Il taxi collettivo partito da Kairouan fa la sua ultima fermata in uno spiazzo alberato e sabbioso, nella delegazione di quasi 4mila abitanti di Menzel Mhiri. A 40 chilometri dalla quarta città sacra dell’islam, nel centro-ovest della Tunisia, la strada è quasi deserta. Si alternano banchi di frutta e abitazioni in fase di costruzione. Dopo cinque minuti di cammino, accanto a un caratteristico giallo-rosso “Cafè Roma”, sorge Errim: un’impresa di sole dipendenti donne che produce la tipica salsa tunisina harissa.

Najoua Dhiflaoui, 53 anni, con fare gentile dà il benvenuto nella piccola realtà posta al piano terra di una palazzina bianca. Dhiflaoui è fondatrice e presidente di Tahadi, la mutua società di servizi agricoli (Smsa) creata l’11 novembre 2013, che ha dato vita, a sua volta, al marchio commerciale “Errim”: dall’arabo al reem, “gazzella”, un animale che in Tunisia simboleggia la bellezza femminile, ma che per l’imprenditrice rappresenta anche la determinazione della donna che lavora e si autodetermina.

«Quest’azienda nasce per migliorare il tenore di vita delle donne che vivono nelle zone rurali e fornire loro un’alternativa allo sfruttamento dei grandi proprietari terrieri», racconta Dhiflaoui. La presidente che ha esperienza di lavoro sottopagato e senza copertura sociale. La cooperativa conta 164 dipendenti donne locali che lavorano a rotazione e a orario flessibile, affinché tutte possano avere un minimo di indipendenza economica e partecipare alla sostenibilità familiare e formazione scolastica dei figli.

Un contributo necessario considerando che Kairouan è il terzo governatorato della Tunisia con il tasso di povertà più alto. Il tasso di disoccupazione si assesta stabilmente tra il 16-18 per cento, con quella femminile sotto il 30 per cento. Oltre a creare lavoro, la cooperativa mira alla promozione e valorizzazione dei prodotti del territorio. Se, infatti, la Tunisia produce quasi 20mila tonnellate all’anno di harissa, di cui circa 6mila destinate all’esportazione, è anche grazie al governatorato di Kairouan che contribuisce al successo del preparato con la produzione di quasi 72mila tonnellate (2021) di peperoncini all’anno, affermandosi come primo produttore nazionale di peperoncini.

La tradizione

Ma cos’è l’harissa e come si ottiene? La salsa piccante divenuta patrimonio immateriale dell’Unesco il 1° dicembre 2022, è un alimento consumato come condimento o antipasto che conta tra i suoi ingredienti: peperoncino, sale, aglio, coriandolo, cumino, erbe e, a seconda dei casi, olio d’oliva. Il suo nome deriva dal termine arabo “harasa” che significa “pestato”. L’harissa è, quindi, un pesto di peperoncini che ha assunto per i tunisini un valore identitario, oltre che un fattore di coesione sociale.

La preparazione consiste nel lavaggio dei peperoncini – essiccati al sole o freschi, in base alla tecnica adottata – in una vasca d’acqua fredda. Vengono poi sgocciolati, schiacciati, macinati e mescolati con gli altri componenti. Gli ultimi step sono il confezionamento del preparato in un vasetto di vetro e la sterilizzazione.

L’intuizione di Najoua Dhiflaoui sta nell’aver trasformato un know-how trasmesso di generazione in generazione nelle mura domestiche, in una competenza per fare impresa. «Le donne qui apprendono le condizioni igieniche da rispettare per la conservazione dei prodotti e la cura nella preparazione. Impariamo a fare affidamento l’una sull’altra». Questo spirito collaborativo motiva tutte a sentirsi parte attiva del progetto che le vede protagoniste. Come rivela Shahla Timoumi (63 anni) che, mentre si riposa un po’ dopo aver preparato i vasetti per le consegne del pomeriggio, afferma con sorriso contagioso: «lavoro qui dal 2013 e ne sono felice. Ognuna dà il suo contributo in base alle conoscenze e competenze che ha. Ogni cosa qui è frutto delle nostre idee».

Nel 2014, Tahadi fu notata e inserita nel Progetto per l’accesso ai mercati agroalimentari e dei prodotti tipici (Pampat), finanziato dal Segretariato di Stato dell’Economia della Confederazione Svizzera e realizzato dall’Organizzazione delle Nazioni unite per lo Sviluppo industriale in partenariato con i ministeri tunisini dello Sviluppo, dell’Industria e dell’Economia. Grazie al Pampat, la cooperativa venne formata nell’ambito della conservazione dei cibi e della promozione dei prodotti, occasioni che determinarono la popolarità e apprezzabilità del marchio. Come attestano le medaglie d’oro (2017), d’argento (2019) e bronzo (2021) vinte dall’harissa Errim nelle tre edizioni del Concorso tunisino dei prodotti del territorio, e l’export nei mercati svizzero, francese, canadese, belga e italiano.

Tuttavia, la pandemia da Covid-19 del 2020 e la crisi politica ed economica – inasprita dal conflitto russo-ucraino in corso – che sta attraversando la Tunisia, con un tasso di inflazione pari al 9 per cento e d’inflazione alimentare del 13,6 per cento(settembre 2023), hanno impattato negativamente sui bilanci della cooperativa. A questi, si aggiunge la sede di produzione in fitto che può ospitare appena 10-20 lavoratrici. Nei periodi di maggiore richiesta, si arriva a essere 60. La fondatrice ha deciso per questo di appellarsi allo stato, chiedendo l’assegnazione di un piccolo appezzamento di terra dove costruire il nuovo «quartier generale», perché «il luogo e i mezzi sono indispensabili per raggiungere il successo». Preoccupata che le lavoratrici possano sentirsi demotivate per aver profuso tempo ed energie, e non aver raggiunto i risultati sperati, la rassicura Hasna Ounissi (60 anni), che pronta a smontare il turno, racconta timidamente: «lavoro da poco qui e sono molto contenta di averlo scelto».

© Riproduzione riservata