Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Si è già accennato in precedenza che l’organizzazione del progetto criminoso non poteva prescindere da un elemento, cioè l’accertamento, con un sufficiente anticipo, dell’arrivo del giudice, perché era necessario, come si può immaginare sin da ora, attivare tutta la serie di meccanismi necessari per poter arrivare all’esplosione, e cioè, principalmente, collegare i fili del detonatore alla ricevente e far appostare il commando esecutivo sulla collinetta.

La incertezza su tale incognita poteva essere superata attraverso due soluzioni, di cui la prima, e anche la più semplice dal punto di vista astratto, si incentrava sull’input proveniente da Roma che segnalava la partenza del dott. Falcone.

La meritevolezza di tale soluzione si apprezza nella misura in cui sarebbe stato sufficiente seguire gli spostamenti del giudice nella capitale, per poi avvisare la Sicilia nel momento in cui egli si dirigeva all’aeroporto: lo stanziamento di uomini da destinare a tale operazione avrebbe però sicuramente comportato un sacrificio per l’organizzazione, perchè si trattava di collocare e far muovere un gruppo nel continente, in un area sulla quale Cosa Nostra non godeva di tutto il supporto su cui poteva contare in Sicilia.

Ma anche a dare per buona tale soluzione, era comunque necessario per maggiore sicurezza che si prevedesse, come minimo, un osservatore a Punta Raisi per avere la certezza che il giudice atterrasse a Palermo.

Vero è che tale incertezza poteva essere mitigata dalla predisposizione di un servizio di monitoraggio delle abitudini di vita della vittima, in modo tale da poter verificare statisticamente con quale frequenza egli ritornava a Palermo e se vi fosse un periodo della settimana in cui tali rientri erano più usuali: tale attività però nulla aggiungeva al bisogno di verificare l’effettivo arrivo del giudice all’aeroporto, perché solo tale elemento avrebbe dato al gruppo la certezza che il bersaglio da colpire sarebbe passato dal luogo ove era stata predisposta la carica.

In definitiva, la soluzione indicata finiva con il richiedere comunque, sia che l’imput partisse da Roma sia che fossero i palermitani a provvedervi, la presenza di un uomo a Punta Raisi, che confermasse agli altri l’atterraggio.

D’altro canto è chiaro che se dal territorio locale non era possibile ricavare alcun segnale che deponesse inequivocamente per l’arrivo del giudice, quella della base nella capitale sarebbe stata l’unica soluzione per risolvere il problema.

E’ emerso invece dall’istruttoria dibattimentale che esisteva il modo per dare agli operatori la certezza ricercata, ed era costituito dalla presenza dell’auto di servizio sotto l’abitazione del giudice. Tale presenza era di immediato rilievo, posto che, per una tragica fatalità, il posto dove era solitamente parcheggiata l’autovettura era vicinissimo ad una delle macellerie controllate da Raffaele Ganci e dai suoi familiari, i quali non potevano non essere a conoscenza del fatto che l’abitazione del giudice che intendevano eliminare era lì a 50 metri da un loro negozio, non fosse altro per l’agitazione che investiva la zona ogniqualvolta arrivava il dott. Falcone (trattasi di circostanza questa espressamente riferita da Calogero Ganci).

E’ quindi ragionevole, oltre che verosimile, sostenere la tesi secondo cui, anche se in una prima fase vi era stata l’intenzione degli operatori di ottenere l’informazione relativa all’arrivo del dott. Falcone dalla capitale, tale progetto aveva ceduto, dopo, il passo ad altro, che si imponeva rispetto al primo per la estrema facilità della soluzione su cui si fondava: se infatti attraverso il monitaraggio dei percorsi della Croma si fosse riusciti ad ottenere uno schema, sia pur approssimativo degli spostamenti del giudice in Sicilia, una volta accertato che la macchina si muoveva solo per lui, sarebbe stato sufficiente controllare tutte le volte che si spostava e la direzione in cui si muoveva, perchè a quel punto bastava accertare che si stesse dirigendo verso la circonvallazione, quindi a Punta Raisi, per capire che il giudice stava arrivando.

