Ostaggi a Misurata non è un film. Ma la storia di un gruppo di militari dell’esercito italiano in missione in Libia che aspetta il cambio con altri loro colleghi provenienti dall’Italia da quasi un mese, ai quali però l’ambasciata libica a Roma non ha ancora rilasciato i visti per i passaporti. Il risultato è che le nuove truppe non possono partire per garantire l’avvicendamento condannando i loro colleghi a restare in Libia.

Il limbo burocratico è diventato un caso diplomatico, che agita ministri e governo. I militari bloccati in attesa del cambio prestano servizio nell’ospedale da campo campo conosciuto con il nome “Role 2”. La task force che si trova a Misurata si chiama “Ippocrate”, che dipende dal comando di stanza a Tripoli. L’ospedale da campo è da tempo nel mirino del governo libico, in quel territorio l’influenza della Turchia di Erdogan ha raggiunto l’apice. L’esercito turco infatti ha dato una grande mano nella guerra contro il generale nemico Haftar e il campo dove ora c’è l’ospedale militare italiano potrebbe finire in mano loro.

Il ricatto dei visti va letto nel contesto più ampio dei rapporti tra Roma e Tripoli. La questione migranti è ufficialmente in primo piano, con i milioni di euro dati dall’Italia e dall’Europa alla guardia costiera libica, che intercettando i barconi nel mediterraneo è diventata di fatto la polizia di frontiera di Bruxelles e di Roma. C’è, tuttavia, una partita più grossa, quella economica. Con la Turchia che la fa sempre più da da padrona in un’area strategica per porti e commercio. Misurata è il primo polo industriale.

Dunque nella cordialità dimostrata dal premier libico Abdelhamid Dbeibah nei confronti del presidente del consiglio Mario Draghi e del ministro degli esteri Luigi Di Maio c’è molta forma e poca sostanza: a partire dal gioco sulla pelle dei soldati che vogliono rientrare a Roma dalle famiglie e che non possono farlo perché l’ambasciata libica a Roma non firma i visti. Al ministero della Difesa e agli Esteri c’è il massimo riserbo. Il dossier è tra i più delicati. Fonti di entrambi i ministeri garantiscono che i ministri Guerini e Di Maio stanno collaborando con tutto il governo per ottenere i visti per riportare a Roma i soldati bloccati a Misurata.

L’umore è pessimo tra i soldati che erano pronti a ricevere il cambio dopo mesi di missione, ormai è palese che i libici non li vogliono a Misurata, e questo è l’ennesimo segnale ostile.

Fonti sul territorio spiegano a Domani che la situazione è insostenibile, «ci sentiamo prigionieri in una missione ormai inutile, con i libici che non ci vogliono e stanno cercando di farcelo capire in tutti i modi», è in sintesi il pensiero condiviso da alcuni “ostaggi”. Il cambio di personale sul campo segue regole precise. Alle volte si sostituiscono fino a 30 soldati per volta fino a completare il giro e far tornare in patria le persone che sono in Libia da sei mesi. Solo i medici restano meno, due o tre mesi al massimo.

Non è la prima volta che con la scusa della mancanza del visto sul passaporto il governo libico crea problemi all’esercito italiano. Nel luglio 2020 erano stati bloccati dal governo 40 soldati atterrati a Misurata che avrebbero dovuto dare il cambio ai loro colleghi della missione Ippocrate. Il motivo? La mancanza di visti sul passaporto. Dunque le minacce scorrono sottotraccia da tempo. Con l’aggiunta che governo di Tripoli ha promesso alla Turchia, come emerso da notizie di stampa, una base a Misurata. Insomma, non sono pochi a credere che dietro la scortese mossa dei visti, una forma di pressione sull’Italia, ci possa essere l’impronta di Erdogan.

Di certo nell’ultimo anno il campo “Role 2” è diventato scomodo. Il 5 agosto scorso il ministro della Difesa Guerini aveva annunciato al termine di un incontro bilaterale con l’allora premier Serraj la piena disponibilità a spostare la struttura in «un’area più funzionale». Poco dopo questo annuncio la Libia annunciava un nuovo accordo con Turchia e Qatar per la formazione delle truppe nazionali libiche.

L’operazione Ipppocrate

Sul sito della Difesa si legge che «l’operazione, dal 1° gennaio 2018, è stata riconfigurata nell’ambito delle attività di supporto sanitario e umanitario previste dalla “Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia». Le notizie ufficiali sulla missione riportano un contingente di circa 300 militari e oltre 100 mezzi terrestri. Il personale sanitario proviene dal policlinico militare del Celio di Roma e un team dedicato fornisce consulenza e addestramento per i medici libici.

L’ospedale da campo è definito tecnicamente “Role 2”, con una capacità di 50 posti letto circa e reparti di pronto soccorso, terapia intensiva, radiologia, laboratorio di analisi. Oggi praticamente inutilizzato, chi ci ha lavorato ultimamente è ancora più netto: «Teniamo lì gente a non fare nulla, oltretutto a Misurata città c’è un ottimo ospedale civile».

Le frizioni con i libici

É capitato anche che libici ostacolassero l’arrivo delle derrate alimentari all’interno della base italiana e che alcune ditte, con contratti per la manutenzione, venissero bloccate all’esterno della base per diverse settimane. «Continuano a ricattarci perché ci vogliono fuori da qui», è il sentimento diffuso tra il personale che è rientrato dalla missione. Fuori, cioè, dall’aeroporto militare sede dell’accademia militare libica di Misurata occupata dagli italiani da almeno 4 anni. Da tempo in maniera non troppo formale l’esercito libico chiede i nostri contingenti di lasciare l’area, senza grandi risultati. I libici rivogliono tutte le cinque palazzine di tre piani dove alloggiano le forze armate italiane. Palazzine realizzate dai russi, poi ristrutturate dagli inglesi e successivamente dagli italiani all’epoca dell’istallazione del campo. Ora, però, arrivano i Turchi.

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