Il 18 e il 19 ottobre torna il festival di Vidas. «Il tema scelto per quest’anno – dice Raffaella Gay, direttrice comunicazione e discipline umanistiche di Vidas – Imperfetta civiltà, conferma l’importanza di un impegno che riguarda il farsi prossimo ritrovando ogni giorno il senso di accogliere e rifiutare indifferenza, violenza e sopruso»
Sotto il segno della cura. La mano tesa verso il bisogno di un altro essere umano è alla radice della nostra civiltà e, anzi, prendersi cura di un altro è l’artificio in-naturale che ci rende davvero umani.
Lo spazio della cura è quello dell’incontro con la fragilità dell’altro. È il gesto che fonda Vidas, organizzazione di cure palliative prima per bacino di assistiti (persone con malattie inguaribili di tutte le età) in Lombardia, nata 43 anni fa, nel pieno degli anni Ottanta a Milano, anni della celebrazione di un benessere illusorio e non per tutti, di una performance che non prevedeva fragilità e malattia.
Accanto all’assistenza, Vidas promuove da subito la riflessione per una cultura dell’accoglienza e del rispetto della differenza. «La dignità non è un’astrazione, si costruisce su elementi molto concreti – e la concretezza modella una comunità accogliente, plurale, raccolta attorno a valori comuni e a una cultura condivisa». Così Raffaella Gay, direttrice comunicazione e discipline umanistiche di Vidas.
Il festival
«Nel 2022, anno in cui abbiamo celebrato il quarantennale dell’organizzazione, è stato creato il festival culturale, INCONTRO, per ospitare le riflessioni in un format fruibile e trasversale, incontrare la contemporaneità e il suo cambiamento. Il tema scelto per quest’anno, Imperfetta civiltà, conferma l’importanza di un impegno che riguarda il farsi prossimo ritrovando ogni giorno il senso di accogliere e rifiutare indifferenza, violenza e sopruso. Riconoscere e integrare la fragilità segna la misura della nostra civiltà. INCONTRO apre a riflessioni e propone esperienze che trasformano l’imperfezione in risorsa, per riscoprirci tutti più umani».
Attorno al tema rifletteranno oltre 40 relatori, tra i quali, per citarne alcuni, lo scrittore Antonio Scurati, la divulgatrice scientifica Maria Bosco, l’antropologa e medico legale Cristina Cattaneo, insieme a Ferruccio de Bortoli, presidente di Vidas.
Giustizia sociale
In anteprima richiamiamo qui due delle riflessioni che avranno spazio al festival. La prima sarà centrata sulla giustizia sociale, condotta in dialogo tra il costituzionalista e giudice Gustavo Zagrebelsky, e Ferruccio de Bortoli, presidente Vidas.
Zagrebelsky rileggerà il testo costituzionale alla luce di quei principi valoriali che ci riguardano e ci interrogano come democrazie e comunità di cittadine e cittadini. «Principi di giustizia sociale, difesa dei diritti di chi è più fragile, accoglienza, solidarietà, eguaglianza restituiscono alla Costituzione la sua funzione di “casa comune”. Pensando alla questione dei migranti, si ricordi l’articolo 10, che non parla dell’accoglienza come concessione benevolente sostenuta dall’interesse di impiegare persone, ma la riconosce come diritto, tanto quanto quello di lasciare il proprio paese per migliorare la propria condizione. All’articolo 2 riconosce la solidarietà universale come prassi e, venendo ai diritti all’istruzione e alla salute, altrettanti beni universali, è evidente come l’inefficienza del sistema pubblico le rende privilegi, diventano merci a disposizione di chi può permettersele». Così Gustavo Zagrebelsky.
Lavoro
Secondo tema, quello del lavoro, diventato scottante in un’epoca in cui la perdita di diritti e tutele ci ha precarizzato. Il dialogo è tra Marco Damilano, giornalista e firma su queste pagine, Francesca Coin, sociologa e autrice del libro Le grandi dimissioni, Annalisa Monfreda, giornalista, già direttrice di Donna moderna e co-fondatrice della community Rame, che promuove strumenti di educazione finanziaria.
«La nostra community conferma come la provvisorietà legata al lavoro sia estesa alla vita tutta, sottesa da una profonda precarietà esistenziale – di giovani e anche di persone già adulte, spesso già padri e madri. Il lavoro non mette più al riparo dagli eventi che modificano lo status sociale – una separazione, una malattia», spiega Annalisa Monfreda. «Se lo stipendio creato per trasformare il lavoratore in un consumatore era una perversione, la parabola del lavoro negli ultimi vent’anni racconta di una promessa mancata. Una o due generazioni di persone hanno continuato a studiare e formarsi, laurea, seconda laurea, master, nella prospettiva di un salto sociale che si è risolto in un tonfo doloroso».
Guardando alle generazioni X e Z, s’intravede, però, un germe di speranza. «Chi si affaccia oggi al mondo del lavoro sembra essersi liberato dalla pulsione di guadagnare e non fa più del denaro la fonte della propria sicurezza e valore sociale. Vive con meno ma salvaguarda parti importanti della vita. Le relazioni, anzitutto». E gli incontri, specie quelli autentici.
Appuntamento quindi con INCONTRO, il festival culturale di Vidas, il 18 e il 19 ottobre al teatro Franco Parenti di Milano (info su vidas.it).
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