«Semplicemente grazie, la Lombardia ringrazia gli operatori che hanno contribuito alla lotta contro il coronavirus». Il titolo dell’evento del 13 dicembre ha fatto infuriare i familiari delle vittime Covid. Anche perché vedrà la partecipazione del presidente della regione, Attilio Fontana, che incontrerà i medici e gli infermieri della provincia in cui il virus, lasciato circolare liberamente, ha fatto una strage in due mesi.

Tutto questo in campagna elettorale: con Fontana ricandidato con la Lega. E con l’inchiesta della procura di Bergamo, guidata da Antonio Chiappani, che dopo due anni e mezzo sta per essere chiusa. Sotto indagine è la gestione della prima fase dell’emergenza sanitaria. Le ipotesi di reato sono epidemia colposa e falso. I magistrati, coordinati dalla procuratrice Maria Cristina Rota, e la guardia di finanza hanno terminato le attività più complesse dopo aver sentito decine di testimoni.

Alcuni di loro sono figure chiave per provare a individuare eventuali responsabilità. Un capitolo fondamentale è la mancata zona rossa nell’area della Val Seriana, in provincia di Bergamo. Non averla istituita potrebbe aver causato molti più morti, evitabili se le istituzioni avessero confinato fin dalla fine di febbraio 2020 l’area tra Nembro e Alzano Lombardo.

Provocazione di Fontana

Attilio Fontana (foto LaPresse)

La super consulenza affidata a un pool di esperti da parte della procura è arrivata a questa conclusione: se le istituzioni avessero adottato la zona rossa in Val Seriana dal 28 febbraio si sarebbero salvate almeno quattromila vite. Per questo l’evento del 13 dicembre annunciato da regione Lombardia sul territorio bergamasco è stato interpretato come una provocazione.

«Sono state tantissime le persone che, dimostrando grande dedizione e senso di responsabilità, hanno compiuto uno sforzo straordinario per la lotta al Coronavirus... il presidente Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Guido Bertolaso hanno il piacere di invitarla all’evento “Semplicemente grazie!!”», è scritto nell’invito. Peraltro in una mail inviata dall’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è garantito agli operatori che la partecipazione è da intendersi in orario di servizio e se ci sarà un numero congruo di partecipanti potrà essere organizzato un servizio di «transfer» dalla struttura al palasport di Spirano, dove si terrà il comizio del presidente.

L’associazione familiari vittime Covid-19 #Sereniesempreuniti di Bergamo, Alzano viva - Cittadinanza Attiva, le radici del sindacato (Cgil), Non una di Meno Bergamo hanno organizzato un presidio di protesta e hanno diffuso un comunicato durissimo: «Riteniamo Attilio Fontana responsabile della catastrofica gestione della pandemia da Covid-19 che solo nella prima fase ha causato un eccesso di mortalità, nella sola provincia di Bergamo, di seimila morti. Di questi, con l’istituzione della zona rossa nella bassa Valle Seriana, se ne sarebbero potuti salvare dai quattromila ai duemila. Riteniamo inopportuna la visita del presidente, tra l’altro ricandidato, dove ringrazierà il personale sanitario, anch’esso completamente abbandonato dalle istituzioni, in particolare dal governo regionale che negli ultimi anni ha tagliato la sanità pubblica a favore della privata».

I testimoni chiave

Giulio Gallera (foto LaPresse)

«Tra quei morti evitabili per cui nessuno decise, compresa Regione Lombardia che non istituì tempestivamente la zona rossa come fece invece a Codogno, ci sono i nostri cari», accusano i familiari. In queste poche righe c’è la questione dirimente. Perché a differenza di Codogno (il primo caso Covid è stato rilevato il 20 febbraio 2020), a distanza di pochi giorni la Val Seriana non è stata chiusa nonostante l’impennata di contagi?

Su questo i magistrati di Bergamo hanno sentito molti testimoni. Alcuni di loro potrebbero aver fornito elementi decisivi per decifrare l’enigma e spiegare le indecisioni di quei giorni, che hanno permesso al virus di circolare senza ostacoli nel territorio più industrializzato della Lombardia, con oltre seimila aziende e un fatturato complessivo annuo pari a cinque miliardi.

Oltre a Fontana e Giulio Gallera (ex assessore alla Sanità), sono stati sentiti diversi dirigenti e manager della sanità regionale. Per esempio Danilo Cereda, responsabile dell’unità prevenzione della regione. Colui che supervisionava i numeri dei contagi quotidiani e li inviava ai vertici politici locali e nazionali. Altro nome chiave è quello di Alberto Zoli, componente lombardo del Comitato tecnico scientifico (Cts) e direttore dell’Azienda regionale emergenza urgenza (Areu). Sentito dai pm avrebbe detto di aver condiviso gli scenari apocalittici di diffusione del virus con i vertici di regione Lombardia a partire dal 21 febbraio.

Gallera e Fontana hanno invece sempre sostenuto il contrario. C’è poi Giuseppe Marzulli, direttore medico dell’ospedale di Alzano Lombardo, che il 23 febbraio ha ordinato la chiusura del pronto soccorso per la presenza dei primi casi Covid. Presidio poi riaperto per volere dei suoi superiori. Anche questo è un altro capitolo sotto inchiesta a Bergamo.

Protesta sotto la regione Lombardia (foto LaPresse)

Altra testimonianza chiave per individuare eventuali responsabilità sulla mancata zona rossa è quella dell’allora rappresentante degli industriali lombardi, Marco Bonometti. I pm gli avrebbero chiesto di eventuali sue pressioni sulla politica per evitare la zona rossa. Bonometti non è il solo imprenditore ad essere stato sentito: c’è anche Pierino Persico, patron tra le altre cose di Persico Marine, che realizza barche da competizione come Luna Rossa. Sarà utile perciò confrontare queste dichiarazioni con quelle di Vittorio Demicheli, coordinatore della task force lombarda, che, come ha spiegato a questo giornale, spingeva per istituire le zona rosse, almeno all’inizio della pandemia. Di quelle prime cruciali riunioni dell’unità di crisi lombarda, tuttavia, non esistono verbali.

La procura ha cercato risposte anche a Roma. Tra i membri del Cts convocati dai pm ci sono, tra gli altri, Giovanni Rezza, Agostino Miozzo e Silvio Brusaferro: testimonianze decisive per spiegare le ragioni di tanta indecisione sulla Val Seriana e il perché di tanta prudenza anche da parte dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che non firmò mai il dpcm del 5 marzo (firmato solo dal ministro Roberto Speranza) che avrebbe dovuto isolare Nembro e Alzano.

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