L’est Europa è stato a lungo il centro nevralgico della produzione bellica dell’Unione sovietica, prima che la fine della Guerra fredda riducesse la portata di questo settore. Con lo scoppio del conflitto in Ucraina, però, i paesi dell’Europa orientale sono tornati a investire nella produzione di armi e armamenti, aumentando anche la loro importanza a livello geopolitico.

Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia si sono lanciate in una corsa al riarmo che prevede nuovi acquisti e l’ampliamento delle capacità produttive, grazie anche all’apertura di nuovi siti industriali e la diversificazione delle linee di produzione già esistenti, con importanti ricadute occupazionali. Questo quantomeno è il quadro tratteggiato negli ultimi mesi dai manager delle grandi industrie della Difesa est europee, ma la realtà non è esattamente così.

Come riportato da Reuters, le aziende polacche e ceche stanno lanciando o espandendo programmi di assunzione e formazione per aumentare il loro organico e la produzione bellica locale, promuovendo anche il ritorno in patria di forza lavoro direttasi sempre più spesso verso l’estero.

L’obiettivo è duplice: soddisfare le richieste dell’Ucraina e rafforzare le proprie capacità produttive, così da rispondere meglio alle esigenze nazionali e ampliare allo steso tempo la propria fetta di mercato estero. L’export resta infatti la maggiore fonte di profitto per il settore della difesa e la guerra ha dato il via a una corsa al riarmo che ha fatto aumentare esponenzialmente i ricavi, con prospettive future decisamente allettanti.

La crescita dei guadagni per le aziende però non ha comportato vantaggi altrettanto elevanti in termini occupazionali. Le compagnie polacche e ceche hanno difficoltà nel trovare forza lavoro, in particolare tra le fasce di popolazione più giovane e maggiormente al passo con i continui avanzamenti tecnologici.

In Repubblica ceca il governo ha persino pensato di impiegare i rifugiati ucraini per sopperire alla mancanza di lavoratori, mentre l’azienda statale polacca PGZ sta puntando su campagne promozionali tramite social media e sul rientro dall’estero – soprattutto dalla Scandinavia – della forza lavoro emigrata. I risultati però tardano ad arrivare.

Peso geopolitico

La mancata espansione dell’industria della Difesa in tempi rapidi ha delle ricadute anche in termini geopolitici per i paesi dell’est, in particolare per la Polonia. Varsavia si è impegnata a investire il 4 per cento del Pil in spese militari e ha lanciato una vera e propria operazione di re-branding per presentarsi come una nuova potenza militare. Tra aumento del personale militare e nuovi programmi di acquisto, la Polonia è il paese europeo che più di tutti sembra aver preso sul serio la richiesta della Nato di aumentare le proprie capacità di difesa, acquistando maggiore importanza anche agli occhi di Washington. Il progetto polacco però ha delle falle.

L’industria nazionale non è in grado di rispondere alle esigenze delle forze armate e la difficoltà nel trovare forza lavoro continuerà a limitarne le capacità produttive, oltre che le prospettive di adeguamento agli standard Nato.

L’est Europa si è rivelato strategico nel riarmo dell’Ucraina perché disponeva di armi, armamenti e munizioni dell’era sovietica, ma in futuro dovrà ammodernare la propria produzione se vorrà continuare ad espandersi nel mercato estero. Non potendo fare affidamento sull’industria nazionale, il governo polacco si è dovuto rivolgere ai partner stranieri, comprando materiale militare da Usa, Corea del Sud e Turchia.

Le capacità di acquisto di Varsavia però sono limitate a causa dell’inflazione e l’aver soddisfatto le proprie esigenze rivolgendosi al mercato estero avrà delle ripercussioni interne. Le imprese locali difficilmente potranno contare su contratti massicci da parte del governo e anche le prospettive a livello europeo sono meno positive di quanto sperato.

L’Ue ha messo a disposizione diversi milioni per rendere più efficiente e moderno il settore industriale bellico, ma la mancanza di coordinamento, le difficoltà nel rispondere in tempi rapidi alle esigenze più impellenti e la scelta di diversi governi di acquistare all’estero stanno minando gli sforzi di Bruxelles. Alla prova dei fatti, l’Eldorado della difesa europea si dimostra ancora una volta più un mito che una realtà concreta. Soprattutto in termini occupazionali.

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