«Non cercavamo un esperto di cinema». E a sceglierlo è stato non un regista, ma un commercialista. Sembra un po’ paradossale se si pensa che bisognava scegliere la persona che avrebbe dovuto guidare il rilancio della Lombardia Film Commission, ente che promuove la realizzazione di film, fiction, spot pubblicitari, documentari territorio lombardo.

È quanto ha affermato Cristina Cappellini, ex assessore alla cultura di Regione Lombardia della giunta del governatore Roberto Maroni tra il 2013 e il 2018, sentita oggi al processo che vede imputato Francesco Barachetti per l’acquisto di un capannone a Cormano nel 2017, con 800mila euro di fondi pubblici. Una compravendita che, secondo i pm Eugenio Fusco e Stefano Civardi, avvenuta a “prezzi gonfiati”. Quei soldi sono finiti poi nei conti dei tre commercialisti della Lega Michele Scillieri - nel cui ufficio è stata registrata la “Lega per Salvini Premier” - Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, questi ultimi due condannati a inizio giugno a 4 anni e 4 mesi e 5 anni per turbativa d’asta e peculato.

L’uomo senza esperienza in campo cinematografico era proprio Alberto Di Rubba, ex direttore amministrativo della Lega in Senato, che fu nominato su indicazione di Giulio Centemero, deputato e tesoriere del partito. «La sua nomina fu sponsorizzata da Centemero che lo indicò come persona giusta al posto giusto. Non conoscevo personalmente Di Rubba, l'ho conosciuto soltanto quando si è insediato, fidandomi anche del parere di altre persone», ha spiegato in aula l’ex assessore. Nella rosa dei papabili dirigenti della Lombardia Film Commission, come ricordato dai magistrati, c’era anche lo stesso Centemero, principale sponsor di Di Rubba, ma la sua nomina è stata scartata per problemi di compatibilità.

«L'identikit che avevamo in mente era quello di qualcuno in grado di mettere a posto i conti. Lombardia Film Commission veniva da gestione complessa e conflittuale», ha continuato Cappellini. «Era una struttura con costi fissi molto alti, e c'erano anche altri problemi di vario tipo. Ad esempio  c'era il problema della sede, con la necessità di risparmiare il più possibile. Era necessaria una gestione più oculata».

Gestione “più oculata” che ha vissuto un momento centrale proprio nell’acquisto del capannone di Cormano per quasi un milione di euro, che ha avuto - secondo la tesi dell’accusa - come “principale artefice” di un meccanismo fraudolento mirato a gonfiare i soldi d’acquisto, attraverso tutta una serie di lavori di bonifica e ristrutturazione in realtà mai eseguiti, proprio il commercialista della Lega Barachetti.

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