Siamo a ventidue chilometri da Agrigento, a centotrentotto chilometri da Palermo e a un passo da uno dei grandi tesori dell’isola: una discarica che butta fumi. Sul bordo del precipizio, che ingoia lordura ma anche segreti, viene difficile resistere alla tentazione di non dare subito i numeri. Un miliardo di euro l’anno, dieci i miliardi di euro dal 2010 al 2020. È quanto vale il “partito della monnezza” in Sicilia ed è quanto contano in Sicilia i pascià dei rifiuti.

Si sentono intoccabili e non lo nascondono. Più di un governatore si è inginocchiato ai loro piedi, più di un ministro dell’Interno li ha inconsapevolmente o consapevolmente favoriti nello spazzare via tutti coloro che erano d’intralcio alle loro convenienze. Come quei sindaci, di destra e di sinistra, che si erano messi di traverso. Disarcionati da indagini ingannevoli, cacciati dai loro comuni chiusi per mafia anche se la mafia proprio lì non c’era. Volevano solo toglierli di mezzo per affari di pattume. E l’hanno fatto in nome della legge.

Il potere dei pascià

Dettagli, definiamoli così, che affiorano nella relazione di “inchiesta sul ciclo dei rifiuti” della Commissione antimafia dell’Ars, il parlamento siciliano. Un rapporto che non ha generato particolare inquietudine ma solo un discretissimo silenzio. Potere dei pascià.

L’orlo del precipizio dove siamo rimasti in bilico per un po’ ha sul fondo un «impianto di trattamento e smaltimento» che era pubblico ed è diventato privato. Già basterebbe questo per “misurare” il peso che ha il partito della monnezza. Tutto il resto è da brividi.

Non potevamo che partire da Siculiana, la “porta della Sicilia” degli antichi romani, per provare a spiegare un portentoso e spaventoso business. Uccellacci che svolazzano in cerca di cibo in un cielo che si perde sul mare africano, spiagge larghe e lunghissime che s’inseguono fra il bianco accecante delle colline di marna, qualche vigna, sul pizzo più alto l’antica fortezza appartenuta ai Caruana che hanno reso famoso il loro paese come la Wall Street della droga. La discarica è là dietro.

L’emergenza politica

I padroni sono i tre fratelli Fabio, Lorenzo e Giuseppe della Catanzaro costruzioni srl, Giuseppe era anche il presidente di Sicindustria prima di ricevere un avviso di garanzia «per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione», presidente al servizio di una cordata poco raccomandabile d’imprenditori scalfita ma non abbattuta dai provvedimenti giudiziari.

Prima di descrivere cosa è avvenuto da queste parti intorno alla fetida montagna di Siculiana e ai fratelli Catanzaro, bisogna anticipare quale è la parola chiave per ogni faccenda siciliana di monnezza che si rispetti: «Emergenza». S’inizia a pronunciarla nel 1999 con il governo di Angelo Capodicasa, rimbalza con le giunte di Totò Cuffaro e di Raffaele Lombardo, tocca l’apice del delirio con Rosario Crocetta nel 2013, si torna a farne abuso nell’ultimo governo Musumeci. Emergenza, sempre emergenza. Poteri speciali. Commissari straordinari. Ordinanze urgenti. Ogni piccola mossa o grande progetto ha comunque sempre lo stesso fine: il tornaconto dei privati.

«Funzione politica e ragione d’impresa si sono incrociate su un piano inclinato che ha mescolato inerzie, inefficienze e corruttele, la governance regionale del ciclo dei rifiuti è stata spesso ostaggio di un gruppo di imprenditori», così si apre la relazione finale di quell’inchiesta sulla monnezza della Commissione antimafia siciliana, presidente Claudio Fava, dedicata alle razzìe dei pascià. Trentuno sedute, cinquantadue audizioni, duecentosettantacinque pagine con dentro gli atti delle procure distrettuali e le analisi semestrali della Direzione investigativa antimafia, i rapporti delle commissioni parlamentari d’inchiesta sui rifiuti della XIV°, XV°, XVI° e XVII° legislatura. Un documento che è una guida preziosa per inoltrarsi nei gironi del lerciume che fanno ricchi pochi e fanno pagare tanto a tanti. Per la spazzatura – la fonte è Cittadinanza, dati aggiornati al dicembre 2019 – i siciliani spendono di media 394 euro l’anno e sono secondi in Italia solo ai campani.

