Entrare in un tendone in fila ordinata, ognuno nella propria automobile, per farsi infilare un tampone nel naso è, allo stato attuale delle cose, una prospettiva decisamente più familiare rispetto a quella di entrarci per assistere a un concerto. Parliamo dei drive in e, parlando di drive in, parliamo anche di mercato del lavoro e di come la crisi persista nel far emergere falle preesistenti che moltiplicano le diseguaglianze.

Riguardo i drive in si è discusso delle code chilometriche, delle ore di attesa e dei malfunzionamenti, ma chi ci lavora? Con che tipo di contratti? Come viene reclutato il personale non medico e paramedico? Queste figure sono riconosciute come operanti in un settore a rischio, e di conseguenza tutelate? Ho avuto modo di parlarne con Marco Sacca, quarantenne mestrino che in un drive in della provincia di Treviso ha lavorato per due mesi, tra ottobre e novembre 2020. Marco, che precedentemente al lockdown di marzo si occupava di uno dei settori più duramente colpiti dalla crisi economica - quello turistico – fa parte dell’ampia schiera di lavoratori non aventi diritto ad alcuna forma di supporto statale.

Cosa facevi prima di approdare al drive in?
Vivevo a Venezia e gestivo strutture turistiche, seconde case acquistate per essere messe a reddito, affittate a me e subaffittate ai turisti, così definite locazioni turistiche non imprenditoriali. Mi occupavo di ogni aspetto, dalla messa a norma al customer care, di quelle che per sineddoche sono spesso erroneamente chiamate Airbnb. Tema che ha attraversato indenne gli ultimi quattro governi, mentre nel più grave momento del bisogno l’intera categoria è rimasta priva di qualsiasi sostegno, durante e dopo il lockdown. Ho dovuto versare tutto l’Irpef a giugno, niente proroghe o bonus, figuriamoci l’accesso a fondi di ristoro, sebbene io sia impossibilitato a lavorare dallo scorso 8 marzo ed esposto a costi fissi molto onerosi.

Com’è iniziata questa tua nuova esperienza?
Con una telefonata dall’agenzia interinale, che non ha accennato al drive in. L’annuncio cui mi ero candidato tramite email recitava «addetti/e misurazione temperatura part-time, stazione di Conegliano, per azienda leader nel settore della vigilanza. Richiesti requisiti di buono standing e buone doti relazionali». Risposi che sì, mi ricordavo della candidatura per la misurazione della temperatura alla stazione ferroviaria di Conegliano, ma loro dissero che no, l’offerta riguardava la Zoppas Arena e non la stazione ferroviaria. Allora chiesi se si trattasse di quel posto dove fanno concerti e grandi eventi, perché non ho mai frequentato Conegliano.

Ma concerti e grandi eventi sono sospesi da mesi, a quel punto nessuno ti ha spiegato qual era la mansione richiesta e perché l’annuncio non corrispondeva all’effettiva offerta di lavoro?
Tagliarono corto che niente era sicuro e pertanto non potevano aggiungere altro, che forse mi avrebbe contattato il referente dell’azienda utilizzatrice per un colloquio telefonico e che se questo eventuale colloquio fosse andato bene allora ci saremmo risentiti per ulteriori dettagli.

Nel drive in esiste qualcosa o qualcuno che si possa definire datore di lavoro? Un preciso soggetto o ente responsabile?
Esiste l’azienda utilizzatrice. Questa definizione mi rimase impressa perché, pur risultando assunto dall’agenzia interinale o impresa somministratrice, avrei lavorato per un’altra impresa, definita appunto utilizzatrice. Insomma il mio lavoro si sarebbe trasformato in una spremuta di precariato da somministrare agli utilizzatori, se solo fossi stato abbastanza fortunato da ricevere una loro telefonata.

Che tipo di contratto e di garanzie ti sono stati offerti?
In due mesi si sono alternati rinnovi da sette a quattordici giorni, e il rinnovo è proposto sempre durante il pomeriggio dell’ultimo giorno di contratto, con sollecito di firma immediata. La paga oraria è poco superiore a cinque euro lordi. Si lavora su turni molto faticosi anche per persone allenate come me. Parlare di garanzie in questo contesto non ha senso perché mancano le prospettive minime, figuriamoci le garanzie. Voglio dire, lavorare a stretto contatto con centinaia di contagiati al giorno, attraverso contratti settimanali, significa che chi si ammala perde il lavoro.

