L’ultimo mistero di Andrea Purgatori è quello della sua morte. Qualche ora dopo il decesso i suoi famigliari hanno parlato di «breve e fulminante malattia» che avrebbe colpito il celebre giornalista negli ultimi mesi. Ma dietro alla sua scomparsa improvvisa si cela un intrico medico-legale, su cui adesso sta indagando la procura di Roma che ha aperto un fascicolo per omidicio colposo, disponendo l’autopsia. Un giallo basato su esami, diagnosi e pareri discordanti firmati da luminari della medicina, culminati nel tentativo estremo di salvargli la vita, purtroppo senza fortuna.

Un doloroso calvario che ha colpito Purgatori e i suoi congiunti per oltre due mesi. Tanto che il giorno stesso della sua morte, il 19 luglio scorso, assistiti dallo studio legale Gentiloni Silveri, i famigliari hanno presentato un’articolata denuncia ai carabinieri del Nas per omicidio colposo. L’esposto è finito sul tavolo del pm di turno, Giorgio Orano, coordinato dall’aggiunto Sergio Colaiocco, a capo del dipartimento che si occupa di reati causati da responsabilità professionale.

Tutto ha inizio il 24 aprile scorso, quando Purgatori si ricovera nella clinica privata Villa Margherita. Nulla di grave, solo un vago senso di spossatezza che gli suggerisce di eseguire qualche controllo: il giornalista è molto attento alla salute e si sottopone ad approfonditi check-up periodici da cui è sempre risultato in perfetta salute.

Questa volta però dagli esami emergono parametri fuori posto, riscontrati da una tac e una biopsia, e viene inviato per approfondimenti in una famosa clinica sull’Aurelia, la Casa di Cura Pio XI.

Qui, secondo la denuncia, ai primi di maggio il professor Gianfranco Gualdi, responsabile della radiologia e riconosciuto esperto della materia, formula una pesante diagnosi di tumore al polmone con metastasi diffuse agli organi vicini e al cervello.

Per il radiologo la situazione è molto grave ed è necessario dunque iniziare immediatamente la radioterapia. Purgatori viene così dirottato in una terza clinica dove sulla base della diagnosi decidono di iniziare immediatamente cicli di radioterapia ad altissimo dosaggio.

Fino a quel momento, ricostruisce la famiglia nell’esposto, Purgatori è in ottima salute e prosegue normalmente la vita e l’attività professionale, tanto che i medici si stupiscono delle sue condizioni in rapporto al quadro clinico emerso dagli esami. Che corrisponde a quello di un malato terminale con un’aspettativa di vita non superiore ai sei mesi.

Purgatori cerca le migliori cure. Si rivolge a un centro altamente specializzato in radioterapia, collegato con un ente di ricerca americano considerato un’eccellenza nel mondo, dove confermano diagnosi e radioterapia proseguendo con gli alti dosaggi. Il giornalista sta ancora bene e il 17 maggio registra una puntata di “Atlantide”, il suo programma su La7. Ma dopo pochi giorni la situazione comincia a peggiorare. Purgatori è sempre più affaticato e confuso, provato dagli effetti collaterali dei potenti farmaci che è costretto ad assumere.

Tuttavia nella clinica dove gli avevano diagnosticato il tumore il primario e la sua équipe confermano il buon esisto della terapia: le metastasi si sarebbero ridotte notevolmente. Le condizioni del giornalista, dice l’esposto, però precipitano. Fatica a svolgere le attività quotidiane, inizia a non bere e non mangiare. Esami e visite non riescono a risolvere il veloce aggravamento finché a giugno viene ricoverato nuovamente a Villa Margherita.

L’esito della nuova tac a cui viene sottoposto quel giorno sconvolge tutte le certezze dolorosamente acquisite fino a quel momento: i medici riscontrano solo alcune ischemie cerebrali, ma non trovano traccia di alcuna metastasi al cervello. Per il medico questa diagnosi, clamorosamente diversa da quella che ha portato alla scelta della terapia, spiega pienamente il quadro clinico Purgatori. Due giorni dopo anche una risonanza magnetica al cervello esaminata dal neuroradiologo Alessandro Bozzao, professore ordinario della Sapienza, esclude la presenza di metastasi. Il professore è così sorpreso da ripetere una seconda volta l’esame, incrociandolo con quello eseguito alla Pio XI, prima di emettere il suo verdetto: non solo le metastasi non ci sono, ma non ci sarebbero mai state.

Domani ha parlato con la clinica Pio XI che però ha rimandato a Gualdi, ma la sua segretaria ha detto che non poteva parlare perché impegnato al lavoro. Dopo la tac, Andrea sta sempre peggio. Tra i luminari c’è chi conferma la diagnosi iniziale e insiste con le cure già avviate e chi la confuta radicalmente. I famigliari apprenderebbero pure di «una tremenda lite tra Gualdi e Bozzao», che però resta sulla sua posizione: tutti i radiogrammi effettuati fin dall’inizio confermano la sola diagnosi di ischemia cerebrale, una patologia forse curabile.

Nel frattempo Purgatori è rientrato a casa, ma sta malissimo. La mattina dell’8 luglio il suo assistente personale chiama l’ambulanza che lo porta a sirene spiegate all’Umberto I. Le sue condizioni sono gravissime e i famigliari vengono accompagnati in una saletta dove i medici si preparano al delicato colloquio.

A sorpresa però non annunciano la sua morte ma fanno intervenire nella sala un radiologo, che in quei momenti concitati si preoccupa di confermare alla famiglia la presenza delle famose metastasi al cervello, riscontrate a suo dire da un ulteriore e recente esame.

Il medico in questione, oltre a lavorare all’Umberto I, come sottolinea la famiglia nell’esposto, collaborava con Gualdi nella clinica Pio XI ed «era uno dei firmatari del referto del giorno 8 maggio da cui era partita la diagnosi». Il 19 luglio Purgatori muore all’Umberto I. I famigliari sono decisi ad approfondire eventuali responsabilità, senza fare sconti. Come avrebbe fatto Andrea. 

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