Questa soluzione non comportava alcun spostamento di uomini nel continente e consentiva con ragionevole certezza di conoscere, con un buon margine di anticipo, il momento di arrivo del giudice a Palermo.

Bisogna riconoscere che sotto questo profilo la prima alternativa avrebbe consentito agli operatori di lucrare un maggiore spazio di movimento, perchè si poteva far affidamento anche sul periodo del tempo di durata del volo, circa cinquanta minuti, per metterere in atto gli ultimi preparativi.

Ma il rapporto costi/benefici non valeva comunque a spostare la scelta su tale soluzione: la dilatazione dei tempi che precedevano l’ultima fase della preparazione dell’attentato, dettata dal fatto che la sicurezza sull’arrivo del giudice si sarebbe avuta con la partenza del volo, trovava bilanciamento nel fatto che, nel caso opposto, l’allertamento degli esecutori avrebbe potuto comunque cominciare ben prima della constatazione dell’atterraggio, e per la precisione a partire dall’istante in cui si realizzava che la Croma aveva preso la direzione dell’aeroporto: quindi, a ben vedere, tenuto conto del fatto che l’autista doveva avere il tempo di raggiungere dalla città l’aeroporto, il margine di maggior disponibilità che nasceva dalla prima soluzione si assottigliava di molto, e finiva con il vanificanre il vantaggio, residuando pertanto a carico della stessa solo quei profili di negatività di cui si è fatto cenno in precedenza.

Il racconto di Calogero Ganci 

Aveva appreso della realizzazione dei preparativi della strage solo nel maggio 92, ed era subentrato solo in un secondo momento nel gruppo che si stava occupando nei pedinamenti dell’autovettura.

Il fatto che non sia stato richiesto subito il suo aiuto, cioè sin dalla prima volta che aveva appreso, più o meno sommariamente, di quello che si stava progettando, lascia pensare che probabilmente i tempi stringevano e quel gruppo non era ancora pronto a fornire agli altri le informazioni necessarie o che l’attività di pedinamento necessitava di una persona in più.

Al riguardo Ganci ha dichiarato: «...Guardi, io nel maggio 1992,... sarà stato un quindici giorni prima che avvenisse il fatto della strage di FALCONE. ...ci trovavamo in VIA LANCIA DI BROLO... una macelleria che ci abbiamo noi in VIA LANCIA DI BROLO...io stavo ristrutturando un rustico e... sul lungomare di CARINI,... , io avevo degli operai lì, quindi andavo a sovraintendere questi lavori... ci andavo ogni giorno dopo... dopo mezzogiorno, l'una, qua.... mio padre siccome sapeva che io e... stavo... stavo prendendo dei lavori in quella zona, andavo a CARINI ogni giorno. Ora in quel periodo mio padre mi disse, dice: "Cerca di evitare in questi giorni di andare a CARINI" perché fra poco tempo doveva avvenire un fatto... . E quindi mi ha... mi ha avvisato di... di non recarmi in quel posto... CARINI è subito dopo CAPACI. ...io capii... capii che stava avvenendo qualcosa di brutto, tipo un fatto... diciamo, stragista, ecco... perché per... per... io... avere dei problemi ad andare a CARINI, significava che c'era in rischio la vita di... mia e di persone che magari passavano in quel posto, mi spiego?»

