Non esistono sport da uomini e sport da donne: esiste lo sport. È stata lei la prima a dirlo e lo ha fatto con voce suadente. Quando parla, se ti lasci attraversare dalla musicalità del suo tono, immagini un’attrice, una cantante, una giornalista o comunque una persona che con la voce ci lavora e non certo una donna che tira di boxe. Ascoltarla è bello. Ti cattura e ti sintonizza sul suo linguaggio preciso con cui esprime concetti raffinati, pensieri profondi carichi di riflessione e responsabilità. Lo fa con leggerezza, quella rara qualità della vita che rende capaci di lasciare il superfluo per afferrare l’essenziale e, soprattutto, di saperli distinguere.

Lei è Irma Testa non una pugile ma “la” pugile, la prima donna italiana ad aver portato la boxe in alto vincendo titoli europei, un mondiale, una medaglia di bronzo olimpica ed è la punta di diamante della nazionale per i prossimi Giochi di Parigi. La leggerezza è una dote che la contraddistingue anche sul ring non a caso è stata soprannominata Butterfly dal suo primo allenatore che la vedeva volteggiare di qua e di là per evitare i colpi. La metafora del bruco che diventa farfalla si è consumata nel raccontare la sua storia e, comunque, poteva andare bene fino a qualche anno fa: funzionava per descrivere la parabola della bambina nata nel disagio del quartiere Provolera di Torre Annunziata e atterrata sul trono di regina dei guantoni.

Ora quell’allegoria ha fatto il suo tempo: la ragazzina che schivava i pugni è diventata una donna che miete titoli e centra gli obbiettivi anche attraverso i messaggi che esprime. Allora è più facile immaginarla sottoforma di piuma, come la categoria di peso a cui appartiene e come una penna antica che, tingendosi nell’inchiostro del ring, scrive la versione femminile dell’arte nobile dei pugni e con essa svecchia lo sport intero.

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Se nell’immaginario c’è uno sport percepito come il più maschile di tutti, questo è proprio il pugilato. Una percezione tanto forte quanto lunga è la sua storia, iniziata coi Sumeri e continuata come disciplina olimpica a partire dall’edizione dei Giochi del 688 a.C. Da allora il pugilato ha rappresentato il regno per soli uomini più resistente all’avanzata dei diritti delle atlete alla partecipazione sportiva. Solo alle Olimpiadi di Londra, nel 2012, l’estremo baluardo machista è crollato: demolito quell’ultimo tabù, più nessuna disciplina è stata e sarà più preclusa alle donne. Irma Testa nata nel 1997 entrava per la prima volta in una palestra di boxe a 12 anni. Le bastò guardare gli altri combattere per percepire uno scossone lungo la schiena, una corrente che le accese la voglia di mettersi in gioco, la fantasia, la passione.

Non poteva immaginare che mentre lei forgiava il suo talento e dava forma al suo sogno, sarebbe caduto quel muro che ancora separava le donne dalla parità dando a bambini e bambine la possibilità di inseguire gli stessi sogni a cinque cerchi. Così per quelle strane giravolte del destino, Irma Testa ragazza del sud, dove farsi fare i tarocchi è ancora consuetudine, capisce che invece il suo destino lo ha tra le mani, anzi tra i pugni. Dai suoi primi successi in poi tutto il movimento è cresciuto enormemente al punto che, negli ultimi anni, il pugilato italiano, in eventi internazionali, ha vinto più con le donne che con gli uomini. Come spesso accade il movimento femminile, fa da “testa” d’ariete per un cambiamento che porta giovamento alla società tutta, non solo alle donne: i dati ufficiali della federazione nazionale (FPI) del 2023 lo confermano, con oltre 70 mila tesserati. Se più del 15% sono giovanissimi e giovanissime, che dall’esempio di Irma traggono ispirazione, è anche per la visibilità che si è guadagnata.

Butterfly, il suo soprannome, è diventato il titolo del bellissimo lungometraggio a lei dedicato e premiato col Globo d’oro nel 2019: racconta l’avvicinamento alla sua prima Olimpiade (Rio 2016) nello scomodo ruolo di prima donna pugile a rappresentare l’Italia e a portarne sulle spalle il carico di stereotipi. Il docufilm trasforma in immagini la consapevolezza, pesante come un macigno sull’anima, che solo un risultato eclatante avrebbe dato credibilità a lei come atleta e alla boxe come sport femminile. Proprio nel momento in cui stava per realizzare il sogno della partecipazione olimpica, la passione cede alla pressione e Irma si ribella al pugilato perché le ha rubato l’adolescenza, perché l’ha sradicata dagli affetti, perché ha nostalgia di una vita “normale”.

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Il racconto scava nella sconfitta trasformandola in un avvincente viaggio spirituale alla ricerca di senso e lascia un finale aperto, come una domanda, a cui solo il futuro avrebbe potuto rispondere: cosa farà Irma, lascerà? Continuerà? Due anni dopo, a Tokyo, Irma risponde con una medaglia di bronzo, il primo successo olimpico del pugilato femminile italiano. La medaglia cambia Irma che sente di aver messo al sicuro la sua reputazione di atleta e quella dello sport che ama. E allora trova spazio anche per la Irma donna che vuole dire al mondo che ama un’altra donna. C’è tempo per desiderare dei figli anche se, per averli, dovrà combattere più che sul ring. C’è la forza per abbattere un altro luogo comune che assurge la boxe a disciplina di redenzione per giovani disagiati che fanno a pugni pur di guadagnarsi un futuro: lei il futuro lo ha già in tasca ma sa che, per essere felice, ha bisogno anche di altro. Perché la boxe, come qualsiasi altro sport, può essere strumento di espressione, di realizzazione, di emancipazione ma non ti può dare la felicità se non sai una persona autentica, libera da quello che gli altri dicono, pensano, vogliono da te.

Aborra le etichette, sanno di vecchio e fanno male, meglio evitarle come i pugni sul ring. La vita è un divenire, è fluida, è da attraversare non da imbrigliarle e, se ti mette all’angolo, bisogna trovare una via d’uscita. Il suo pugilato è ricco anche di figure simboliche che dispensa come pillole di saggezza. Ha avuto buoni maestri ma segue la sua voce interiore che ha imparato a distinguere sempre meglio nel corso degli anni passati in raduno permanente ad Assisi, sede del centro federale: dal caos creativo della vita alle pendici del Vesuvio, alla quiete mistica della provincia umbra, Irma Testa ha tracciato i punti di una rotta che unisce la potenza fisica alla forza d’animo. A Parigi la piuma vorrebbe tingersi nell’inchiostro del ring per scrivere un nuovo capitolo di storia dal titolo: “la prima medaglia d’oro olimpica di una donna, pugile azzurra”.

Ce la farà? La domanda è aperta come aperto era il finale del docufilm Butterfly, che a suo tempo portò bene. Tra poco più di un mese arriverà la risposta ma quello che già sappiamo e che tu devi sapere, cara Irma, è che tutta l’Italia sarà con te. Avrai l’affetto di chi ti apprezza e avrai comunque il rispetto di chi teme, perché contro il sessismo e le gabbie degli stereotipi di genere, hai fatto più tu nella tua giovane carriera che decenni di politica. Chi aspettava che abbassassi la guardia per colpirti non potrà più farlo perché ormai sei oltre, sei al sicuro nello sport del futuro inarrivabile nella tua avanguardia.

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