A Spinetta Marengo, frazione di Alessandria, ci sono 7mila abitanti e un polo chimico da mille posti di lavoro, tra indotto e impiegati. Il paese è la fabbrica, o la fabbrica è il paese? L’intenso e controverso rapporto è nato nel 1905, ha conosciuto molti partner (Montedison, Montefluos, Ausimont) e oggi è in mano alla multinazionale belga Solvay.

C’è il lavoro e anche la minaccia alla salute, la solita idea di sviluppo che ha un costo e sulla quale si continua a discutere, soprattutto dopo la sentenza del dicembre 2019 con cui la Cassazione ha reso definitive le condanne per disastro ambientale colposo.

Gli ex dirigenti Giorgio Carimati, Giorgio Canti e Luigi Guarracino (quest’ultimo imputato anche a Vicenza per il caso della Miteni di Trissino) hanno preso un anno e otto mesi (con la condizionale e la non menzione) e l’obbligo di risarcire le parti civili e provvedere alla bonifica del sito. La condanna sanziona fatti accaduti fino al 2008 per una produzione – quella del cromo esavalente – ormai cessata.

Oggi invece il problema è il C6O4, di cui la multinazionale belga detiene il brevetto e che produce solo in questo stabilimento. Si tratta di un Pfas di nuova generazione, un composto intermedio che serve alla produzione di altri acidi perfluoroacrilici usati in genere per impermeabilizzare i tessuti, come schiume ignifughe o per fabbricare sofisticati strumenti biomedicali come gli stent.

Settembre 2019

Tutto comincia nell’aprile del 2019, quando Nicola Dell’Acqua, commissario di Protezione civile per i primi interventi nel caso di inquinamento Pfas in Veneto, dichiara che «nel Po il C6O4 si trova in quantità 2mila volte superiori rispetto a quelle rilevate alla Miteni di Trissino».

Le prime risposte arrivano dall’Arpa Piemonte che, tra gennaio e ottobre 2020, pubblica i dati relativi al composto nei pozzi disposti attorno al polo chimico. I numeri dicono che le concentrazioni nell’acqua sono notevoli (anche oltre i 200 microgrammi al litro) ma soprattutto che nel corso dell’anno sono aumentate, addirittura raddoppiate in un punto di prelievo.

Alberto Maffiotti è il biologo che dal 2005 dirige il dipartimento di Alessandria di Arpa Piemonte. «La contaminazione da Pfas in quest’area si somma a una situazione di grave inquinamento da solventi clorurati e metalli pesanti, tra cui il cromo esavalente. In questo punto la falda è compromessa da anni, una situazione grave che tuttavia non riguarda l’acquedotto che pesca a monte, prima che l’acqua arrivi allo stabilimento».

Il problema è lo scarico di Solvay di 4mila metri cubi all’ora nel fiume Bormida – che è in regola – all’interno del quale è finito anche il C6O4. Quello che si addebita alla Solvay è che l’acqua utilizzata per il raffreddamento o il lavaggio dei macchinari sia fuoriuscita non solo dallo scarico, ma anche in alcuni punti in cui la barriera idraulica sembra non aver funzionato. Le associazioni della società civile e gli amministratori pubblici vogliono chiarezza.

Aumentare la produzione

La Solvay nel frattempo chiede di aumentare la produzione. La conferenza dei servizi per la revisione dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) si è conclusa il 30 settembre scorso ma l’esito non è ancora noto.

Claudio Coffano, della Direzione ambiente e pianificazione territoriale della provincia di Alessandria, a cui fa capo la revisione dell’Aia, spiega a Domani: «I documenti saranno pubblici entro fine anno. Sono in corso verifiche su alcuni interventi necessari all’interno dello stabilimento: nuove pavimentazioni e cordolature per isolare i bacini di produzione in caso di perdita».

La sostanza tuttavia è già chiara: Solvay otterrà l’aumento di produzione a fronte di una serie di prescrizioni. Commenta Maffiotti dell’Arpa: «Non è semplice spiegare che sul C6O4 non esistono limiti allo scarico né tanto meno divieti di produzione». Gli unici limiti ipotizzabili sono nella bozza di “collegato ambientale” in discussione in parlamento. Su questa base l’Aia prevederebbe limiti di 100 microgrammi per litro d’acqua a scalare fino a 0,5 in tre anni. «Ma la nostra preoccupazione – conclude il dirigente Arpa – non è tanto per la via di esposizione idrica, quanto per quella aeriforme, con le emissioni in atmosfera dell’impianto, come in parte emerso per i lavoratori».

Gianluca Penna, sindaco di Montecastello, nel giugno scorso ha chiuso un pozzo dal quale si alimentava l’acquedotto. «Quando abbiamo ricevuto i dati è stata una doccia fredda. Arpa comunicava la presenza di C6O4 nel pozzo, non in rete per fortuna. Ci sarà arrivato dal fiume, qui da noi il Bormida e il Tanaro si incrociano. Ho chiuso il pozzo e scritto alla Solvay per sapere se stavano verificando eventuali perdite. Mi hanno detto che la legge non imponeva la chiusura, e hanno ragione, e che il C6O4 non inquina e che non c’era alcuna evidenza sulla provenienza. Ci siamo resi disponibili come comunità per un’indagine epidemiologica sul territorio. Abbiamo anche realizzato uno studio di fattibilità, a costi ragionevoli, aspetto risposte dalla regione, ma se non arrivano partiremo comunque».

