Avere un conto svizzero può ancora rivelarsi un affare se si ha la sfortuna di inciampare in un’inchiesta della magistratura. Per gli inquirenti, infatti, setacciarlo non è compito facile. E prima di far partire verifiche e rogatorie devono avere un quadro granitico dei reati da contestare. È il caso del presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana. Indagato nell'inchiesta sui camici alla regione Lombardia, prima venduti, poi donati e infine sequestrati dalla procura di Milano, i magistrati hanno scoperto i suoi possedimenti in una banca elvetica, a pochi chilometri dalla sua Varese. Per questo più che al dito, l’inchiesta sui camici, la procura punta all'altra faccia della luna, nascosta dietro a trust caraibici, conti svizzeri, fiduciarie italiane che girano intorno al governatore.Un armamentario finanziario poco consono a un politico chiamato a gestire denaro pubblico, verso il quale stanno concentrando gli sforzi investigativi i magistrati di Milano. L’inchiesta nasce da una fornitura ad Aria, centrale di acquisto della regione, di 75mila camici e 7mila kit prodotti dalla Dama, l'azienda di abbigliamento del cognato e della moglie di Fontana. Nel corso di questa indagine sono emersi i 5,3 milioni del presidente custoditi in un conto svizzero.

Svizzera lombarda

Detenere un conto all'estero non è automaticamente un reato. Non dichiararlo, nemmeno, perché potrebbe risolversi tutto in un illecito amministrativo. Cosa che, peraltro, il governatore ha sanato nel 2015 grazie alla voluntary disclosure varata dal governo Renzi per far emergere i capitali all'estero. Tuttavia la versione di Fontana è incompleta. Ha raccontato di un’eredità lasciata dalla madre e regolarizzata nel 2015, ma non ha mai spiegato perché dal 1997 al 2005 era delegato a operare su un altro conto della madre.

Il pool applicato a questa indagine è coordinata da Maurizio Romanelli, il procuratore aggiunto che vigila sulle inchieste nate durante e dopo la fine del lockdown. Ma questa sul tesoretto del governatore si sta rivelando complessa perché gli attrezzi usati da Fontana per proteggerlo fuori dai confini italiani rallentano i detective, che vogliono capire con precisione quale sia la reale storia di quel conto corrente da 5,3 milioni denunciato nel 2015 come eredità lasciata dalla mamma Maria Giovanna Brunella. D'altronde da sempre si sceglie la via svizzera, e le sue propaggini caraibiche – Bahamas in questo caso-, proprio sottrarre dai riflettori del fisco i patrimoni e rendere le indagini farraginose: bisogna appoggiarsi a lunghe rogatorie e protocolli di collaborazione con altri stati per sperare di ottenere le informazioni, spesso stringate.

Ostacolo rogatoria

Sul tesoretto di Fontana, già indagato per i camici del cognato per frode, il silenzio è unanime nei corridoi della procura. Ma su questo conto acceso presso la banca Ubs, amministrato da Unione Fiduciaria, c’è un gran lavorio. Tutto nasce da una segnalazione all’Unità antiriciclaggio di Banca d’Italia fatta proprio dalla fiduciaria su un bonifico da 250mila euro disposto da Fontana, poi bloccato, e destinato al cognato Andrea Dini, indagato per turbata libertà nella scelta del contraente insieme agli allora vertici di Aria. Il bonifico doveva servire da parziale rimborso della fornitura dei camici alla regione poi sfumata.

Le domande alle quali gli inquirenti vorrebbero trovare risposte sono molte: è l'unico conto estero di Fontana? Le sue presunte movimentazioni negli ultimi anni sono lecite? Dopo il 2015, l'anno dello scudo fiscale, cosa è successo? Quando è stato acceso, nel 1997, era destinato solo a preservare i risparmi della mamma, dentista di Varese e all’epoca ultrasettantenne? O, visto che lo stesso Fontana aveva una delega a operare sul questo deposito estero vi confluivano soldi da altre sorgenti?

Per capire qualcosa di più la procura ha bussato circa dieci giorni fa alla porta dello studio di commercialisti Frattini di Varese e in quello Vallefuoco di Roma, che collabora anche con uno studio legale svizzero di Lugano. L'intenzione è verificare tutto il lavoro svolto per Fontana, anche nella compilazione della voluntary, che, per invogliare i risparmiatori ad autodenunciare i loro possedimenti esteri, forniva anche una manleva anche su alcuni reati ipotizzabili oltre ad abbattere le sanzioni tributarie. E tra questi, oltre ai reati fiscali, c’era il riciclaggio e l'autoriciclaggio. Se questi sono i presunti reati di cui si sarebbe macchiato Fontana oltre i confini italiani, bisognerebbe prima dimostrare che il denaro del conto svizzero non provenga solo dall'eredità della mamma, ma che abbia altre provenienze, ovviamente illecite. Solo allora avrebbe senso interrogare le autorità svizzere via rogatoria, che avviene comunque con contraddittorio delle parti, se autorizzata. Finché i magistrati non sono, però, convinti di quale ipotesi contestare, e se farlo, non partirà alcuna rogatoria per la Svizzera.

Questione di opportunità

Insomma, una corsa a ostacoli complicata. E tuttavia prima che giudiziaria, quella dei conti svizzeri di Fontana, resta una questione prima di tutto etica e politica. La trasparenza dei patrimoni e delle finanze dovrebbe essere per chi governa un dovere verso i cittadini.

Nei giorni scorsi il New York Times ha pubblicato un'inchiesta giornalistica sulle tasse non pagate da Donald Trump. «Crediamo che i cittadini debbano conoscere il più possibile dei loro leader e anche delle loro finanze», ha scritto l’editore esecutivo Dean Baquet. Vale per Trump, vale per Fontana e chiunque maneggi risorse dei cittadini.

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