Venerdì pomeriggio Francesco, recandosi come da tradizione in piazza di Spagna a Roma per pregare di fronte alla statua della vergine Maria, ha voluto ricordare in modo particolare le donne rimaste vittime di violenza in Italia e nel mondo.

Una preghiera che, senza citare esplicitamente i “femminicidi” come quello di Giulia Cecchettin, ha toccato però il tema al centro del dibattito pubblico nelle ultime settimane.

E certamente, il fatto che Bergoglio abbia parlato della violenza sulle donne nel corso dell’atto di venerazione a Maria, costituisce un evento non scontato nella vita della chiesa.

Il papa è andato prima a Santa Maria Maggiore a soffermarsi in preghiera davanti all’immagine della Madonna “Salus populi romani”, quindi ha raggiunto in auto piazza Mignanelli, a ridosso di piazza di Spagna, dove si trova la statua dell’Immacolata; qui è stato accolto dal cardinale vicario Angelo De Donatis e dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

Francesco ha celebrato l’atto di venerazione e, nel corso della preghiera, ha detto fra le altre cose: «Oggi, Maria, abbiamo bisogno di te come donna, per affidarti tutte le donne che hanno sofferto violenza e quelle che ancora ne sono vittime in questa città, in Italia e in ogni parte del mondo. Tu le conosci ad una ad una, conosci i loro volti.  Asciuga, ti preghiamo, le loro lacrime e quelle dei loro cari».

«E aiuta noi – ha aggiunto - a fare un cammino di educazione e di purificazione, riconoscendo e contrastando la violenza annidata nei nostri cuori e nelle nostre menti e chiedendo a Dio che ce ne liberi».

Importante anche il passaggio sui conflitti che scuotono il mondo: «Madre, rivolgi i tuoi occhi di misericordia su tutti i popoli oppressi dall’ingiustizia e dalla povertà, provati dalla guerra; guarda al martoriato popolo ucraino, al popolo palestinese e al popolo israeliano, ripiombati nella spirale della violenza. Oggi, Madre santa, portiamo qui, sotto il tuo sguardo, tante madri che, come è successo a te, sono addolorate. Le madri che piangono i figli uccisi dalla guerra e dal terrorismo. Le madri che li vedono partire per viaggi di disperata speranza».

La salute e il pontificato

Il papa, nel corso della mattinata, nonostante il freddo pungente, ha recitato l’angelus in piazza San Pietro affacciandosi dalla finestra del palazzo apostolico e, dopo una partenza con qualche affanno, ha ripreso a parlare normalmente, segno che le difficoltà dovute alla bronchite dei giorni scorsi sono state superate quasi del tutto.

Certo, la salute di Francesco rimane per forza di cose precaria considerati i precedenti, l’età, il livello di impegni richiesti; non si dimentichi infatti che il pontefice il prossimo 17 dicembre compirà 87 anni.

È inevitabile dunque interrogarsi sulla durata del pontificato e chiedersi se Francesco prenderà mai in considerazione l’ipotesi di rinunciare all’incarico. Per ora, in ogni caso, non sembra che la questione sia in agenda.

Anche perché c’è da immaginare che Bergoglio voglia portare a termine almeno il processo sinodale con il quale ha chiamato la chiesa ad aprire una discussione globale per ridisegnare se stessa in rapporto al mondo contemporaneo; difficile dire cosa uscirà dalla fase conclusiva del sinodo che si terrà a Roma nell’ottobre del prossimo anno, in ogni caso il papa dovrebbe dire la sua con una successiva esortazione apostolica.

Si tenga conto, inoltre, che pochi mesi dopo prende il via il Giubileo del 2025, durante il quale è previsto che si svolgeranno a Roma decine di eventi con l’afflusso nella Capitale di milioni di pellegrini, folle che, almeno nelle previsioni (o speranze), dovrebbero aiutare a rimpinguare le casse del Vaticano e quelle del sistema turistico-commerciale, di Roma.

Un conclave durante il Giubileo? Resta, quest’ultima, un’ipotesi improbabile, ma certo non è possibile escluderla del tutto aprioristicamente.

L’incognita viaggi

Come un’incognita si disegna, inevitabilmente, sui prossimi viaggi di Francesco dopo la rinuncia, imposta dai medici e dell’infezione polmonare, alla trasferta a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, in occasione della Cop 28.

Al posto del papa a Dubai, è andato in qualità di capo delegazione vaticana, il Segretario di Stato, Pietro Parolin, che ha letto i messaggi di Francesco e ha presenziato ai principali eventi del summit mondiale sul riscaldamento climatico organizzato dall’Onu.

Parolin, il cui ruolo di diplomatico accorto sta crescendo in questa fase finale del pontificato, ha avuto dunque modo, una volta di più, di farsi conoscere da una platea internazionale.

Sullo sfondo resta invece il mitico viaggio in Argentina sempra rimandato dal papa per motivi di opportunità politica e, quando finalmente era stato messo in cantiere per il 2024, è stato eletto come presidente Javier Milei, un populista-nazionalista, sul modello di Donald Trump, odiatore seriale del suo connazionale che fa il vescovo di Roma.

E  certo è difficile adesso immaginare Francesco a Buenos Aires accolto da Milei; è anche vero che le strade della Chiesa e del papa argentino sono imprevedibili, tuttavia, in questo caso le condizioni di salute precaria potrebbero rivelarsi un’ottima scusa per la Santa Sede.

Spine americane

Sul fronte americano, del resto, ci sono altre spine per Francesco. Ha infatti destato un certo scalpore la notizia, mai confermata ufficialmente dal Vaticano, che il papa avrebbe tolto al cardinale di Curia statunitense Raymond Leo Burke, ultraconservatore, alcuni privilegi come la dotazione di un mega appartamento gratuito Oltretevere e una lauta pensione.

Tuttavia, bisogna ricordare che con un “rescritto” del febbraio scorso, il papa abrogava tutte le disposizioni che consentivano l’uso gratuito di immobili di proprietà delle Istituzioni curiali da parte dei cardinali e di altri alti funzionari vaticani, «per far fronte agli impegni crescenti che l’adempimento al servizio alla chiesa universale e ai bisognosi richiede in un contesto economico quale quello attuale, di particolare gravità», con la conseguente necessità «che tutti facciano un sacrificio straordinario per destinare maggiori risorse alla missione della Santa Sede, anche incrementando i ricavi della gestione del patrimonio immobiliare».

Insomma il caso Burke sembra, almeno in parte, montato ad arte, per sottolineare i dissensi noti da tempo, fra una parte significativa dell’episcopato americano e Bergoglio. Il quale non è però rimasto a guardare in questi anni, nominando cardinali quei vescovi Usa più in linea con la sua visione pastorale: da Wilton Gregory a Washington, a Blase J. Cupich a Chicago, a Robert McElroy a San Diego, solo per citarne alcuni.

E del resto, in Vaticano, sta crescendo il ruolo di un altro bergogliano capace di pensare con la testa propria, il cardinale di lungo corso e arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley, capo della pontificia commissione per la tutela dei minori che, nella recente riunione del C9 (il consiglio dei cardinali che coadiuva il papa nel governo della Chiesa universale) ha proposto l'organizzazione di assemblee delle conferenze episcopali per fare il punto sulla gestione degli abusi sessuali; chissà che non si cominci proprio dall’Italia.

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