Il presidente della Toscana Eugenio Giani deve riferire oggi al Consiglio regionale sull’inchiesta giudiziaria Keu che ha portato all’allontanamento del suo capo di gabinetto Ledo Gori, indagato per corruzione. La posizione di Giani si fa sempre più scomoda via via che emergono passaggi e scelte politiche che lo hanno visto protagonista, al fianco della presunta associazione a delinquere che secondo la procura gestiva in modo illecito gli scarti inquinanti delle concerie di Santa Croce sull’Arno (in provincia di Pisa) utilizzando un’azienda legata alla ’ndrangheta e corrompendo funzionari pubblici e politici. L’ultima volta che il presidente ha soddisfatto le richieste dei conciatori è a gennaio scorso.

Lo stanziamento

Giani partecipa a una conferenza stampa per annunciare lo stanziamento di un milione e 675mila euro a favore di Poteco. L’obiettivo è di ampliare il polo tecnologico conciario. Chi lo controlla? Poteco ha come presidente Giulia Deidda, sindaca Pd di Santa Croce, indagata nell’inchiesta perché condivide «con gli altri sodali gli intenti e i programmi dell’associazione a delinquere», come si legge nell’ordinanza firmata dalla giudice Antonella Zatini. Tra i consiglieri di Poteco c’è Aldo Gliozzi, il direttore dell’associazione dei conciatori finito ai domiciliari nell’indagine della procura di Firenze perché «aveva piena consapevolezza del fine criminale».

I soldi sono quelli europei del Por Fes 2014-2020. In tutto l’investimento è di 3 milioni di euro, oltre il 50 per cento a carico dei contribuenti mentre gli altri soldi vengono stanziati dagli imprenditori del settore. «L’accordo valorizza questa realtà economica, vanto per tutta la Toscana e cementifica il rapporto con la Regione», dice Giani nell’occasione.

Ma il vanto per la Toscana, secondo gli inquirenti, si è ottenuto sacrificando l’ambiente e smaltendo illegalmente migliaia di tonnellate di rifiuti che finivano nei canali, nei rilevati stradali senza alcun trattamento. A gennaio i conciatori ottengono l’annuncio dello stanziamento, ma gli indagati si muovevano da mesi per raggiungere l’obiettivo.

A novembre 2020, infatti, la sindaca Deidda ha in programma un incontro con il nuovo presidente del Consiglio regionale Antonio Mazzeo, renziano di Pisa. Sul tavolo ci sono diverse questioni da trattare.

Il problema Sanna

Gli indagati hanno un problema con un funzionario regionale di Pisa, Alessandro Sanna, che con il suo zelo crea problemi alle industrie inquinanti. Il problema Sanna dopo quell’incontro sembra risolto. Ma sul tavolo di discussione c’era anche un altro tema, relativo proprio «all’ampliamento di Poteco». Alla fine a gennaio arriva l’annuncio del finanziamento alla presenza di Mazzeo e di Alessandra Nardini, assessore all’istruzione e alla ricerca. Giani, Nardini, Mazzeo, non indagati, li ritroviamo tutti insieme anche in un altro gradito regalo ai conciatori: l’emendamento dello scandalo.

Il 26 maggio 2020, in Consiglio regionale, si discute la proposta di legge «Disposizioni in materia di scarichi e di restituzione delle acque». I conciatori inquinatori, emerge dagli atti dell’inchiesta, vogliono un emendamento per escludere l’impianto «Acquarno (impianto di depurazione, ndr) dall’obbligo della procedura di Autorizzazione integrata ambientale (Aia)». Domani aveva già svelato il ruolo ricoperto da Giani nell’approvazione del testo, pubblicando il video di quella seduta acquisito agli atti dagli inquirenti. Quel video mostra lo stupore delle opposizioni all’annuncio dell’emendamento. Giani in quel momento è ancora presidente del Consiglio regionale e in aula segue l’iter di approvazione della legge che ha in pancia l’emendamento caro i conciatori. Legge velocemente, rassicura le opposizioni sulla regolarità della presentazione e lo mette frettolosamente al voto alzando la mano e approvando la misura. L’emendamento che poi è stato impugnato dal governo nazionale presso la Consulta: «Apriva al rischio di infiltrazione di soggetti senza scrupoli», ricordano dal ministero dell’Ambiente.

Nessuno dei soggetti citati ha voluto, nei giorni scorsi, chiarire la sua posizione. Ma Giani, a La7, qualcosa ha detto: «Non firmai l’emendamento quindi io non mi rendevo assolutamente conto di quelli che potevano essere i risvolti». Eppure la ricostruzione di Domani trova conferma nelle carte dell’inchiesta. Non solo la giudice evidenzia che il consigliere Andrea Pieroni, lettiano di Pisa, presenta l’emendamento direttamente alla presidenza, senza passare dalla commissione legislativa preparatoria «per la contrarietà nota degli uffici tecnici regionali», ma Pieroni, quel giorno, intercettato al telefono, racconta al direttore dei conciari Gliozzi, la genesi del provvedimento: «Quando si è visto che i Cinque stelle o la sinistra (...) hanno chiesto addirittura “ma dov’è l’emendamento? È presentato nei tempi normali?” si è capito che non l’avevano visto e a quel punto lì... avevo parlato con Giani, gli ho detto “guarda l’emendamento io non lo presento tanto è inutile” (…) gli ho detto a Eugenio “Vai liscio” e di buttarlo lì, infatti lui ha letto velocemente la relazione (...) una tattica studiata... il Covid un pochino ha aiutato, sì». Pieroni è il primo firmatario e per questo è indagato per corruzione avendo ottenuto in cambio la promessa di soldi. Ma dopo la sua c’erano le firme di un altro consigliere Pd, Enrico Sostegni (non indagato), ma anche quelle di Alessandra Nardini e di Antonio Mazzeo.

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