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La ’ndrangheta emiliana è viva grazie alle complicità politiche

Una foto agli atti del processo Aemilia: il boss Grande Aracri sulla sinistra, lo champagne al centro, Iaquinta padre a destra insieme al figlio Vincenzo, l’ex calciatore della nazionale
Una foto agli atti del processo Aemilia: il boss Grande Aracri sulla sinistra, lo champagne al centro, Iaquinta padre a destra insieme al figlio Vincenzo, l’ex calciatore della nazionale

Si è chiuso il processo d’appello Aemilia: 118 imputati. Confermata l’esistenza della mafia in regione. Ma i clan comandano ancora. Le nuove leve si muovono nell’ombra e i pentiti svelano le strategie future. In un libro il potere globale della mafia più misteriosa al mondo: l’Atlante illustrato della ‘ndrangheta (Rizzoli)

  • Il primo maxi processo contro la ’ndrangheta emiliana è quasi giunto al termine. Il 17 dicembre la sentenza della Corte d’appello ha confermato l’impianto accusatorio della procura antimafia di Bologna e le indagini iniziate quando alla guida dell’ufficio inquirente c’era l’esperto procuratore Roberto Alfonso, da poche settimane in pensione.
  • Prima dell’arrivo di Roberto Alfonso alla procura di Bologna non era stato fatto nulla di sistematico sui clan in Emilia. Era un porto franco, i bossi hanno fondato l’impero liberamente.

  • In questa vicenda è inciampato Carlo Giovanardi, l’ex senatore, e già ministro del governo Berlusconi, per aver fatto pressioni su un ufficiale dei carabinieri per favorire l’imprenditore Bianchini. Inizialmente questo procedimento era marchiato con l’aggravante mafiosa, poi decaduta. 

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