Ma cinque città dell’isola – Catania, Trapani, Siracusa, Agrigento e Messina – figurano nella top ten nazionale. In Veneto il costo annuo è di 234 euro l’anno, in Lombardia di 241 euro, in Piemonte di 276 euro.

Il golpe di Siculiana

Torniamo a Siculiana e alla Catanzaro costruzioni srl. Perché qui, un giorno, le ruspe dei tre fratelli si spingono sul suolo comunale e cominciano a spostare e movimentare terra. Il sindaco dispone un controllo, ne nasce un contenzioso che prende una piega inaspettata. I Catanzaro, che avevano denunciato richieste di estorsione da parte di boss locali, presentano un esposto alla procura di Agrigento contro il sindaco di Siculiana Giuseppe Sinaguglia del Pd, il dirigente dell’ufficio tecnico Pasquale Amato, il funzionario responsabile della discarica Luigi Meli e il comandante del corpo di polizia municipale Giuseppe Callea. I magistrati aprono un’indagine contro i quattro per abuso d’ufficio ma – sorpresa – «aggravato dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra». L’ipotesi di reato è insieme semplice e assai contorta: sindaco, funzionari e comandante avrebbero ostacolato i fratelli Catanzaro, attraverso le loro verifiche a raffica sulla discarica, dopo il loro no al pagamento del pizzo. Una rappresaglia, una vendetta trasversale del comune contro onesti cittadini che si erano schierati contro gli appetiti di una cosca. Gli investigatori sono molto zelanti.

Anche perché, i Catanzaro, da qualche anno rappresentano il vertice di quell’Antimafia industriale siciliana che agita la “lotta legalitaria” come una scimitarra contro tutti i nemici. Godono di alte protezioni a Palermo e a Roma, sponsorizzano i convegni di Legambiente, ci sono questori e procuratori della repubblica che pendono dalle loro labbra.

L’esito dell’indagine della squadra mobile di Agrigento è scontata: i Catanzaro sono vittime e quegli amministratori carnefici. Così il ministero dell’Interno con un decreto fa saltare in aria il Comune di Siculiana per mafia. Dopo qualche mese un giudice delle indagini preliminari proscioglie Sinaguglia, Amato, Meli e Callea «perché il fatto non sussiste». Le motivazioni: «Ragionevolmente non può escludersi che l’intento propugnato e conseguito dagli imputati sia stato invece quello di far valere quelle che ritenevano legittime prerogative di vigilanza del comune di Siculiana, su aree e opere non comprese dall’autorizzazione comunale». Sindaco e funzionari assolti, reputazione restituita con un colpo di penna, ma intanto il comune è già nelle mani di un prefetto. E la Catanzaro costruzioni srl ha già esautorato il proprietario dei terreni, il municipio, dalla discarica.

Dopo il golpe di Siculiana all’assessorato regionale all’Energia si insedia Nicolò Marino, sostituto procuratore della repubblica a Caltanissetta, uno dei magistrati che indaga sulle stragi del 1992. Fa parte della giunta di Rosario Crocetta, il governatore che promette una rivoluzione ma è prigioniero dei capataz della più vecchia rete clientelare isolana, un blocco di grandi elettori e apparati che si sposta indifferentemente dal centrodestra al centrosinistra puntando sempre sul cavallo vincente.

Affare che puzza

L’assessore-magistrato si accorge subito che nel sistema rifiuti c’è del marcio, gli interessi sono da capogiro anche perché - oltre a quel miliardo di euro - stanno per arrivare 200 milioni per realizzare nuovi impianti di smaltimento. L’assessore accusa: «I rifiuti sono sempre in mano alle stesse persone...».