Successivamente Ganci ha riferito il passaggio dalla fase conoscitiva a quella della partecipazione attiva alla realizzazione dell’attentato, che, secondo l’imputato, erano intervallate dal passaggio di due o tre giorni: «Io... ho svolto l'incarico di pedinamento della macchina del Dottor FALCONE. io in quel mese di maggio... non ricordo di preciso se fu intorno al dodici, il quattordici, mi dovevo mettere in viaggio per... per PALERMO-BOLOGNA, per... per questioni di... di lavoro. E avevo acquistato due biglietti aereo a nome di... uno di GANCI CALOGERO a nome di ANTONINO MORTILLARO, ora per regola, in famiglia nostra, nel momento che io dovevo partire, dovevo dire a mio padre che stavo partendo. Nel momento in cui io andai da mio padre per dire che stavo partendo, per ragioni di lavoro, lui mi disse... dice: "no - dice - non puoi partire perché abbiamo bisogno di te". In quella circostanza c'era anche SALVATORE CANCEMI... fu dopo che mio padre mi disse di non passare da Carini. questione di giorni fu... qualche giorno, qualcosa del genere, uno, due, tre giorni... ...che succede? Io vado a dire a mio padre che dovevo partire e lui mi disse... mi disse: "no, non puoi partire, perché abbiamo bisogno di te" mi disse "abbiamo" perché c'era il CANCEMI, anche lì... anche in quella... in quella circostanza. E mi disse che... ero incaricato che... dovevo seguire la macchina del Dottor FALCONE, e questo fu il giorno che io... che io... che io poi collego il fatto che mio padre qualche giorno prima mi aveva detto di non andare a CARINI, perché diciamo... doveva succedere un fatto... ...e collego il fatto che allora era... era collegato alla... a compiere l'attentato al Dottor FALCONE. ...la conversazione avvenne nella macelleria in VIA LANCIA DI BROLO. perché io di solito il pomeriggio sempre passavo lì».

Era iniziato così, secondo l’imputato, la fase dei pedinamenti della Fiat Croma, ai quali secondo Ganci avevano partecipato, oltre al fratello Domenico e al cugino Antonino Galliano, anche Salvatore Cancemi e suo padre.

L’imputato ha confermato che, al momento del suo intervento, il gruppo aveva già cominciato a seguire l’auto di servizio, e che già era a conoscenza dei giorni nei quali era più frequente il rientro del magistrato in città.

I mezzi usati erano dei motoveicoli, di varia cilindrata, che meglio potevano consentire al gruppo di districarsi nel traffico e non perdere di vista l’auto di servizio, privilegiata negli spostamenti perchè poteva usufruire delle corsie preferenziali.

Anche per questa fase, vitale si proponeva il ricorso ai telefonini cellulari di cui tutti e tre i componenti del gruppo erano dotati: […].

Quella volta che la Fiat Croma cambiò strada

L’imputato ha ricordato anche di un percorso diverso, cioè di una volta in cui la Fiat Croma aveva imboccato la strada per la circonvallazione, ma non aveva preso la direzione Punta Raisi:[…].

Seguendo sempre il racconto relativo agli eventi verificatisi nel corso dell’attività di pedinamento, Ganci ha citato un episodio importante: «Ci fu una volta che noi abbiamo perso di vista la macchina, perché prese... prese delle corsie preferenziali. Quindi, noi con i ciclomotori non potevamo entrare nelle corsie preferenziali, quindi dovevamo intuire dove suppergiù lui andrebbe... andava ad uscire, ma ci sfuggì, e infatti per quel giorno, fino al pomeriggio, la macchina non entrò più al posteggio. ... fu nella zona di via... VIA DANTE. ...Perché... che succede? Quando lui usciva dalla... dal Tribunale, diciamo, attraversava PIAZZA VITTORIO ORLANDO e girava per... diciamo, una strada che conduce a PIAZZA SAN FRANCESCO DI PAOLA. Quindi, VIA SAN MARTINO e... da VIA SAN MARTINO si può accedere sia in VIA DANTE... a salire e sia a scendere, a salire corsie preferenziali non ce n'è.... fu qualche giorno prima che lui si recasse a quel capannone. , qualche giorno prima che l'autista si recasse a quel capannone.... io come riferimento le posso dare una cosa, che io il... quest'attività di pedinamento l'ho fatto per circa otto o dieci giorni, questo è stato. ...il periodo è stato non oltre otto/dieci giorni».