I cittadini

Anche la società civile si è mobilitata. Del Comitato Stop Solvay fanno parte l’insegnante Egio Spineto e Viola Cereda, biologa specializzata in alimentazione. Domani li ha incontrati nel Laboratorio sociale di Alessandria, uno spazio culturale e di attività sociale.

Spiega Spineto: «Qui nel territorio, da tempo, c’è un’incidenza di certe patologie. L’aumento della produzione chiesto dalla Solvay non è accettabile. Chiediamo alla regione Piemonte un biomonitoraggio immediato. E chiediamo che dalla Solvay non escano sostanze pericolose, deve essere garantito il diritto dei cittadini alla salute».

Aggiunge Cereda: «Chiediamo anche la bonifica ambientale. Il C6O4 è persistente, quindi non basta limitare gli scarichi, ma vogliamo, insieme alle Mamme No Pfas del Veneto, che siano azzerate le emissioni nell’ambiente. Non chiediamo la chiusura dello stabilimento, ma va ripensata l’idea di sviluppo che ha segnato questo territorio per cento anni. Il ricatto salute-lavoro non è più accettabile».

Il comune di Alessandria monitora la situazione. Racconta l’assessore all’Ambiente Paolo Borasio: «Dal 2008, dopo l’emergenza del cromo esavalente, si è cercato di avviare la bonifica delle aree esterne allo stabilimento, ma non si è mai riusciti ad andare oltre le dichiarazioni di intenti. Oggi, con il ritrovamento del C6O4 nelle aree esterne allo stabilimento, si è avviato in conferenza dei servizi il processo di bonifica. Solvay, nella seduta del 28 ottobre, ha ottenuto che venissero individuati e chiamati al tavolo i precedenti responsabili».

Borasio deve fare i conti con il dilemma lavoro-ambiente: «Solvay è una realtà importantissima nell’economia alessandrina. Le rassicurazioni alla cittadinanza devono derivare da azioni concrete, come la bonifica delle aree interne ed esterne e il potenziamento delle barriere. Ma per avere un controllo corretto e misurabile il governo deve fissare i limiti massimi per le sostanze come il C6O4».

Assenza di informazioni

Michela Sericano, presidente del circolo Ovadese di Legambiente, è meno fiduciosa: «Se non si fermano le fuoriuscite bisogna fermare la produzione. La Solvay è un colabrodo, come dimostra la documentazione che abbiamo presentato alla commissione parlamentare d’inchiesta che è venuta da Roma in ottobre. Le nostre domande non ricevono risposta, dicono che si tratta di dati riservati. Non chiediamo la chiusura a prescindere, ma di convivere nel migliore dei modi possibili con informazioni credibili e disponibili per i cittadini».

Il manager di Spinetta, Andrea Diotto, assicura che «la barriera idraulica è stata potenziata fino alla portata di ben 570 metri cubi all’ora per prevenire le conseguenze di eventi metereologici eccezionali. Un innovativo trattamento a osmosi inversa per i reflui acquosi consente di arrivare a un abbattimento vicinissimo al 100 per cento».

Altre fonti sostengono tuttavia che questo trattamento non è ancora realizzato, si tratta solo di test che hanno permesso di prevedere questo risultato nell’arco di due o tre anni. A oggi l’abbattimento sarebbe a livelli molto più bassi e comunque si registrano sversamenti in falda.

«Constatiamo molta preoccupazione, ma anche troppa generalizzazione – replica Diotto – I Pfas sono una famiglia di qualche migliaio di composti chimici con proprietà fisiche, ambientali e biologiche molto diverse tra loro. Lo stabilimento di Spinetta Marengo è specializzato nei settori strategici della mobilità sostenibile, delle batterie a idrogeno, delle batterie al litio e della stampa 3D.

Queste attività richiedono l’uso di tensioattivi fluorurati – ovvero Pfas coadiuvanti di processo – per facilitare una reazione chimica nella produzione di alcuni polimeri. Spinetta usa il proprio coadiuvante di processo proprietario chiamato C6O4 – il cui profilo tossicologico non è affatto paragonabile ai composti di prima generazione. Quel che più conta, il C6O4, testato sui pesci non si accumula negli organismi. Solvay rispetta i più rigorosi standard ambientali nel processo di produzione, nel pieno rispetto di tutte le leggi e i regolamenti esistenti».

E sull’Aia Diotto spiega: «È stata richiesta per una parziale modifica a una linea produttiva esistente, non per la realizzazione di nuovi impianti. L’estensione della produzione inciderà per non più dello 0,2 per cento del totale della produzione dei prodotti fluorurati, ma è necessaria per assicurare la continuità industriale e la crescita sostenibile».

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