Le mamme campane sono pronte a tappezzare i muri di Napoli con manifesti con scritto «Aprite le scuole!».

Palmira Pratillo, Verena Celardo e Marita Francescon si sono conosciute in uno dei tanti gruppi che stanno agitando le proteste della Campania contro Vincenzo De Luca. Da Facebook sono passate a whatsapp e hanno lanciato una raccolta fondi che è durata tre giorni: «Abbiamo raccolto più di duemila euro – dice Francescon -, e adesso andremo in stampa. Con tutto quello che si aggiungerà faremo altri volantini».

In Campania dal 16 ottobre sono state sospese le lezioni in presenza per limitare il contagio da Covid-19. Il governatore ha ridicolizzato le proteste dei genitori che vogliono che le scuole siano riaperte. Dopo l’ultimo Dpcm, che garantisce la scuola in presenza in Italia per materna, primaria e secondaria di primo grado, il presidente della Campania De Luca ha ribadito la sua volontà di mantenere chiuse le scuole del territorio: «Un’ingiustizia che ci rende gli unici in Europa con scuole dell’infanzia e primaria chiuse ormai da settimane» spiegano le mamme.

Le manifestazioni sono partite quasi subito e continuate senza interruzione. L’ultima, il 6 novembre, è stata la protesta degli zainetti, cioè i genitori hanno appeso le cartelle vuote ai cancelli per simboleggiare tutto quello che i loro figli stanno perdendo assieme ai cartelli, «Abbiamo il diritto di tornare a scuola» recitano alcuni, «Siamo italiani pure noi. Scuola in presenza» si legge in un altro.

Dal nove novembre verranno messi nel quartiere Chiaia, uno dei quartieri bene della città, 150 poster per chiedere di far tornare i bambini a fare lezione, altri 20 di grandi dimensioni saranno affissi in giro per tutto il capoluogo.

I poster che saranno affissi a Napoli

«Vogliamo tenere alta l’attenzione» spiega Pratillo. Insieme alla raccolta fondi sono stati lanciati gli slogan #apritelescuole e  #nonlasciateciindietro, la protesta «intende dare voce a migliaia di famiglie ai cui figli è stato negato il diritto di poter andare a scuola come gli altri bambini italiani». 

Pratillo racconta: «Dovevamo cercare un modo per evitare gli assembramenti, per questo abbiamo deciso di passare ai manifesti».

L’organizzatrice sta vivendo la situazione di dover gestire lavoro e famiglia. Lei è un’imprenditrice del settore tessile con due figli, due maschi di 7 e 9 anni: «una difficoltà perché la maggior parte dei miei impiegati è in cassa integrazione, non posso mancare. Stiamo facendo i salti mortali tra didattica a distanza, lavoro e pandemia». In questo modo «ricade tutto sulle spalle delle donne e delle famiglie». Il problema è molto diffuso, soprattutto in determinate categorie lavorative che stanno dovendo per prime fronteggiare la pandemia. Da quando hanno avviato la campagna social stanno raccogliendo anche le testimonianze delle mamme: «Molte donne medico e infermiere ci hanno contattate per raccontarci i problemi che stanno avendo, loro non possono seguire la didattica a distanza».

I bambini

Il danno però, specificano, è prima di tutto per i bambini. «Siamo contrarie perché anche il comitato tecnico scientifico ha dichiarato che è fortemente dannoso, l’apprendimento è ridotto quasi a zero. La dispersione scolastica è alle stelle perché i ragazzi non possono collegarsi o non vogliono. La didattica distanza crea una disparità sociale molto forte».

I più fortunati, si legge nel comunicato che hanno fatto girare, «sono costretti all'alienazione davanti a uno schermo, quelli con meno possibilità sono condannati a restare indietro e ad assistere incolpevoli al dilatarsi di un intollerabile gap socioculturale».

Francescon esemplifica: «Mia figlia lamenta mal di testa problemi agli occhi, ma mia figlia è fortunata, noi possiamo permetterci di avere tutti i device – cioè i dispositivi per la didattica a distanza come tablet e computer – che ci servono». Lei ha una figlia di 8 anni e uno 5. Se la bimba riesce a frequentare, il piccolo «non lo fa proprio, abbiamo provato durante la pandemia, ma non si può». A questo si aggiunge la preoccupazione dei genitori nel vedere i loro figli sempre più legati agli schermi: «Ho lottato per anni per ritardare questa dipendenza, adesso invece la stiamo agevolando».

La loro voce è circolata. Tra i testimonial della protesta adesso c’è anche l’influencer Barbara Petrillo. Su Instagram ha pubblicato una serie di storie per spiegare la protesta: «La Campania è l’unico posto d’Europa dove i bambini non possono andare a scuola», e aggiunge «I nostri figli sono figli di tutta l’Italia e devono avere le stesse chances che hanno tutti gli altri».

Adesso, dice l’organizzatrice Pratillo, «andremo ospiti alla Rai e continueremo a farci sentire». Intanto da domani partiranno i primi ricorsi al Tar.

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