Il caso giudiziario che riguarda Cesare Paladino, suocero dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, arriva in corte di Cassazione. Nei giorni scorsi l’avvocato Stefano Maria Bortone ha depositato una memoria difensiva per chiedere ai giudici della Suprema corte di rigettare il ricorso presentato dalla procura di Roma, pubblico ministero Alberto Pioletti, procuratore aggiunto Paolo Ielo, contro l’annullamento della sentenza di patteggiamento che aveva condannato Paladino a un anno e sette mesi per peculato. Paladino aveva ottenuto l’annullamento della sentenza sfruttando un articolo del decreto rilancio, voluto dal governo Conte, e convertito in legge dal parlamento. Le opposizioni, e non solo, hanno più volte parlato di legge ad personam.

I soldi non versati e la sentenza

Cesare Paladino, gestore del Grand Hotel Plaza, struttura a cinque stelle in via del Corso a Roma, è il padre di Olivia Paladino, compagna di Giuseppe Conte. La vicenda inizia con l’iscrizione nel registro degli indagati di Paladino perché dal 2014 al 2018, da albergatore, non ha versato la tassa di soggiorno nelle casse del comune di Roma. Nel giugno 2018, il giudice Giovanni Giorgianni, su richiesta della procura di Roma, ha proceduto al sequestro preventivo di due milioni di euro nei confronti dell’imprenditore. A Paladino, accusato di peculato, viene sequestrata la cifra corrispondente ai mancati versamenti. Nell’aprile del 2019 la procura capitolina chiude le indagini, all’orizzonte si prefigurava un processo, una possibile condanna, e il blocco di due milioni di euro sul conto corrente. Così Paladino, difeso dall’avvocato e professore Stefano Maria Bortone, ha scelto una linea difensiva che ha accorciato i tempi, sbloccato i conti e chiuso la vicenda. Nel luglio del 2019 l’imprenditore ha patteggiato davanti al giudice per l’udienza preliminare di Roma una pena a un anno due mesi e 17 giorni per l’accusa di peculato. Paladino ha restituito le somme e ha risarcito il comune. La storia giudiziaria che sembrava chiusa, però, si riapre visto che, nel marzo 2020, il governo Conte ha varato un decreto, poi convertito in legge dal parlamento, che interviene sulla materia. Nei casi di mancato versamento della tassa di soggiorno si passa dal peculato a una semplice sanzione amministrativa. L’articolo 180, nei fatti, risolve una questione che si era posta riguardo al ruolo del gestore della struttura ricettiva che non è più un incaricato di pubblico servizio e, da qui, la violazione diventa punibile con una sanzione amministrativa e non più facendo ricorso al codice penale e al reato di peculato. Così la difesa di Paladino presenta, lo scorso luglio, l’istanza di incidente di esecuzione, contro il quale si oppone la pubblica accusa. La sentenza del giudice Bruno Azzolini dà ragione alla tesi dell’avvocato e torto agli inquirenti. Con questa sentenza si revoca la sentenza di patteggiamento e si ripulisce la fedina penale dell’imprenditore. Sulla questione gli orientamenti dei giudici sembrano andare in direzioni opposte, alcuni in linea con la decisione del giudice Azzolini, altri no, come ad esempio alcuni pronunciamenti della Suprema corte. Tutto ruota attorno alla retroattivita della norma e all’applicazione dell’articolo 2 del codice penale che stabilisce: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato». Per un orientamento giurisprudenziale non è applicabile la retroattività perché la norma ha mutato solo il ruolo dell’albergatore che non è più un agente contabile e quindi pubblico ufficiale, depenalizzando solo quella condotta, ma non il reato. Per altri, come Azzolini, e la difesa di Paladino, vale il contrario.

Decide la Cassazione

Il caso, così, è approdato in corte di Cassazione. Il ricorso della procura di Roma, presentato a dicembre, evidenzia che il decreto rilancio «non ha efficacia retroattiva ma soprattutto non può dirsi integrativo della norma penale, non avendo inciso sulla norma incriminatrice», per dimostrare questa tesi la pubblica accusa cita una precedente sentenza della Suprema corte che ha stabilito «in mancanza di norme di diritto intertemporale, la modifica opera solo dall'entrata in vigore della norma e non per il passato». Così il pubblico ministero della procura di Roma Alberto Pioletti ha chiesto l'annullamento della sentenza che revoca la sentenza di patteggiamento per Paladino. La difesa dell'imprenditore, il 31 marzo, ha depositato una memoria che si conclude con la richiesta di rigetto del ricorso presentato dalla pubblica accusa. «Il legislatore ha precisato con chiarezza con intervento ad hoc, come il comportamento di indebita appropriazione, eventualmente posto in essere dall’albergatore, vada sanzionato; ma ha precisato altresì come appaia sproporzionato ricondurre il ruolo del predetto alla figura del pubblico ufficiale e il fatto ad un reato. Quella della procura appare dunque solo una presa di posizione per coerenza interpretativa, a mio avviso priva di adeguato fondamento giuridico», dice l'avvocato Bortone. La Cassazione deciderà il 16 aprile sul destino giudiziario del suocero dell'ex presidente del Consiglio. In caso di accoglimento del ricorso della procura sarà ripristinata la sentenza di patteggiamento, in caso di rigetto del ricorso la fedina penale di Paladino resterà immacolata anche grazie al decreto voluto dal governo, guidato dal compagno della figlia.


 

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