Nell’ultima foto pubblicata su Instagram Sara tiene in mano un megafono. E non è un caso, perché Sara, alle manifestazioni studentesche di Torino, è la voce più appassionata e ormai riconoscibile della piazza, talmente riconoscibile che mercoledì 11 maggio quel megafono le è costato un arresto. La ventenne studentessa e attivista è tra gli 11 ragazzi per i quali sono scattate diverse misure cautelari, dall’arresto in carcere all’obbligo di firma, per aver tentato di entrare nella sede di Confindustria Torino lo scorso febbraio. Lei, la più giovane degli undici fermati, è agli arresti domiciliari da due settimane. 

Sara cosa è accaduto la mattina dell’11 maggio?
Alle 6 del mattino dormivo con mia sorella di quindici anni, suonano alla porta. Era la polizia che mi diceva di vestirmi in fretta perché dovevamo andare via. Non capivo per cosa, ho chiesto se dovessi fare una borsa per la galera. Mi hanno risposto di muovermi e basta. (mentre parliamo al telefono suona il citofono, «sarà la polizia che viene a controllare se sono in casa», mi dice)


Dicevamo.
Quindi mi hanno portato in commissariato, perché quando ti arrestano devono prenderti anche le impronte, il dna, insomma la prassi.

Ti hanno spiegato cosa ti stava succedendo? 
Sono riuscita a sapere che si trattava di arresti domiciliari, ero in pensiero perché avevo lasciato mia sorella di 15 anni da sola a casa, volevo almeno salutarla nel caso.

Si sarà spaventata.
Beh certo, arriva a casa la polizia la mattina presto, mi hanno dato 30 secondi per vestirmi e mi hanno subito fatto consegnare il telefono perché avevano paura che chiamassi gli altri… come se poi alle sei del mattino qualcuno potesse rispondermi.

In questura hai visto gli altri ragazzi?
Sì, lì ci siamo incontrati tutti. C’eravamo noi 11 indagati con non so quanti agenti della Digos che hanno chiamato non so quanti agenti della celere che stavano dentro e fuori dall’ufficio. Hanno preso impronte e dna anche dei ragazzi a cui è stato dato l’obbligo di firma. Un ragazzo, Emiliano, quando è arrivato lì non sapeva che stava per andare in galera. Non gliel’hanno detto «per ragioni di ordine pubblico», come se poi potesse scappare…

Lì come è andata, vi siete parlati?
Ci hanno chiuso in una specie di cerchio tutti insieme, seduti. Cercavamo di ironizzare visto quanto ci sembrava allucinante la situazione, eravamo circondati da celere e Digos, tutti nervosissimi, appena ci alzavamo un secondo dalla sedia era tutto un «stai fermo!», «non mi guardare!». Gli abbiamo chiesto se non si vergognassero a stare lì in cento per 20 ragazzini. Facevano battute, un poliziotto riferendosi a un ragazzo che avevano arrestato e che sembra più giovane della sua età ha scherzato con me dicendomi: «Ah ma tu sei più piccola di lui? Quando l’ho visto non sapevo se portargli un gelato o arrestarlo». 

Ve lo aspettavate? 
Lo avevamo messo in conto dopo che la Digos già in piazza alla manifestazione aveva fatto domande, chiedeva chi fossero i mandanti della manifestazione. Poi se la ministra dell’Interno dice che vanno presi provvedimenti, la procura agisce..

Forse però vi aspettavate al massimo delle denunce.
Sì, la rapidità delle indagini e queste misure così repressive ci hanno sorpresi. Io ho solo parlato al megafono, di questo sono accusata. Il pm aveva chiesto il carcere per me, mi hanno dato i domiciliari.

Di cosa sei accusata?
Resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Io non ho partecipato fisicamente all’azione, ho “aizzato”, secondo loro. 

In che modo? 
Nell’ordinanza ci sono i testi integrali dei discorsi incriminanti, ci sono dei passaggi in grassetto, tipo «Confindustria è un assassino».

Dicevi «entreremo nei palazzi».
Sì nei cortei l’ho detto altre 800 volte, è un modo di dire. Hanno sottolineato anche «daje raga!».  

Perché secondo te dei provvedimenti così duri?
C’era un’urgenza di eliminare alcune figure dal campo del dissenso.

