Nella parte di cattolicesimo che sente la politica come destino molti si agitano e molti si impegnano, in un brulicare di iniziative a somma zero. Una fibrillazione disorganizzata, in una chiesa senza sinodalità e priva di strutture come fu nell’Ottocento l’Opera dei congressi o nel Novecento l’Azione cattolica. Tanto rumore per nulla, se in quel nulla stanno il miraggio di cinque seggi, tre sottosegretari, sei assessori e poco altro. In questo fibrillare va citato il nuovo partito di ispirazione cristiana, denominato Insieme, lanciato da Stefano Zamagni il 4 ottobre.

Partito della modestia: se Zamagni ritiene che non si potrà andare oltre al 20 per cento (vaste programme). E anche partito dell’eleganza: se Zamagni nel fondarlo si fosse dimenticato di dimettersi da presidente della pontificia accademia di scienze sociali, carica alla quale era stato chiamato dal papa non per rilanciarlo in politica a settantasette anni. Il 20 per cento di Insieme è lontano. Ma 21 (diconsi ventuno) dirigenti ci sono già: e hanno avuto la benedizione del cardinale bresciano, Giovanni Battista Re, alla messa di fondazione; hanno ricevuto il pensoso richiamo del vescovo Gastone Simoni, sui princìpi di un partito «non confessionale» già chiari a Sturzo all’indomani della grande guerra; e hanno condiviso l’idea di poter convincere il sistema proporzionale ad aver bisogno anche di loro.

Tentar non nuoce

Non è stato il primo o unico tentativo. Democrazia solidale – in sigla Demos – nata frazionando i popolari è stata in pochi anni, prerenziana, renziana e postrenziana: ha avuto migrazioni verso destra e verso sinistra; ha trovato come base ideologica la formula di monsignor Vincenzo Paglia sulla «forza del noi»; e poi è andata a ruota di altri nei cartelli amministrativi più diversi. Ha eletto col Pd un parlamentare europeo come Pietro Bartolo (che almeno non sta pensando di candidarsi a sindaco come Elisabetta Gualmini e Carlo Calenda, ai quali devono aver detto che calare da Strasburgo sui comuni porta bene).

E adesso ha il suo presidente Paolo Ciani, per il quale la comunità di sant’Egidio ha abbandonato la sua proverbiale trasversalità politica nazionale, fra i canapi del palio per Roma, così da prenotare almeno una rappresentanza alla rete cattolica che assiste la fiumana di miserabili della Roma invisibile.

Sta a parte il mondo ciellino, politicamente naufragato insieme al modello lombardo di cui era teorico e onnipotente. Cl dovrebbe partecipare all’operazione politica più difficile e necessaria: creare cioè nel centrodestra un partito conservatore di schietti sentimenti democratici in una nuova conventio ad excludendum capace di espellere dalla piazza politica fanatismi sovranisti, misoginie fasciste, nostalgie autoritarie che flirtano con i gruppetti pericolosi.

Ma la svolta spirituale impressa da don Julián Carrón ha bisogno di tempi più lunghi e alla fine sarà Forza Italia a dover decidere se accollarsi questo compito storico di bonifica, assorbendo la malavoglia cattolica nel compierlo, o rinunciare. Pochi gorni fa anche Marco Bentivogli ha fondato Base Italia. A metà fra il think tank (Zamagni c’è anche qui, ça va sans dire) e un club dei potenziali sottosegretari del governo guidato da Carlo Cottarelli, che non vide mai la luce nel fosco fine maggio 2018. Qui non ci sono riferimenti o ambizioni neo-popolari: ma appaiono due figure chiave del discorso pubblico del cattolicesimo odierno.

Uno è padre Francesco Occhetta, già notista politico di Civiltà Cattolica e ora professore alla Gregoriana che ha sviluppato una rete di formazione – anzi di Connessioni – di giovani colti e talentuosi: una delle poche azioni davvero lungimiranti, capace di guardare alla formazione di una classe dirigente futura, anche a rischio di crescerla ignara del rischio che chi dice di non essere né di destra né di sinistra, di solito è di destra.

L’altro è Mauro Magatti, creatore insieme a sua moglie Chiara di una categoria sociale e psicologica diventata il passpartout del discorso pubblico della chiesa: la “generatività”. Declinata in economia da Leonardo Becchetti, la generatività è fantastica, perché è come le vecchie pomate: funziona sempre. Pochi giorni fa salutando il Global forum on education lanciato dal papa anche la ministra della famiglia Elena Bonetti – scout, renziana, pulita – non è riuscita a evitarla. Non finirà qui.

L’economia di Francesco

La famosa “economia di Francesco” non potrà produrre (rectius: essere generativa) altre ambizioni come quelle che periodicamente percorrono le Acli; c’è da aspettarsi qualche altro semplicismo. Il tutto corroborato dal classico ritornello sul “bene comune”, che esiste solo nel mondo fatato dei vescovi e col quale non si potrà governare il disordine di un paese con un milione di disoccupati in più e un mondo in cui le grandi potenze giocano col fuoco. Non si spegnerà la passione politica dei vecchi eroi come padre Bartolomeo Sorge o il cardinale Camillo Ruini, ancora tenaci nel rimpiangere il mondo in cui si credevano “rilevanti” e a cercare sponde che nessuno tranne loro rimpiange.

Non sono tutti inerti gli altri movimenti ecclesiali e tanto meno se ne sta con le mani in mano quel sottobosco del cattolicesimo ultra-reazionario – quello degli orfani di Steve Bannon, del sovranismo antisemita e complottista, quello che addobba col lessico della famiglia la propria omofobia – che ha da tempo delegato a formazioni politiche di destra dura e pura la propria rappresentanza: venendo ricambiato e salutato dal palco ora con il rosario, col dirsi cristiani, in sintonia con quel mondo evangelicale antibergogliano che ha perimetrato l’odio per l’altro come principio ecumenico.

E poi c’è il problema del destino politico di Giuseppe Conte: che se vuol fare il partito di Conte dovrà addomesticare la parte “laik” (che pensa la laicità come un like) del Movimento 5 stelle. In tutto questo spicca l’afonia dei vescovi. E proprio in questo silenzio si distingue una bella lettera di monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, per il centenario della Cattolica che domanda «cattolico italiano, cosa pensi?». Delpini, è stato spesso ritenuto – specie da chi ne invidia la cattedra – come un arcivescovo poco incisivo; e lasciare Milano senza porpora, cosa accaduta solo una volta nell’Ottocento, non aiuta.

Effettivamente quando Salvini bestemmiò la vergine Maria e il rosario in piazza Duomo si limitò a sussurrare «i politici si occupino di politica», in un episodio nel quale il suo predecessore Achille Ratti avrebbe menato le mani. Però Delpini in quella lettera, ancorché sessista nell’indirizzo, martella la domanda giusta: cosa pensi? Elude la responsabilità di chi per troppi anni ha fatto questa domanda per premiare chi rispondeva «penso niente», ma pone il quesito nella sede giusta, che è la comunione ecclesiale.

Infatti o il cattolicesimo saprà riprendere un dialogo interno, o alla fine, là fuori, ci saranno dieci partitini e correntine al profumo d’incenso, ciascuna capace di vantare entrature e batter cassa politica in proporzione alla propria sicumera o al proprio bluff. Senza saper diventare voce di chi non l’ha, nel rumore muto che ci attende quando la pestilenza sarà finita, la miseria avrà occupato la vittima di qualche milione di europei e il disordine mondiale richiederà una passione morale inesauribile e un infrangibile senso dello stato.

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