Tuttavia non si può cercare l’ingranaggio rotto in un meccanismo che funziona benissimo. Se il mercato segue le logiche della convenienza allora il problema non è la trasformazione dei suoi strumenti, ma l’idea che l’azienda sanitaria locale trovi conveniente pagare l’azienda utilizzatrice, che paga l’impresa somministratrice, che assume un precario a cinque euro lordi, magari un ragazzino di vent’anni alla prima esperienza, e questo è un problema legislativo, quindi politico.

Com’è stato il primo giorno, tra mansioni richieste, colleghi e training?
Il lavoro interinale ha meccanismi che molto spesso inducono il lavoratore ad accettare la mansione a scatola chiusa. Alla telefonata dell’agenzia interinale o impresa somministratrice seguì una chiamata altrettanto sbrigativa, ma più gentile, da parte dell’azienda utilizzatrice. Spiegava che sarei entrato nel tendone di fianco alla Zoppas Arena portandomi da casa una pettorina gialla, che mi sarei vestito sportivo ma mi raccomando non in tuta, presentandomi con mezz’ora d’anticipo così i colleghi, assunti pochi giorni prima, avrebbero curato la mia formazione.

Il lavoro effettivo consisteva in una sorta di “front office” per automobili: gestire le code, raccogliere dati personali, fornire informazioni, consegnare moduli, svolgere la funzione di ponte tra utenti e operatori sanitari e, non troppo di rado, contenere i malumori. Tuttavia queste mansioni richiedono una capacità di concentrazione totale, perché è chiaro che non va sprecata neppure una goccia della spremuta di precariato, e per questo ho imparato aiutando i colleghi. Sin dai primi giorni ho potuto contribuire anche alla definizione delle procedure che, essendo interamente affidate agli accordi tra addetti, cambiano a ogni cambio turno.

Le poche direttive dei medici che supervisionano ai prelievi sono talvolta in contraddizione, ovvero un medico chiede una certa cosa e quello del turno seguente chiede l’esatto contrario. Non mi piacciono le situazioni monotone, ma forse sarebbe più funzionale un protocollo dettagliato, data la gravità del momento. Credo sarebbe prerogativa dei medici supervisori, uno o due per ogni turno, ma, trattandosi di giovani specializzandi alle prime esperienze, questi si limitano al minimo previsto dal loro lavoro a chiamata, che svolgono in regime di partita iva.

Niente pistola termometro, dunque?
Al mio arrivo nemmeno l’ombra del termometro a pistola, che già fantasticavo allo specchio con le migliori espressioni di Javier Bardem in Non è un paese per vecchi. Mi permetto di scherzare, data la mia posizione, ma in effetti non mi sono mai occupato del servizio di misurazione della temperatura indicato nell’annuncio di offerta d’impiego.

Come sono le persone che frequentano il drive in?
Gran parte degli utenti che vengono per il tampone rapido e che non indossano la mascherina perché non respirano bene, perché li disturba psicologicamente l’idea di qualcosa appoggiato al viso, perché hanno letto che l’anidride carbonica esalata dai polmoni è molto dannosa, per segno di protesta alla cosiddetta dittatura sanitaria o per un lungo elenco di motivi che raramente sono giustificabili, poi sono quegli stessi utenti che poche ore dopo tornano, richiamati per confermare col tampone molecolare la positività rilevata attraverso il rapido.

Capisco che la mia esperienza si limiti a poche centinaia di utenti al giorno per ventuno giorni mensili e pertanto non possa essere considerata una vera statistica, tuttavia mi rimane la netta sensazione che molto dipenda dalle abitudini personali, che talvolta possono essere condizionate dall’assenza degli anticorpi a certe opinioni pseudoscientifiche.

La pandemia, oltre a essere un evento catastrofico e drammatico per milioni di famiglie, è soprattutto un amplificatore di problemi pregressi, perché è oggettiva e lineare, non risente delle opinioni. Se non rispetti norme igieniche basilari come pulizia, distanziamento e mascherina, facilmente ti ammalerai. Se negli anni indebolisci il sistema sanitario, in certi casi portandolo al limite del collasso, al primo grande problema sarai costretto a fermare tutto. Se per vent’anni sottrai finanze a cultura e istruzione, finirai col lasciare indietro gran parte dei cittadini.

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