Un passo incauto: Marino è costretto a dimettersi. Qualcuno fa circolare voci su dossier sulla sua vita privata e uno di quei dossier – guarda caso – verrà ritrovato qualche anno dopo in un bunker nella villa di Antonello Montante, il vicepresidente nazionale di Confindustria amico dei fratelli Catanzaro. L’assessore-magistrato è sorvegliato speciale. Lui e i suoi due figli. Una microspia intercetta un giorno (è il 14 febbraio 2016, ore 16,48) la voce di Giuseppe Catanzaro che dice: «Un amico mi deve fare avere il numero di targa della macchina di Marino...».

È passato qualche anno dallo scioglimento del comune di Siculiana ma i pascià dei rifiuti non dimenticano. Nell’ombra c’è sempre qualcuno pronto a colpire.

I Catanzaro restano a capo del loro impero. In un rapporto spedito alle procure i carabinieri del Noe (il Nucleo operativo ecologico) scrivono: «L’attività captativa ha acconsentito di accertare che godono di ottimi rapporti con gran parte dei responsabili delle istituzioni dell’isola...le loro pressioni seguono un preciso e collaudato modus operandi, le stesse si trasformano in vere ingerenze in quelle che sono le scelte della pubblica amministrazione e si basano su argomentazioni aventi fini intimidatori o, quanto meno, come tali percepiti». Se qualcosa non sta bene ai Catanzaro loro minacciano di chiudere la discarica gettando tutti nel panico, se qualcosa non sta bene ai Catanzaro partono subito «richieste di risarcimento danni rivolte a questo o quell’altro funzionario che si oppone ai risultati che si prefiggono di conseguire».

La mafia quando conviene

Due le inchieste aperte sulla Catanzaro costruzioni srl e due le archiviazioni. Poi – è il luglio del 2020 – il procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio avvia un’altra indagine e chiede il sequestro della discarica di Siculiana, il giudice Francesco Provenzano firma l’ordinanza e nomina due amministratori giudiziari. È il tempo di un’estate. Per un vizio di forma, il Tribunale del riesame di Agrigento a ottobre ordina il dissequestro.

In Cassazione pende adesso il ricorso della procura.

Quello di Siculiana non è il solo comune affondato in Sicilia con il marchio della mafiosità senza uno straccio di prova.

Un altro passaggio della relazione dell’Antimafia di Fava: «C’è la preoccupazione che in alcuni casi lo scioglimento per mafia dei comuni sia oggettivamente servito a rimuovere, insieme alle amministrazioni comunali, le posizioni contrarie che quelle amministrazioni avevano sulla ventilata apertura o sull’ampliamento di piattaforne private per lo smaltimento di rifiuti».

Le norme del testo unico sugli Enti locali - quelle che disciplinano lo scioglimento dei consigli comunali - usate come arma per eliminare oppositori politici e chiunque altro sia di disturbo. Ecco i brividi.

Non c’è solo Siculiana. Lo schema della distruzione di un comune viene ripetuto un paio di anni dopo a Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia.

Il sindaco Salvatore Petrotto, giunta di centrosinistra, nel giugno del 2011 è anche lui catapultato con premeditazione in un'indagine di mafia. Petrotto si dimette appena riceve l’avviso di garanzia ma, neanche tre mesi dopo, gli stessi pubblici ministeri chiedono per lui l’archiviazione. Il giudice, con inusuale rapidità, accoglie la richiesta e annota: «Negli atti trasmessi (dai pm, ndr) non si intravede alcuna condotta di questo genere (concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) in capo all’indagato e questo giudicante non saprebbe indicare quali altri atti di indagini possano essere compiuti in tal senso...».

Nonostante la netta pronuncia del giudice la ministra degli Interni Annammaria Cancellieri, molto legata ai famigerati falsi “paladini dell’Antimafia” siciliana, firma un decreto di scioglimento del comune di Racalmuto accusando perentoriamente il sindaco «di avere di fatto consentito all’organizzazione criminale di potersi infiltrare all’interno del comune».

L’ormai ex sindaco Salvatore Petrotto testimonia in Antimafia: «Ho inaugurato il centro comunale per la raccolta dei rifiuti annunciando che non avrei più conferito un chilo di immondizia in discarica, dopo una decina di giorni mi arriva l’avviso per concorso esterno come un congegno ad orologeria».

