Il governo ha lanciato questa settimana una grande campagna di pubblicità su Immuni, la app di tracciamento per i casi di coronavirus che aveva avuto un deludente lancio a giugno. «Non è obbligatorio scaricarla, ma va considerato un imperativo morale», ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. «Vi invitiamo a spiegare ai cittadini cos’è e come funziona l’applicazione, promuovendone l’utilizzo», ha scritto il suo portavoce, Rocco Casalino, in una lettera indirizzata ai media. Domani aderisce alla campagna pubblicando nel giornale in edicola (e nella sua versione digitale) una pagina di pubblicità realizzata dalla presidenza del Consiglio.

Le aspettative deluse

Immuni è un’app per smartphone che serve ad avvertire se si è entrati in contatto con una persona positiva al coronavirus. Era stata lanciata su tutto il territorio nazionale lo scorso 15 giugno, ma la sua diffusione all’inizio è stata piuttosto deludente. La ministra dell’Innovazione Paola Pisano aveva detto che l’obiettivo era far installare l’app al 60 per cento della popolazione, una cifra che aveva ripreso da uno studio dell’Università di Oxford che identificava questa come soglia ideale necessaria a un’app di tracciamento dei contatti per raggiungere la massima efficacia.

Questo obiettivo, però, è ancora lontano dall’essere raggiunto. Fino ad oggi, la app è stata scaricata da 6,6 milioni di italiani, l’11 per cento della popolazione. Nessun paese europeo è riuscito a raggiungere la copertura ideale.

In Finlandia, un terzo della popolazione ha scaricato la app Koronavilkku, che il ministero della Salute ha reso disponibile dai primi di settembre. In Germania, la app di tracciamento è stata scaricata dal 20 per cento della popolazione. L’app spagnola Radar è stata scarica da circa l’8,5 per cento della popolazione. La Francia è il grande paese europeo che ha fatto peggio: solo il 4,5 per cento della popolazione ha scaricato la app StopCovid.

Le critiche

I critici hanno provato a spiegare i risultati di Immuni con i timori degli utenti sulla tutela della loro privacy, con la paura di finire sottoposti a misure di quarantena in seguito ad errori del sistema e con la generale incertezza nella comunicazione di alcuni aspetti del funzionamento dell’app.

I timori sulla privacy sono quelli che sono stati accantonati più rapidamente. Immuni funziona tramite la tecnologia bluetooth. Non registra la posizione delle persone, né alcun dato personale, ma soltanto le interazioni con altri cellulari. Queste interazioni vengono registrate tramite un codice anonimo, generato per ogni dispositivo. Quando una persona con Immuni scopre di essere positiva, può segnalarlo sull’app, che a quel punto invia una notifica a tutti gli smartphone con cui è entrato in contatto stretto nei quattordici giorni precedenti. Soltanto le persone che ricevono la notifica sanno di essere entrate in contatto con un positivo.

Quando arriva una notifica

Un’altra preoccupazione è quella di ricevere una notifica anche se non si è mai stati a stretto contatto con una persona positiva. I tecnici che hanno lavorato alla app dicono che gli errori sono possibili, ma sono piuttosto rari. Affinché due telefoni si riconoscano come “contatti” devono rimanere a circa due metri di distanza per almeno quindici minuti. Barriere come le mura di una casa bloccano il segnale, dicono i tecnici.

Un punto su cui molti denunciano incertezza è che non è stato comunicato chiaramente cosa accade a chi riceve una notifica. La risposta è che mettersi in quarantena non è affatto obbligatorio. La app raccomanda invece di mettersi in contatto con il proprio medico di medicina generale (cioè il medico di famiglia). Spetta a lui suggerire come procedere. Ogni medico fa le sue valutazioni, ma la prassi più comune è quella di raccomandare un test, come un tampone standard, un test sierologico o un “test rapido” antigenico.

La velocità e facilità con cui si può ottenere un test non dipende da Immuni, ma dalla struttura della sanità regionale, responsabile per tutto ciò che riguarda il tracciamento tramite esami. Al momento, quasi tutte le aziende sanitarie regionali consentono di effettuare test nel giro di 24 ore. Rimane però da vedere se i tempi rimarranno così spediti quando il numero di nuovi casi dovesse ritornare ai livelli dello scorso marzo.

© Riproduzione riservata

© Riproduzione riservata