Omicidio colposo ed epidemia: questi i delitti che si profilano nell’avviso di chiusura delle indagini della procura di Bergamo e per cui sono indagati l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, l’assessore al welfare Giulio Gallera, il capo della protezione civile Angelo Borrelli e alcuni membri del Comitato tecnico scientifico.

La mancata estensione della zona rossa dal 27 febbraio 2020, si legge nell’avviso di conclusione delle indagini, ha causato il contagio e la morte di «non meno di 4.148 persone, pari al numero di decessi che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo, di cui 55 nel comune di Alzano e 108 a Nembro».

Gli indagati

Gli indagati sono in tutto 19. 

  1. Giuseppe Conte, allora presidente del Consiglio
  2. Roberto Speranza, ex ministro della Salute
  3. Giuseppe Ruocco, allora segretario generale del ministero della Salute
  4. Francesco Paolo Maraglino, direttore di Struttura complessa del ministero della Salute
  5. Claudio D’Amario, direttore generale della direzione generale della prevenzione sanitaria
  6. Mauro Dionisio, parte della direzione generale prevenzione del ministero della Salute
  7. Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico
  8. Silvio Brusaferro, portavoce del Comitato tecnico scientifico e direttore dell’Istituto superiore di sanità
  9. Andrea Urbani, ex direttore generale della programmazione del ministero della Salute
  10. Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Cts
  11. Giuseppe Ippolito, ex direttore scientifico dell'ospedale Spallanzani
  12. Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia
  13. Giulio Gallera, ex assessore al welfare della Regione Lombardia
  14. Luigi Cajazzo, direttore generale della sanità della regione Lombardia
  15. Massimo Giupponi, Ats Brianza
  16. Roberto Alfio Paolo Cosentina, direttore sanitario Bergamo Est
  17. Francesco Locati, direttore generale dell’Asst di Bergamo Est
  18. Giuseppe Marzulli, dirigente medico degli ospedali di Alzano Lombardo e Gazzaniga
  19. Angelo Borrelli, a capo della protezione civile

Il parere di Brusaferro

Nel documento della procura si legge che Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto superiore di sanità e portavoce del Cts, ha proposto di non attuare subito il piano pandemico, prospettando soluzioni alternative e «impedendo l’adozione di tempestive misure previste».

Il direttore generale responsabile della prevenzione del ministero della Salute, Claudio D’Amario, e il capo della protezione civile, Angelo Borrelli, non hanno messo a punto in tempo le misure di sorveglianza per i voli indiretti. Secondo i pm, avrebbero dovuto farlo già dal 31 gennaio 2020.

A questo si aggiunge che Borrelli ha deciso solo a partire dal 26 febbraio di istituire una piattaforma per monitorare i dati pandemici.

Per quanto riguarda le azioni di sanità pubblica, non sarebbe stato tempestivo l’approvvigionamento di dispositivi di protezione, dalle mascherine ai copriscarpe. La procedura di monitoraggio, scrive la procura, è partita solo il 4 febbraio, nonostante i primi casi di Covid in Italia fossero stati registrati il 31 gennaio. Solo il 6 marzo è partito inoltre l’effettivo approvvigionamento tramite procedura negoziata. Per quanto riguarda gli ospedali, è partito il 24 febbraio il censimento dei reparti di malattia infettiva.

La procura individua la stessa situazione in Lombardia. L’assessore Gallera e il direttore generale alla sanità, Cajazzo, a loro volta non si sono mossi in tempo né sul fronte ospedaliero né per verificare la dotazione di guanti, mascherine e dispositivi necessari ad affrontare la pandemia. Non solo, tutti, secondo le indagini, si sono rifiutati di mettere in atto le misure previste dal piano pandemico.

Conte e Fontana

I due presidenti, del Consiglio e della Regione, e il Cts, a loro volta, hanno permesso alla pandemia di diffondersi. Secondo la ricostruzione della procura, i membri del Cts infatti il 26 febbraio hanno ritenuto «non sussistenti» le condizioni per estendere la zona rossa in Lombardia. Nonostante i medici e gli scienziati avessero «dato atto dei casi positivi al coronavirus in Italia» e avessero individuato la provenienza «da aree della regione Lombardia diverse dalla zona rossa» fino a quel momento istituita.

L’estensione della zona rossa non è arrivata nemmeno il 27 febbraio, anche se i componenti del comitato tecnico avevano ricevuto ricevuto un rapporto aggiornato dei casi totali: 401, con un incremento, nel corso dei cinque giorni precedenti, del 30 per cento. Il 28 febbraio il Cts ha proposto ancora una volta solo «misure integrative» con un «principio di proporzionalità e adeguatezza», indicazione ripetuta fino al primo marzo.

Solo il 2 marzo 2020 sono arrivate le “misure di limitazione in ingresso e in uscita oltre che che distanziamento sociale” ad Alzano e Nembro.

Il presidente Attilio Fontana, si legge ancora, dal canto suo non si è mosso: «Aveva piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore “r0” avesse raggiunto valore pari a 2 e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà».

Sia il 27 sia il 28 febbraio, è stato lui stesso a chiedere il mantenimento delle misure già vigenti senza segnalare alcuna criticità in Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano e Nembro, per la procura «cagionava così la diffusione dell’epidemia».

L’ospedale di Alzano

Indagati sempre per epidemia colposa anche Francesco Locati, il direttore generale dell’Asst di Bergamo Est, e il direttore sanitario Roberto Alfio Paolo Cosentina. Nonostante le circolari, prosegue l’avviso di conclusione delle indagini, non hanno verificato adeguatamente la presenza dei dispositivi medici per contrastare la pandemia nelle strutture.

Indagato per epidemia, omicidio colposo e lesioni personali Giuseppe Marzulli, il dirigente medico dell’ospedale di Alzano Lombardo e Gazzaniga. Per via della cattiva gestione, secondo la procura, oltre a essere morti due dipendenti a seguito del Covid, 34 hanno riportato lesioni dopo essere stati malati per oltre 40 giorni. L’ospedale non aveva protezioni sufficienti e il personale non era stato preparato a quello che stava per arrivare.

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