È nell’elenco delle famose “sette stragi”, quelle che hanno sprofondato l’Italia nel terrore fra il 23 maggio 1992 e il 28 luglio 1993. La strategia della tensione mafiosa. Da Capaci sino a via D’Amelio, dai Georgofili di Firenze a via Palestro a Milano, in mezzo c’era via Fauro a Roma, in mezzo c’era Maurizio Costanzo.

Totò Riina e la misteriosa sigla della Falange Armata, bombe, solo bombe. Il piano originario l’avevano affidato proprio a Matteo Messina Denaro, che salì dalla Sicilia per un sopralluogo al teatro Parioli. Poi però l’esecuzione dell’attentato venne appaltata ad altri, alla famiglia di Branaccio che fece le cose in grande: novanta chili di tritolo mischiato con Semtex T 4, un po’ di pentrite e di dinamite, un mix utilizzato anche per far saltare in aria nel 1984 il rapido Napoli-Torino.

I palazzi intorno sventrati, la vittima designata uscì miracolosamente (in questo caso è andata proprio così) viva. Era solo lui e soltanto lui, il popolare conduttore televisivo, il bersaglio della mafia siciliana? Era una vendetta contro un volto notissimo agli italiani che aveva augurato in diretta un cancro a uno dei Madonia di Resuttana – «Se non ce l’ha, che gli venga» – o Costanzo era solo uno dei bersagli?

Costanzo e la sua storia

Ancora oggi, trent’anni dopo, molto non è stato chiarito sul movente o sui moventi. C’era Maurizio Costanzo e c’era la futura moglie Maria De Filippi sulla Mercedes che, alle 21.35 del 14 maggio 1993, aveva appena girato l’angolo di via Boccioni, seguita a pochi metri da una Lancia Thema con sopra due guardie private.

Ma dietro Costanzo c’era anche tutta la sua storia. L’iscrizione alla loggia P2 di Licio Gelli e la sua amicizia con Silvio Berlusconi, che da lì a pochi mesi sarebbe diventato leader di Forza Italia e capo del governo.

Dirà molto tempo dopo Gaspare Spatuzza, il mafioso che chiamava "Madre Natura” il suo capo Giuseppe Graviano e che poi si è pentito: «Io ho procurato l’esplosivo per Capaci e per via D’Amelio, quei morti ci appartengono, ne abbiamo tanto gioito vigliaccamente, non ci appartiene l’idea di uccidere Costanzo...».

Misteri irrisolti

Un cratere largo tre metri mezzo e profondo due nel quartiere più elegante di Roma, uno scenario di guerra. Un attentato in stile libanese per un giornalista, l’auto – una Uno bianca – l’avevano rubata la notte prima e l’avevano subito imbottita di esplosivo. Un calcolo sbagliato, un attimo prima o un attimo dopo, il confine fra la vita e la morte.
«Ma non mi hanno mai fermato», ha confessato Maurizio Costanzo un po’ enfaticamente il 17 gennaio scorso, il giorno dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.

Le stragi di mafia nascondono sempre più segreti. Una delle auto disintegrata quella notte ai Parioli era una Y 10, parcheggiata appena a tre metri dalla Uno Bianca. Ed era intestata alla Gattel, una società di copertura del Sisde, quello che allora era il servizio segreto civile. Ed era in uso a Lorenzo Narraci, un agente che aveva “lavorato sul campo”, in Sicilia.

Sul luogo della strage di Capaci fu ritrovato un bigliettino con un numero di telefono a lui riconducibile (ma poi si chiarì che era nella disponibilità di un altro agente), subito dopo la strage di via Mariano D’Amelio era nella squadra di servizi segreti che il procuratore capo della repubblica di Caltanisseta Giovanni Tinebra avrebbe voluto a capo delle investigazioni sugli assassini di Paolo Borsellino. Naturalmente solo coincidenze.

Quella società, la Gattel, aveva come amministratore unico Maurizio Broccoletti, un capo del Sisde che sarebbe stato arrestato qualche mese dopo l’attentato di via Fauro per una vicenda di fondi neri che sfiorò Scalfaro quando era al Quirinale.

Puffaro e Falcone

Più moventi e più misteri, come in ogni storia di mafia. C’è dentro tutto. Dell’«impegno antimafioso» di Maurizio Costanzo si ricordano un paio di trasmissioni molto movimentate. Una fu quella del tumore desiderato per uno dei Madonia, un’altra fu una maratona tv, Rai e Mediaset insieme dal teatro Biondo di Palermo, lui e Michele Santoro la sera del 26 settembre 1991. In studio anche Giovanni Falcone.

Occasione per ricordare l’imprenditore Libero Grassi, ucciso nemmeno un mese prima per non avere voluto pagare il pizzo. Dal pubblico all’improvviso si levò una voce: «C’è in atto una volgare aggressione alla parte migliore della Democrazia cristiana siciliana... avete infangato la memoria di Libero Grassi... c’è un giornalismo mafioso». Costanzo lo fece parlare e poi si rivolse al pubblico: «E stasera abbiamo conosciuto Puffaro». Con la "P”. Era un giovanissimo Totò Cuffaro.

© Riproduzione riservata