Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, si continua con la narrazione del patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi.

Che la mafia sia cambiata ce lo dicono gli stessi mafiosi.

Nel processo alla mafia catanese denominato Iblis sono state registrate conversazioni dell’allora reggente della famiglia mafiosa catanese Vincenzo Aiello da cui si ricava un modello diverso rispetto a quello della violenza e della minaccia. Aiello, con tono indispettito e con spirito di emulazione, parlava di lobby «con termini che» secondo il giudice «inducono a ritenere che si tratti di una consociazione estranea a Cosa nostra catanese – ma non irrilevante rispetto alle sue dinamiche [NdA] – (e dove il Ciancio viene accomunato ad altri, molto noti, imprenditori catanesi), dicendo pure “Hanno la magistratura dalla loro parte”».

Aiello pronunzia quelle parole proprio mentre l’azienda Tenutella, che ha dietro di sé Cosa nostra, compete per realizzare l’affare del Centro Sicilia: un affare da conquistare con le alleanze, piuttosto che imbracciando le lupare. Al di là della inquietante suggestione delle parole pronunciate dal capo pro-tempore del gruppo Santapaola, quello che sconcerta è infatti la sua volontà di contrastare la “concorrenza” attraverso strumenti analoghi: rapporti con la politica, patti con imprenditori, controllo e gestione degli appalti. Egli dunque ispira la propria azione alle lobby presenti in città e le vuole emulare. Sembrerebbe una svolta per la mafia, ma se guardiamo bene è lo stesso metodo attuato da Nitto Santapaola a partire dagli anni Settanta. Potrebbe essere una grande novità per Cosa nostra; ma nessuna novità per Cosa nostra catanese.

Il giudice di Messina Salvatore Mastroeni, con la pregevole ordinanza cautelare BETA del giugno 2017, mandava in carcere professionisti, imprenditori, funzionari pubblici, per la prima volta mettendo a nudo il vero volto della Cosa nostra che corre sull’asse Messina-Catania. Nel descrivere il fenomeno parlava di «una mafia pulita, ricchissima e impunita, posta nel salotto bene della città. I mezzi non sono più le armi, che pur ancora ci sono. Ma sono imprese, professionisti, soldi, sistemi paralegali per aggirare la legalità. Sono corruzione e una disponibilità generale ad avere strumenti e leve per appalti. Per la gestione del moderno e lucroso affare del gioco e delle scommesse. Per mantenere anche vecchie tradizioni locali, come le corse di cavalli».

Dunque quello che veniva considerato un tempo il concorso esterno – il mondo delle corruzioni, degli appoggi trasversali, delle rivelazioni di segreti strategici; i rapporti politici; la protezione dei latitanti; l’agevolazione negli investimenti – è oggi la vera essenza della mafia. E se vogliamo sconfiggere la mafia occorre partire proprio da esso. Santo La Causa ha raccontato come il gruppo Santapaola oramai si avvale di questi strumenti anziché di quelli dell’intimidazione. Ma è chiaro che, all’occorrenza, se si deve eliminare qualcuno o lo si deve fare scomparire, lo si fa eccome… Insomma violenza e comportamenti di agevolazione occulta coesistono nella nuova mafia, ma i secondi sono oggi prevalenti rispetto ai primi.

Testi tratti dal libro "Cosa Nostra S.p.a., di Sebastiano Ardita

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