Scopo del pedinamento era dunque quello di verificare la direzione che la Fiat Croma prendeva, perchè, una volta che si era realizzato che la direzione era Punta Raisi, il gruppo doveva darne notizia tramite i cellulari a chi attendeva il passaggio del giudice dal luogo ove era stato caricato il condotto: «...Appena capivamo, oppure c'era quella intuizione che la macchina si poteva recare al Tribunale, perché imboccava una strada che portasse in quella direzione, noi avvisavamo, noi dovevamo seguire la macchina per intuire... che stava andando verso l'autostrada e poi telefonare...col cellulare. ... guardi, il numero di telefono che dovevano chiamare... che questo compito diciamo ce l'aveva mio fratello DOMENICO e mio cugino GALLIANO, era una persona che aspettava la telefonata, diciamo, e... sulla zona di CAPACI. non lo so chi era la persona che doveva ricevere.. Io, guardi, lo dico per chiarire, non ho mai visto altre persone sull'attentato di CAPACI oltre mio fratello MIMMO, ANTONINO GALLIANO, mio padre e il CANCEMI, sapevo che c'erano altre persone lì, e chi erano, ma non li ho mai visti. ... mio fratello DOMENICO e GALLIANO l'avevano scritto, appuntato in un bigliettino che tenevano in tasca...io mi ricordo pure, io ho appreso che c'era una persona all'areoporto, quindi io non so se era la persona dell'areoporto che riceveva la telefonata, oppure la persona che era dislocata in qualche altro posto... io mi ricordo che ci fu qualche po' di volte, mio fratello telefonava a qualcuno, e... DOMENICO. ...però mica io... diciamo, posso dire a chi e a non chi, non lo so».

L’attività di pedinamento si era svolta esclusivamente di mattina; le ore pomeridiane erano dedicate alla sorveglianza dell’autovettura dalla macelleria o dai luoghi ad essa limitrofi, avendo accertato che di pomeriggio la Fiat Croma non si era mai mossa.

[…] L’imputato ha riferito inoltre di incontri verificatisi nel corso dell’attività preparatoria nel suo magazzino, dove erano soliti incontrarsi Salvatore Cancemi, Salvatore Biondino e suo padre: [...]. Le dichiarazioni esposte in precedenza sono incentrate principalmente sulla ricostruzione dei momenti relativi al pedinamento. L’apporto di Ganci alla ricostruzione dell’intero fatto per cui vi è processo è però più ampio. […] Raffaele Ganci aveva approfittato della vicinanza del figlio per rivelargli le sue riserve sul comportamento di Brusca in ordine alla scelta dei membri del suo commando: «[...] Gli errori sono stati sia usare dei telefonini, sia ehm... altri errori che mio padre mi evidenziò, nel senso che dice un giorno quando arrivò a CAPACI, vidi lì il BAGARELLA, il DI MATTEO, LA BARBERA cioè queste persone che mio padre era... era restio a dargli questa confidenza, capisce? ...vorrei continuare, ehm... e mio padre mi disse che anche... anche su questo, dice aveva avuto tipo uno screzio con il BIONDINO, perché gli disse a questi qua, dice: "chi è che li ha portati?". E il BIONDINO si giustificò, dice: "ZU' RAFFAE' fu BRUSCA, cioè GIOVANNI BRUSCA a portarli - dice - io lo capisco che lei... purtroppo - dice - oramai sono qua - dice - che dobbiamo fare?" prima perché erano persone che mio padre, diciamo, non conosceva bene, e... poi perché, diciamo per commettere un ce... un omicidio di questo stampo, dicevo così eclatante, diciamo doveva essere un gruppo, diciamo stretto, ristretto come è sempre stato, Dottor Tescaroli, io... io perché le dico questo, perché nell'omicidio CHINNICI, ehm... omicidio del DALLA CHIESA, e CASSARA' e... ci sono stati sempre questo gruppo ristretto che si conosceva bene, ci si capi... fra di loro c'era una certa armonia da... da tanto tempo, quindi era anche un fatto che queste persone che non si conoscevano che era in quel posto, era anche un... uno sbaglio capisce? quando noi abbiamo commesso questo omicidio, le parlo io di CHINNICI, DALLA CHIESA, e altri erano sempre i GANCI, i MADONIA, i GAMBINO, e i BRUSCA, questi eravamo, capisce? Non c'erano altre persone oltre... oltre questo gruppo. [...]».

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