La serie tv di cui una parte del mondo del vino sta parlando in queste settimane si chiama Drops of God, titolo traducibile in Il nettare degli dei. Girato tra Giappone, Francia e Italia e per ora disponibile solo sulla piattaforma Apple TV+ è drama ammantato di intrighi che prova a divulgare il vino all’interno di un racconto fatto di quel genere di tensioni e contrasti familiari portati in auge da Succession, una delle serie recenti di maggior successo, di critica prima ancora che di pubblico.

La sceneggiatura è basata sull’omonimo manga giapponese Kami no shizuku realizzato da Tadashi Agi, pseudonimo del team composto dai fratelli Yuko e Shin Kibayashi e dal disegnatore Okimoto Shu. Un’opera immensa e di grandissimo successo che nel corso di un decennio, è stata pubblicata tra il 2004 e il 2014, ha fornito agli appassionati un’ampia educazione al vino esplorandone nel corso del tempo moltissimi aspetti. Non solo: si tratta di manga che ha avuto un impatto anche sul mercato giapponese. Non era irrituale, infatti, che un vino menzionato dai suoi protagonisti diventasse quasi introvabile o che il suo prezzo si alzasse all’improvviso.

«Ci sono 3 categorie di persone che guarderanno Drops of God»ha detto il creatore della serie Quoc Dang Tran, lo stesso di Call My Agent, a Stephanie Breijo in occasione di un recente articolo pubblicato sul Los Angeles Times, «quelle che di vino ne sanno poco ma ne sono incuriosite, le persone che amano i manga e gli intenditori».

Sintetizzare un lavoro così vasto in una serie di appena 8 episodi prevede necessariamente molti tagli e adattamenti, anche alla luce del diverso mezzo. La trama della serie è infatti piuttosto diversa da quella del manga, pur mantenendone l’imprinting. Tutto si svolge intorno all’eredità lasciata da una delle massime autorità del vino giapponese, giornalista capace di accumulare nel corso del tempo una delle più importanti collezioni presenti nel paese. Migliaia e migliaia di bottiglie per un valore che sfiorerebbe i 150 milioni di dollari.

Due i candidati a prenderne possesso: da una parte sua figlia, Camille Léger (interpretata da Fleur Geffrier), e dall’altra il suo “protetto”, Issei Tomine (Tomohisa Yamashita), esperto sommelier. Vincerà chi riuscirà a identificare alla cieca, senza cioè conoscere niente a proposito del liquido presente nel bicchiere, tre diversi vini (nel manga erano 12).

Camille – nella serie una donna francese ma nel manga un uomo giapponese – di vino non sa quasi nulla e per affrontare una prova del genere deve superare la sua avversione all’argomento causata dalle prove e dall’intenso allenamento cui la sottoponeva il padre proprio per farla diventare un’esperta. Issei è invece metodico, sagace e risoluto, avvantaggiato da anni di assaggi e di studio. Il talento di Camille è tuttavia innato e mentre la serie prosegue nello sviluppo della trama ed entrambi i protagonisti si trovano ad aprire bottiglie, agitare bicchieri, degustare innumerevoli vini gli spettatori imparano insieme a loro: com’è fatto un vino, quali valori porta con sé, come assaggiarlo.

«Essendo completamente analfabeta del vino ho trovato la serie avvincente, non solo per la trama ma anche per la sbirciatina che sono riuscito a dare a un mondo di cui non so nulla», ha scritto Andrew Webster su The Verge.

Gli intenditori hanno invece storto il naso. A una storia di buon ritmo si affianca infatti un racconto del vino ricchissimo di stereotipi, incapace di trasmettere la profondità umana che si cela dietro ogni bottiglia. Il manga grazie all’ampio spazio a disposizione riusciva dove la serie manca il bersaglio: il vino non era qualcosa di laterale, utile a dare ritmo a una trama basata su altro, ma era parte di una narrazione di grande profondità su paesi produttori, denominazioni, cantine. Leggere Kami no shizuku significava anche imparare a ogni uscita molto sul vino.

Una problematica purtroppo comune a tante produzioni che negli anni si sono avvicinate a questo argomento. Trattarlo con serietà è troppo rischioso, rischia di allontanare parte del pubblico, più semplice lasciare al vino il ruolo di romantico attore non protagonista, Un’ottima annata di Ridley Scott ce lo ricorda perfettamente.

Un peccato, anche alla luce dei tanti lungometraggi che in questi ultimi anni hanno saputo raccontare un’industria ricchissima di storie adatte al grande schermo. Dalla saga di SOMM a Bottle Shock (in italiano Napa Valley – La grande annata), da Mondovino a Sour Grapes (Vino amaro). Con un’unica grande e fin qui impareggiabile eccezione: Sideways di Alexander Payne, noi appassionati siamo stati tutti quel Paul Giamatti almeno per un giorno.

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