Il processo in corso in Vaticano per la compravendita con fondi riservati della segreteria di Stato di un immobile di lusso sito in Sloane Avenue a Londra è davvero arrivato alle sue battute conclusive. Il prossimo 16 dicembre, infatti, dovrebbe arrivare la sentenza.

Dieci sono gli imputati, e tuttavia ad oggi è difficile prevedere quale sarà l’esito del procedimento. D’altro canto, ancora nel corso della settimana, parleranno difese, accusa, parti civili. Di certo, il castello accusatorio messo in piedi dal promotore di giustizia Alessandro Diddi ha mostrato di avere crepe, anche di carattere formale, con le quali pure dovrà confrontarsi il presidente del tribunale Giuseppe Pignatone.

In generale, è stato difficile, fino ad ora, dimostrare che vi fosse stato un complotto per speculare ai danni della Santa sede, che cioè l’affare di Sloane Avenue fosse stato preordinato da un gruppo di funzionari della Segreteria di Stato, in combutta con esperti finanzieri e broker esterni alle mura leonine, per sottrarre risorse alla Santa Sede. Se truffa c’è stata, sembrerebbe più frutto dell’occasione colta al volo da qualcuno esperto di manovre nell’alta finanza.

Ma anche questa ipotesi è tutta da dimostrare, considerato che il Vaticano, consapevolmente o meno, ha sottoscritto ogni volta, nei vari passaggi di questa vicenda, contratti vincolanti. In tal senso, in ogni caso, si pronunciò una corte inglese nel marzo del 2021; il giudice Walter Baumgarten, infatti, non rilevò la presunta estorsione da parte del broker Gianluigi Torzi ai danni della Segreteria di stato che voleva rientrare nel pieno possesso dell’immobile, appunto perché la somma pagata dal Vaticano al broker, era stata oggetto di un regolare accordo fra le parti.

Naturalmente ciò non elimina il sospetto che qualcuno possa aver comunque tratto vantaggio dall’operazione, ma, appunto, servono delle prove per dimostrarlo. Né è da escludere che la conclusione del processo possa vedere, insieme a varie assoluzioni e qualche condanna, l’apertura di un nuovo filone d’indagine contro personaggi fino ad ora esclusi dall’inchiesta. Certo, la confusione è grande nella gestione della giustizia vaticana, si pensi solo al fatto che giudici e pubblici ministeri, vengono scelti tutti fra rappresentanti del mondo giudiziario italiano.

L’obolo e la Curia

Ciò che appare evidente, tuttavia, è che il processo ha messo in discussione, definitivamente, la gestione autonoma e non autorizzata, di ingenti risorse finanziarie, da parte di alti e medi rappresentanti della segreteria di Stato e, per estensione, diciamo così, di tutti i dicasteri vaticani.

Tuttavia, il tema è stato accompagnato da qualche eccesso retorico come quello relativo all’uso dell’obolo di San Pietro, ovvero alla raccolta dei fondi provenienti dai fedeli di tutto il mondo e indirizzata al papa per le opere di carità della Chiesa. A un certo punto è sembrato che i denari destinati alla carità venissero per speculazioni immobiliari.

In realtà il fondo della Segreteria di Stato - di cui, va ricordato, l’opinione utilizzati pubblica non era a conoscenza e che fu “svelato” dal card. australiano George Pell ne 2014, quando era prefetto per la Segreteria dell’economia - era già da diverso tempo alimentato con le entrate dell’Obolo le cui risorse coprono una parte delle spese dei dicasteri vaticani; semmai a entrare in discussione era una certa arbitrarietà e opacità nella gestione.

In ogni caso, per esempio nel 2022, le entrate dell’Obolo di San Pietro, raggiungevano i 95,5 milioni di euro, nel 2021 erano state di circa la metà: 46,9 mln di euro. «Nel corso del 2022 è stata realizzata una significativa plusvalenza, grazie alla vendita di beni immobili del Fondo Obolo di San Pietro», spiegava una nota vaticana; dunque le risorse dell’obolo erano oggetto, come pure è normale, di investimenti finanziari.

Di più: durante il 2022, spiegava ancora il Vaticano, sono stati erogati dal fondo Obolo 93,8 milioni di euro, dei quali 43,5 milioni dalle offerte ricevute nel 2022, mentre la restante parte (50,3 milioni) dai proventi derivanti dalla gestione immobiliare. Dei contributi erogati, ben 77,6 milioni sono andati ai 70 tra dicasteri, enti ed organismi del gruppo a sostegno della missione apostolica della Chiese, le cui spese totali ammontano a 383,9 milioni di euro e che sono coperte dall’Obolo di San Pietro per il 20 per cento. L’uso dell’obolo per necessità d servizio, veniva confermato anche durante il processo per il caso Sloane Avenue.

Lo spiegava, il 27 ottobre, di un anno fa, Fabrizio Giachetta, contabile dell’ufficio amministrativo della segreteria di Stato (quello diretto da Alberto Perlasca, testimone chiave al processo sui fondi riservati), chiamato a testimoniare in aula. «La Segreteria di Stato non ha soldi propri.

La Segreteria di Stato gestisce fondi, tra cui anche l'Obolo di San Pietro – riferiva Giachetta rispondendo alle domande di uno degli avvocati della difesa -Tanti anni fa, quando emergeva una perdita di bilancio, si faceva un appunto al Santo Padre, che autorizzava a provvedere con i fondi dell'Obolo». Questo, proseguiva li funzionario, perché «è l'unico fondo di cui il Santo Padre può disporre liberamente: altri hanno una finalità specifica e non possono essere utilizzati al di fuori di quella finalità».

Sempre rispondendo alle domande delle difese, Giachetta ha riferito che con i fondi dell'Obolo, «a volte sì a volte no», venivano saldate le fatture dell'avvocato americano Jeffrey Lena, che ha assistito la Santa Sede anche in importanti cause sui casi di pedofilia negli Stati Uniti. Alla domanda se una fattura pagata con l'Obolo potesse ammontare «a un milione e mezzo», il funzionario vaticano ha risposto che si trattava di «una cifra plausibile».

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