Questa notte la ResQPeople, dopo essere salpata da poche ore, ha operato due soccorsi portando in salvo 96 persone. «Abbiamo effettuato due soccorsi, il secondo era una barca di ferro, che ci si è materializzata davanti nel buio più totale del mare» racconta Cecilia Strada dalla ResQPeople.

«La barca, che era sul punto di affondare, è purtroppo colata a picco mentre il Rhib (gommone per il salvataggio ndr.) su cui ero aveva appena cominciato il soccorso. Abbiamo salvato 47 persone dalla morte. E purtroppo anche recuperato dal mare il cadavere di una donna, per la quale non abbiamo potuto fare altro che restituirle dignità».
«Quarantasette persone sono vive per miracolo», continua Cecilia. «Non fossimo stati lì sarebbero morti tutti in pochi minuti. Era un caso che nessuno aveva segnalato. Nessuno sapeva di quel guscio in mare. E nemmeno il primo soccorso era segnalato, lo abbiamo effettuato dopo aver avvistato l’imbarcazione. Appena finito il primo soccorso ci siamo trovati di fronte il secondo barchino, ma la situazione era già compromessa. Quando abbiamo cominciato a stabilizzare la situazione e a distribuire giubbotti di salvataggio purtroppo il barchino è affondato, perché quelle banchine sono una merda».

Non possiamo pensare che questa sia una catastrofe naturale, questo è un disastro causato dall’uomo; le morti, la disperazione nel Mediterraneo non è naturale. È un disastro creato dalle politiche dei governi europei e da quello italiano che chiudendo i canali di accesso sicuri e legali costringono le persone sulle rotte illegali e pericolose».
«La situazione in mare è pazzesca», continua Cecilia «La ResQPeople stava dirigendo verso Trapani, il porto di sbarco assegnato, quando questa mattina ci siamo fermati di nuovo per assistere una imbarcazione in difficoltà fino all’arrivo della Guardia Costiera che sta facendo un lavoro incredibile. Ma nemmeno loro possono essere dappertutto. Non credo che una situazione così in mare ci sia mai stata».

Dalla voce, si capisce che Cecilia è determinata e anche arrabbiata: «Abbiamo fatto un miracolo. E mi rendo conto che se non fossimo stati in quel punto e in quel momento i morti sarebbero stati non uno ma cinquanta».
Alla ResQPeople è stato assegnato il porto di Trapani, una eccezione (o possiamo sperare in una svolta?) rispetto alla norma di questi ultimi mesi. «Non posso evitare di dire che l’assegnazione di porti lontanissimi dalle zone di soccorso è una vergogna», commenta Cecilia Strada.

«Tutte le navi di soccorso devono avere la possibilità di essere dove servono, dove devono soccorrere. Con quale faccia possiamo dire ai nostri figli che abbiamo tenuto le navi di soccorso lontane dalle zone dove c’è bisogno che siano mentre la Guardia Costiera che sta facendo un lavoro eccezionale prodigandosi per soccorrere tutti ma nemmeno questo basta? E le persone muoiono. Perché le navi di soccorso perdevano giorni e giorni di tempo. E il tempo è vita, in questa situazione».

Oltre Lampedusa

Mentre l’attenzione dei media è su Lampedusa, isola di naufraghi, cinquemila abitanti costretti ad ospitare settemila uomini, donne e bambini scappati da fame, guerra e torture che se non fossimo dei barbari non ci sogneremmo di chiamare “migranti” o peggio “clandestini”.

Chi è stato a bordo delle navi nel cimitero del Mediterraneo sa che i naufragi e i morti che abbiamo sono sempre stati assolutamente sottostimati, perché da sempre il Mediterraneo centrale e il canale di Sicilia sono attraversati da imbarcazioni di fortuna e senza mezzi di comunicazione di cui non sappiamo l’esistenza e che troppo spesso non raggiungono la salvezza.

Ma mai come in questo periodo il tratto di mare che ci separa dal continente africano è attraversato da gusci di latta - impossibile chiamare barche queste cose che non sarebbero in grado di attraversare in sicurezza nemmeno un laghetto. Riempite di decine e decine di persone che pur sapendo di andare incontro a una tragedia non esitano a tentare la sorte pur di sottrarsi alla disperazione, al terrore, alla fame a bordo di scatolette di lamierino spesso due o tre millimetri che si flette sotto al loro peso e si deforma con onde di cinquanta centimetri.

Se sono centinaia le scatolette di tolla che grazie alla calma piatta e al vento in poppa riescono ad arrivare a Lampedusa, almeno altrettante sono quelle che non riescono a toccare terra. E se sono settemila le persone che sono riuscite ad arrivare, almeno altrettanti sono i morti di cui nessuno saprà mai. Non è giusto. Non solo non è degno di un paese civile non riempire il mediterraneo di navi di soccorso, ma più semplicemente non è giusto.

L’Europa, con l’Italia in prima fila, sta compiendo uno sterminio, perché di questo si tratta, e purtroppo lo sta facendo nell’indifferenza di quasi tutti e con il consenso di troppi. 

Quella che secondo logica e secondo i valori che tutti dicono di professare dovrebbe essere la priorità assoluta: salvare vite umane perché prima si salva e poi si discute, è relegata nei tagli bassi dell’informazione quando va bene. E i governanti d’Europa (e soprattutto dell’Italia) non solo non fanno nulla per evitare questo sterminio, ma fanno di tutto per uccidere sempre di più. «Ma devono venire tutti qui?», «Ma non possiamo accoglierli tutti» sono frasi che dovrebbero far inorridire, dovrebbe essere reato pronunciarle, chi le pensa dovrebbe essere costretto a studiare. E invece sono sulla bocca della stragrande maggioranza delle persone, anche di quelle che si credono civili e democratiche. Sarà la storia a giudicare, e il giudizio non potrà che essere di pesantissima condanna.

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