Ci sono voluti più di 14 mesi e due Natali in cella frigorifera, ma ora l’autopsia sul corpo di Stefano Dal Corso, morto nel carcere di Massama, Oristano, il 12 ottobre 2022, si farà. «Dalla procura di Oristano hanno accettato di fare l’autopsia», racconta con la voce spezzata Marisa Dal Corso, sorella di Stefano. La morte del fratello è stata a lungo archiviata come suicidio, ma per la famiglia sarebbe avvenuta in circostanze sospette.

Fino a questo momento ben sette richieste di esame autoptico - anche della garante delle persone private della libertà personale della regione Sardegna, Irene Testa - erano state rigettate. Ma ora qualcosa è cambiato, racconta l’avvocata Armida Decina. «Non ho mai creduto all’ipotesi suicidaria, lo dico apertamente». Il conferimento dell’incarico per l’autopsia è previsto per il 4 gennaio e l’esame potrebbe avvenire alcuni giorni dopo.

Per i risultati ci vorranno comunque mesi. E c’è un’altra novità. L’indagine resta contro ignoti, ma «nella richiesta del pubblico ministero a disporre l’autopsia è cambiato il capo di imputazione provvisorio: da omicidio colposo a volontario», aggiunge Decina. «Dovrei dire che è un traguardo, ma un traguardo è qualcosa a cui arrivi e sei contenta», racconta Marisa Dal Corso. «È un’autopsia dove viene aperto un corpo. E quel corpo è di mio fratello. Ma ci porterà a una verità».

Stefano Dal Corso «aveva 43 anni, era padre di una bambina e sarebbe tornato libero da lì a poco: nessuna circostanza aveva fatto immaginare la volontà di togliersi la vita», commenta Luigi Manconi, presidente dell’associazione A Buon Diritto. La famiglia ha ottenuto a settembre la riapertura delle indagini, presentando testimonianze inedite. Ma anche allora la richiesta di autopsia è stata rigettata.

La svolta

Ora l’orientamento della procura potrebbe essere cambiato in ragione di una telefonata registrata da Marisa Dal Corso il 6 novembre e poi depositata in procura in cui una persona, che si presenta come un agente di polizia penitenziaria esterno al carcere ma con accesso allo stesso, racconta che Stefano sarebbe stato picchiato con colpi alla schiena e finito a manganellate in testa. Per simulare il suicidio gli avrebbero poi rotto l’osso del collo con una spranga.

La famiglia e la legale hanno segnalato fin da subito che il fascicolo sul caso era privo di elementi come la foto del ritrovamento del cadavere, o del corpo senza vestiti. «Le immagini del corpo che abbiamo visto non lo ritraggono mai di schiena», chiosa la sorella. La fonte anonima (la cui identità andrà verificata dalla procura, così come la veridicità delle sue affermazioni) dice anche che aveva una webcam, e che avrebbe quindi le immagini del pestaggio e della morte del detenuto.

La cui “colpa” sarebbe stata quella di aver assistito a un rapporto sessuale tra due agenti del carcere in infermeria. «La sorella e la figlia di sette anni hanno il diritto di sapere cosa è successo», affonda Decina. «Nell'interesse del carcere e della famiglia sono contenta che la procura abbia disposto l'esame autoptico», dice ora Testa.

A giugno la senatrice Ilaria Cucchi - che in questi anni si è fatta carico della lunghissima vicenda processuale che ha portato alla condanna a 13 e 12 anni per i due carabinieri colpevoli del pestaggio di suo fratello Stefano, morto a Roma mentre era in custodia cautelare - ha presentato al ministro di Giustizia Carlo Nordio un’interrogazione parlamentare sul caso Dal Corso, con la richiesta di obbligatorietà dell’autopsia per le morti in carcere. «Il ministro ha risposto che non è necessario, e non è necessario per il caso di Stefano Dal Corso in cui non ha riscontrato anomalie», racconta Cucchi.

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