Aumentano i contagi da Covid-19, e con essi gli inviti a scaricare l’App Immuni. Secondo gli ultimi dati, l’hanno installata 6,7 milioni di persone, circa il 18% della popolazione tra i 14 e i 75 anni che possiede uno smartphone. Ma il numero degli utilizzatori effettivi resta oscuro, e poco chiari sono i dati su notifiche, focolai e altro. 

Immuni ricostruisce la catena dei contagi, individuando a ritroso ed eventualmente avvisando chi sia entrato in contatto con una persona infettata da Covid-19 nei giorni precedenti.

La app offre molte garanzie. Il tracing tecnologico è più efficiente e preciso di quello “manuale”, affidato esclusivamente alla memoria dei contagiati. Inoltre, l’applicazione si basa sulla volontarietà: da un lato, non c’è obbligo di scaricarla, dall’altro lato, chi risultasse positivo al Coronavirus resta libero di veicolare o meno tale dato mediante Immuni.

La tutela della privacy degli utenti è garantita: i codici generati da ciascun dispositivo vengono incrociati - attraverso Bluetooth – con quelli di altri, sì che non entrano in gioco informazioni sull’utilizzatore dell’app né sulla sua posizione. Infine, i principi di funzionamento, indicati nel decreto-legge con cui è stato introdotto il contact tracing, sono conformi a quelli sanciti dal regolamento europeo per la protezione dei dati (Gdpr).

I dubbi sull’efficacia

Tutto a posto, dunque? Non proprio. Perché se ciò che precede la app è chiaro, ciò che accade a seguito del suo uso non è certo. Sul sito web di Immuni è scritto che il soggetto allertato deve seguire le raccomandazioni, le quali tuttavia si limitano a suggerire «l’isolamento e di contattare il proprio medico di medicina generale».

Non si fa cenno a una puntuale procedura di presa in carico da parte del Servizio sanitario nazionale né, di conseguenza, c’è chiarezza circa l’effettuazione di un tampone in tempi certi e rapidi.

La piena trasparenza su questo profilo avrebbe indotto le persone a una maggiore fiducia nella app e, quindi, alla sua installazione. Invece, la carenza di informazioni ed episodi riportati dalle cronache lasciano “opacità” su un punto chiave.

Il contact tracing rientra in una strategia complessiva messa in campo affinché le istituzioni sanitarie si prendano cura di chi riceva una notifica e ne accertino sollecitamente l’effettiva positività al virus?

Oppure il tracciamento è solo teso ad avvisare chi sia entrato nell’area di un contagiato, così che dopo la notifica stia in isolamento e non nuoccia ad altri?

Non dovrebbero esserci dubbi: il contact tracing è stato presentato come la fase di un sistema articolato. La norma che ha previsto l’App dice che essa serve per «allertare le persone che siano entrate in contatto stretto con soggetti risultati positivi» per «tutelarne la salute»: pertanto, ci si aspetterebbe non solo che esse si isolino per garantire la salute altrui, ma che la loro stessa salute sia garantita con la sollecita verifica della presenza del virus.

Inoltre, il garante della privacy ha sottolineato che vanno adottate «misure tecniche e organizzative per mitigare i rischi derivanti da falsi positivi»: in mancanza di un tampone in tempi celeri, come si mitigano tali rischi?

Per indurre a installare l’app si dice che essa può evitare privazioni di libertà tramite lockdown. Ma attenzione: le persone che scarichino l’app e, se raggiunte da notifica, si isolino in attesa di un tampone che potrebbe pure non arrivare, perderebbero la libertà senza che nemmeno sia accertato il loro contagio. E ciò, moltiplicato per tutti i potenziali utilizzatori di Immuni, potrebbe sostituire di fatto il lockdown deciso via Dpcm con il lockdown via App.

“Nessuno può illudersi che basta tracciare i contatti” – ha affermato l’ex garante della Privacy, Antonello Soro – «Se non si fanno i tamponi immediatamente dopo aver individuato gli infetti, la app è inutile».

Se lo scopo di quest’ultima è quello di rendere più liberi, senza certezza di tampone essa sortisce il paradossale effetto di rendere meno liberi i suoi utilizzatori in base al mero sospetto di contagio.

Scaricare e usare Immuni è un «imperativo morale», ha detto il premier Conte. Ma se al dovere delle persone non corrisponde quello delle istituzioni di evitare che esse siano segregate inutilmente, lo sbilanciamento tra doveri non induce a scaricare l’applicazione.

Se si insiste sui doveri dei cittadini di usare la app e si trascurano quelli dello stato nei loro riguardi, finisce che è sempre e solo responsabilità dei primi se le cose vanno male.

Prima di fare campagne a favore di Immuni, sarebbero servite campagne per pretendere trasparenza e uniformità di trattamento sanitario in tutto il territorio nazionale a seguito dell’uso dell’App.

La fiducia dei cittadini nelle istituzioni e in ciò che esse propongono è una cosa seria: non si costruisce con messaggi promozionali, ma con fatti concreti.

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