Con che risultati? 
Che a maggio ci sono stati due appuntamenti con centinaia dai studenti scesi in strada per esprimere solidarietà a noi, perché noi siamo agli arresti ma stanno colpendo tutti. Ci sono centinaia di ragazzi andati sotto al carcere, tutte persone giovanissime, è stato toccante. Vedi, dicono che i manifestanti siano infiltrati, gente violenta e poi si è vista quanto sia distorta come visione.. noi arrestati siamo giovani, il più vecchio ha 22 anni, siamo incensurati.

Quelli con l’obbligo di firma di cosa sono accusati?
Chi di aver ripreso col cellulare l’accaduto, chi col suo corpo avrebbe fatto pressione sulle file davanti…

Cosa pensi che produrrà tutto questo se parliamo di effetti a lungo termine? 
Già queste prime manifestazione di solidarietà nei nostri confronti spiegano che non ci siamo spaventati. Ora si stanno costruendo nuovi eventi dal punto di vista studentesco, quello che è accaduto è “un piccione appeso sulle scale”, una sorta di monito per noi, per chi è attivista, è quello che ci ricorda cosa non deve succedere.

Avete sbagliato qualcosa?
Quel giorno, parlo di quando abbiamo provato a entrare dal cancello di Confindustria, c’era tanta rabbia a seguito delle manganellate che ci avevano dato giorni prima. E poi c’erano stati i due studenti morti per l’alternanza scuola lavoro. C’era un cuore pulsante, per noi andare a Confindustria era un atto politico. E questa risposta politica dimostra che abbiamo dato fastidio e c’è stata la necessità di reprimere il dissenso. 

La politica si è fatta sentire con te? 
Ho ricevuto tanti messaggi, chiamate, visite che mi danno forza, si sono creati tanti legami che aiutano a tenere botta. La politica però è la grande assente. C’è la vicinanza dei sindacati di base, ma tutto quello che fa parte del mondo delle istituzioni non è esistito. Silenzio.

È cambiato qualcosa in te?
Sono convinta di quello che faccio nella vita e la cosa positiva è che non mi vivo questa situazione in modo solitario. Non la vivo solo come ingiustizia, anche se il senso di ingiustizia c’è, ma sento che c’è qualcosa di più importante in tutto questo: ci sono centinaia di persone fuori che sono con me, con noi, e si continuerà a perseguire i nostri ideali. Anche in carcere arrivano pacchi, lettere, telegrammi, i “nostri” detenuti non sono e non saranno mai abbandonati a loro stessi. 

La stampa si occupa poco di voi. Battaglie su battaglie per Patrick Zaki e per i nostri giovani studenti niente. Perché?
In compenso alcuni giornali, penso alla Stampa, hanno spiattellato i nomi di alcuni di noi, con allegata la velina della questura, ovvero la copia di quello che c’è scritto nell’ordinanza e basta, senza commenti, considerazioni, valutazioni. 

Conosci tutti gli altri ragazzi colpiti dalle misure cautelari? 
Certo. Alcuni sono studenti universitari, c’è Emiliano che è un ragazzo zen, fa arti marziali da quando ha 3 anni, è vegano, astemio, pensarlo in carcere è surreale. 

Eravate tutti alla manifestazione precedente, quella di gennaio in cui sono stati usati i manganelli contro studenti non violenti? E soprattutto, eravate stati manganellati quel giorno?
Considerando l’intensità delle cariche di quel giorno, tutti quanti una bastonata ce la siamo presa. 

Cosa vuoi dire agli altri attivisti d’Italia colpiti da perquisizioni e denunce in questi giorni? Cosa gli direbbe la Sara che sta al megafono?
Fatevi forza pensando che se colpiscono delle persone è perché quelle sono persone che ci mettono il cuore, e non la daremo vinta a chi ci vuole silenziare. Possiamo creare un modello di comunità diverso da quello che pensano loro, un modello in cui non serve che ci sia un capo, ma in cui c’è una comunità forte, e questo è il modello che portiamo nelle pazze. Io che sono iperattiva, che a casa ci stavo solo per dormire, e neanche sempre, accetto quello che mi è capitato perché se fai cose scomode puoi essere colpito, l’avevo messo in conto, ma  una cosa la devono sapere: non ci annienteranno. 


 

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