Servizi segreti

Dopo Siculiana c’è Racalmuto, dopo Racalmuto è il turno di Scicli. Dall’altra parte della Sicilia, in provincia di Ragusa. Lì c’è un’impresa che opera nella raccolta dei rifiuti, è l’Acif srl che presta i suoi servizi alla filiera del petrolio e viene incaricata dalla piattaforma Vega (60 per cento Edison e 40 per cento Eni) per trasportare i residui delle estrazioni in un impianto destinato al trattamento.

La società chiede anche l’autorizzazione per i rifiuti pericolosi, il comune di Scicli la nega perché quell’area è destinata a un parco extraurbano. Il giorno dopo il prefetto di Ragusa, naturalmente è solo una coincidenza, nomina una Commissione d’accesso agli atti al municipio per presunte infiltrazioni di mafia. Due giorni dopo il sindaco di centrodestra Franco Susino, naturalmente è solo un’altra coincidenza, riceve un avviso di garanzia per concorso esterno. È il luglio del 2014. Nell’aprile del 2015 il Comune di Scicli viene chiuso per mafia con decreto del ministro dell’Interno Angelino Alfano, siciliano della provincia di Agrigento e anche lui legatissimo a quegli imprenditori tutti appassionati di una legalità molto sospetta.

Come è finita? Che l’Acif srl ottiene l’autorizzazione precedentemente negata e intanto – dopo le accuse – il sindaco di Scicli viene assolto. La sentenza del Tribunale di Catania sulla mafia e il sindaco Susino: «È inaudito che questo processo abbia potuto superare la fase delle indagini preliminari». Inaudito. Sindaco totalmente estraneo agli impicci criminali ma Comune ormai nelle mani prefettizie. Come a Siculiana. Come a Racalmuto. Un processo inventato, a detta degli stessi giudici che vagliano ogni profilo della vicenda.

Per finire il discorso su Scicli. La delibera che prevedeva la realizzazione del parco extraurbano di Scicli si è persa nei labirinti della burocrazia regionale. Come si è persa, «per motivi di sicurezza nazionale», la traccia di una misteriosissima attenzione del servizio segreto interno, l’Aisi, concentrata sul sindaco Franco Susino, su una mezza dozzina di assessori di Scicli e su un dirigente comunale del servizio Ecologia. Due “entrate” alla banca dati del Viminale eseguiti con gli user id “Foca 606” e “Foca 648”. Gli spioni sono molto interessati a quel comune, il maresciallo dei carabinieri di Scicli Sebastiano Furnò ne chiede conto e ragione ma nessuno gli risponderà mai per quei «motivi di sicurezza nazionale».

Il caso Scicili ha delle peculiarità tutte sue rispetto a Siculiana e a Racalmuto. Quando il prefetto ordina l’accesso in paese nasce un comitato contro lo scioglimento del comune.

Ne fanno parte il giudice Severino Santiapichi - che è stato presidente della Corte di Assise del processo Moro e a quello contro Ali Agca, il “lupo grigio” condannato per l’attentato contro Giovanni Paolo II – il magistrato Salvatore Rizza, il pittore delle “linee del mare e della terra” Piero Guccione. Persone più che rispettabili, che non sono molto convinte di ciò che sta accadendo nel loro paese. Ma in parlamento arriva contemporaneamente un’interrogazione di un senatore di tutt'altro collegio elettorale che, su Scicli e il suo crimine, denuncia «che in loco c’è una pericolosissima negazione della stessa presenza mafiosa da parte di certa società e di certa stampa».

Il senatore

L’interrogazione porta la firma di Giuseppe Lumia, regista politico di tutti i governi siciliani degli ultimi dieci anni. È lui che vuole Rosario Crocetta governatore per il centrosinistra, è lui che appoggia Raffaele Lombardo per il centrodestra, ed è sempre lui che è amico dei fratelli Catanzaro di Siculiana. Tanta è l’influenza di Lumia su Crocetta che lo chiamano “il senatore della porta accanto”, perché aveva una stanza in regione quasi attaccata a quella del governatore, fra la sala degli specchi e il salottino Santa Rosalia.

Il “senatore della porta accanto” è quello che, più di ogni altro, si spende per lo scioglimento del comune di Scicli.

Che altro dire? Sulle coincidenze i pascià delle discariche hanno fatto la loro fortuna.

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