Nel pomeriggio del 18 dicembre 2017 Arturo Puoti percorreva via Foria in direzione museo, in pieno centro a Napoli. Veniva avvicinato da quattro ragazzi che lo approcciarono chiedendogli l’ora e cominciandolo a infastidire. Poco dopo uno di loro estraeva un coltello e mentre un altro lo bloccava alle spalle tenendogli le braccia, l’altro cominciava a colpirlo in varie parti del corpo; anche colui che lo aveva bloccato con una mano lo teneva fermo e con l’altra gli infliggeva altre coltellate con un’altra lama. L’azione durava pochi attimi dopo di che tutti e quattro si davano alla fuga. Arturo Puoti, trafitto dalle coltellate, oggi è un laureato, si è salvato per miracolo e bravura medica, tra i suoi assalitori nella baby gang c’era anche un dodicenne. Il governo ha varato un pacchetto di misure per contrastare le baby gang. Si discute anche della proposta leghista di abbassare l’imputabilità da 14 a 12 anni. 

Maria Luisa Iavarone, lei è la madre di Arturo e una professoressa di pedagogia sperimentale. Partiamo dalla proposta leghista di abbassare la punibilità dei minori dagli attuali 14 ai 12?

Quello non è il problema. I minorenni non sono più maturi di quanto non lo fossero cinquant’anni fa. L’adolescenza si è allungata e si sviluppa più tardi, la piena maturazione cognitiva arriva dopo, oltre i vent’anni. Viviamo più a lungo, invecchiamo più tardi e maturiamo più lentamente. Il teorema che i ragazzi abbiano uno sviluppo precoce perché hanno il cellulare non ha basi scientifiche, è un errore per ragioni demografiche e neurobiologiche. 

Questo è chiaro, ma tra gli assalitori di suo figlio c’era anche un dodicenne, non sarebbe stato giusto punirlo?

Si sbaglia il target. In questi giorni si torna a parlare della certezza della pena, per me è necessaria l’esecuzione della pena, tradotto con una domanda: cosa ne facciamo di questi ragazzi? Li vogliamo imputare a 14 anni, come adesso, a 12 anni, come propone la Lega? Ma per fare cosa. Prendiamo la messa alla prova in una comunità, chi ne tiene conto dell’esito del percorso, chi si prende cura di un eventuale fallimento che è sempre dietro l’angolo? Nella violenta e quasi mortale aggressione a mio figlio c’era chi, da infraquattordicenne, già aveva commesso reati e così è per l’assassino di Giovanbattista Cutolo (ucciso nei pressi di piazza Municipio, a Napoli, da un sedicenne, ndr). 

Il problema non è innalzare o abbassare l’asticella, ma alzare la soglia dell’attenzione. Se a meno di 14 anni commetti un reato devi essere seguito comunque indipendentemente dal percorso penale. Il provvedimento del governo per questo è inefficace, risponde a un atteggiamento ottuso e forcaiolo che non risolve il problema. Non interviene sull’impianto rieducativo delle condotte criminogene o pre-criminali di questi ragazzi prima dei 14 anni, che precedono il passaggio a una criminalità più organizzata. 

Ma allora cosa bisognerebbe fare?

Dovrebbero imporre percorsi nelle pre-devianza, i ragazzi minori di 14 anni devono avere l’obbligo del percorso che significa messa alla prova anche senza processo, destinarli a una comunità anche senza condanna in modo da avviare iter di rieducazione specializzati. Una messa alla prova che, però, non deve diventare un mero adempimento burocratico. Se a 13 anni hai già fatto un tentato omicidio è ragionevole che farai omicidio a 16-17 anni. L’omicida di Giovanbattista Cutolo non ha fatto percorsi educativi, formativi, riabilitativi, ma ha fatto la scuola della strada con rapine, estorsioni e ogni genere di reato. Questo ragazzo non era visto da nessun cruscotto della giustizia, ignorato prima che premesse il grilletto. 

Nel decreto che sarà discusso in parlamento c’è l’arresto per i minori, dai 14 anni in su, colti in flagranza per reati come spaccio di stupefacenti e violenza a pubblico ufficiale, servirà?

Non dobbiamo scadere in un inutile politicamente corretto. Io sono favorevole all’arresto dei ragazzi, per me chi detiene un’arma, finta o vera, deve essere arrestato. Oggi c’è il solo sequestro e la reprimenda ai genitori, non basta. Napoli è prima città in Europa per uso di armi da sparo da parte di minorenni. Bisogna disarmare la città, io lavoro per la prevenzione, ma se si legge che in certe aree di Napoli trovare una pistola è semplice come mangiare una pizza bisogna fare piazza pulita. A Napoli viene sequestrata un’arma a un minore ogni tre giorni e i ragazzi vengono utilizzati per ogni genere di reato. Si pensa poco all’istruzione, non si riesce ad abbattere la dispersione scolastica, la povertà educativa e così ogni volta ci troviamo a commentare l’ultimo omicidio. La sola via repressiva non è all’altezza del problema, il carcere è una macchina che non funziona, fallimentare. Stiamo buttando i soldi, perdiamo tempo, denaro, vite. 

Lei, due giorni fa, era in chiesa a piazza del Gesù per l’ultimo saluto a Giogiò, come ha vissuto quei momenti?

Dal trauma non si uscirà mai, io non ne sono mai uscita. Il trauma si riattiva, sento l’eco di quella rabbia, di quel rancore e il senso di sconfitta aumenta. In quella chiesa c’era la mamma di Giovanbattista, i genitori di Francesco Pio, padri e madri di tutte le vittime innocenti, negli ultimi sei mesi a Napoli due ragazzi solari e perbene hanno lasciato la vita a terra. Serpeggia un senso di sconfitta che si amplifica, ho avuto la sensazione di un rituale stanco. Giusti gli appelli, ma le istituzioni facciano di più anche la chiesa. Lo dico senza provocazione e con massimo rispetto, venda oro e monili, a partire dal tesoro di San Gennaro, e finanzi un patto educativo epocale, senza precedenti, altrimenti aspettiamo il prossimo morto.

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