naturale in cui opera.

Infatti qui non discutiamo della mafia come concetto giuridico. Di quella devono occuparsi i tribunali. Noi dobbiamo occuparci invece delle sue componenti sociali diffuse, impalpabili e indescrivibili e, solo per questo, impossibili da ricomprendere in una norma di legge. Sempre più essa si presenta come miscela di ingredienti tossici, che solo alchimisti esperti sanno creare ad arte e utilizzare. Mi rifiuto di credere che la Sicilia sia divenuta mafiosa dal basso.

Uno strumento per governare

La mafia – specie quella catanese – è stata ed è essenzialmente uno strumento di governo; una condizione diffusa che consente di agire senza logica e senza democrazia, eppure mantenendo il consenso sociale. Negli ultimi dieci anni le procure distrettuali di Catania e di Messina hanno richiesto e ottenuto il sequestro e la confisca di beni per centinaia di milioni di euro. Ristoranti, discoteche, imprese commerciali, società finanziarie e immobiliari erano gestite da colletti bianchi in nome e per conto di Cosa nostra, circondate dalla credibilità e dalla cortesia dei loro rappresentanti e coperte dal silenzio o dalla ignoranza della società circostante. Come si sia determinata questa cortina di indifferenza rispetto alla nuova mafia degli affari è presto detto.

Una società infiltrata da un male invisibile reagisce in genere cercando untori da colpire, miti del male da crocifiggere, mentre i veri autori del male si travestono da buoni per confonderci le idee. E così può essere utile far credere che occorrono solo ergastoli da comminare a nuovi mostri; perché di icone del male ce ne è proprio bisogno. Non importa se le creiamo noi stessi; se facciamo diventare mostri dei ragazzini nati con un destino segnato dalla miseria. Dobbiamo essere rassicurati dal fatto che i mostri esistono e che rappresentano la mafia perché sono diversi dalla gente “per bene”. Cosicché tra coloro che si considerano per bene possano nascondersi nuovi ladri e approfittatori, speculatori, traditori delle più elementari regole della solidarietà e della democrazia. Nella strategia di Nitto Santapaola di conquista della Catania bene questa ipocrisia sociale era ben presente: una volta conquistata col denaro la società che conta, acquisitene le abitudini e condizionatane la vita sociale, i mafiosi travestiti da borghesi perbene sarebbero divenuti intoccabili: esattamente come lo sono stati per anni i potenti della Catania bene che hanno accumulato soldi e potere sulla pelle della città più povera, senza che nessuno potesse osare chiamarli col nome che spetterebbe loro.

Le condizioni chimiche della mafia

Se ciò è potuto avvenire è perché talune condizioni e abitudini che favoriscono la mafia sono disciolte nell’aria che respiriamo: non ci accorgiamo che l’aria è infetta e che quel tanfo di mafia – che crediamo di sentire addosso soltanto a Riina e Santapaola e ai loro eredi – in realtà ce lo portiamo dentro. Un po’ di mafia abita incolpevolmente dentro coloro che respirano quell’aria, nelle abitudini, nel modo di intendere la vita e i rapporti con gli altri. Come una quota di bene sta dentro i cattivi, come un po’ di maschio sta dentro ogni femmina e viceversa; come un macchia microscopica e invisibile sporca anche il diamante che sembra più puro. Insomma con la mafia come condizione di vita devono fare i conti tutti, esattamente come con le condizioni meteorologiche. Ad alcuni la sua presenza fa l’effetto di un anticorpo che è utile a combattere il fenomeno; in altri, questa condizione a volte prende il sopravvento, in modo più o meno visibile. Anche se non è riconosciuta e punita, abita dentro stimatissimi uomini carichi di responsabilità pubbliche, e poi si manifesta: come strumento di sopraffazione, tentativo di zittire chi è debole, occasione di arricchimento ingiusto. Ma queste bieche e abiette finalità vengono rese occulte da alcuni atteggiamenti che fanno parte di un modo tradizionale di interpretare la vita. Ve ne sono alcuni che sono molto diffusi tra le persone semplici – forse retaggio di anni di dominazioni e di signorie feudali – e che appaiono come elementi di struttura sociale. Per farcene una ragione possiamo considerarle un effetto collaterale dell’essere noi siciliani fatti di “orgoglio e pudore stretti in inestricabile nodo”, come diceva Bufalino, e dunque interpretarla come istintiva forma di autodifesa collettiva e individuale. Possiamo considerarle come ci pare, ma esistono e sono più presenti di quanto si possa pensare.

Dobbiamo dunque imparare a cercare le singole componenti chimiche della mafia e anche a riconoscerle in comportamenti tenuti nella vita di tutti i giorni. Per poterli prevenire e contrastare non dobbiamo avere paura di riconoscere che alcuni comportamenti che ne favoriscono il progredire sono presenti tra noi e ricorrono anche nella cultura e nelle azioni di rispettabilissime persone.

Testi tratti dal libro "Cosa Nostra S.p.a., di Sebastiano Ardita

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