Il Signore ci tiene per mano (Libreria editrice vaticana) raccoglie le prediche pronunciate, per la massima parte, negli anni successivi alla rinuncia, dal 2013 al 2017. A colpire sono la limpidezza comunicativa e l’originale profondità, tipiche della predicazione – ma anche dell’insegnamento – del teologo bavarese eletto papa nel 2005
Sono il distillato di una vita le omelie inedite di Benedetto XVI pubblicate nella prima settimana del pontificato di Prevost (Il Signore ci tiene per mano, Libreria editrice vaticana). Per questa concomitanza il libro è passato sostanzialmente inosservato, nonostante le anticipazioni di alcuni quotidiani.
Invece i testi, come in genere quelli di Joseph Ratzinger, si rivelano di grande interesse e catturano chi li legge. Per due caratteristiche a prima vista discordanti: la limpidezza comunicativa e l’originale profondità, tipiche della predicazione – ma anche dell’insegnamento – del teologo bavarese eletto papa nel 2005.
Finora sconosciute e soltanto pronunciate, le omelie di Ratzinger risalgono per la massima parte agli anni successivi alla rinuncia, dal 2013 al 2017. Finché l’indebolirsi della voce costringe il pontefice emerito ad abbandonare l’abitudine di predicare – sempre in italiano, parlando a braccio con un dominio impressionante della lingua – durante la messa domenicale nella residenza che nei giardini vaticani era stata adibita a monastero: gruppi di religiose vi si alternavano infatti durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
A queste messe di solito prendevano parte, oltre qualche occasionale visitatore, il segretario personale Georg Gänswein e cinque donne: la fedelissima segretaria suor Birgit Wansing, per decenni unica in grado di decifrare la minuta grafia di Ratzinger e di scioglierne le molte abbreviazioni, e le quattro laiche italiane di Comunione e liberazione – Carmela, Cristina, Loredana, Manuela e, morta quest’ultima, Rossella – che tenevano la casa costituendo la piccola famiglia papale. Proprio a loro risale l’iniziativa di registrare e trascrivere le omelie.
La «vetta» del pontificato
Sulla base di questo lavoro, completato dalla fondazione vaticana intitolata al pontefice, sono state curate 135 prediche. Le 56 appena pubblicate, in un libro di oltre trecento pagine, comprendono anche una decina di omelie, anch’esse private e inedite, che Benedetto XVI ha tenuto tra il 2006 e il 2010 da papa.
Gli editori hanno ordinato le prediche secondo il calendario liturgico, dall’Avvento al tempo pasquale, riservando a un «secondo volume» quelle pronunciate nelle domeniche del resto dell’anno. Per seguire lo sviluppo del pensiero di Ratzinger più opportuno sarebbe stato seguire l’ordine cronologico delle omelie, anche se il criterio liturgico è quello dei tre volumi che nell’opera omnia raccolgono in duemila pagine (finora in tedesco e in polacco) le prediche anteriori al 2005.
Un centinaio di quelle del pontificato è riunito in una trilogia (Benedetto XVI, Omelie, Libri Scheiwiller) curata tra il 2008 e il 2010 – in una veste ben più attraente della mediocre edizione vaticana – da Sandro Magister, che le presenta giustamente come «una vetta» del pontificato di Ratzinger. Anche se è «la meno frequentata e conosciuta», benché tutte le omelie del papa siano accessibili sul sito della Santa sede.
La diversità di Ratzinger
Al di là dei limiti editoriali, la raccolta si distingue per il carattere unico di queste nuove prediche: pronunciate a braccio ma – nota il gesuita Federico Lombardi – preparate «durante tutta la settimana precedente, leggendo e studiando i testi liturgici con attenzione, facendone oggetto di riflessione e di preghiera, prendendo anche delle note su un apposito quaderno». Un’abitudine certamente derivata dalla lunga docenza universitaria, grazie a una memoria sino alla fine eccellente e grazie a una consuetudine, davvero rara, con i testi della tradizione cristiana.
Più volte del resto Benedetto XVI ha parlato in pubblico, anche molto a lungo, con il solo aiuto di un foglietto dove aveva appuntato i riferimenti biblici. Come l’8 febbraio 2013, tre giorni prima della dichiarazione di rinuncia al pontificato, quando nel Seminario romano per tre quarti d’ora commentò l’inizio – solo poche righe – della prima lettera attribuita all’apostolo Pietro.
Tutto questo spiega la diversità di Ratzinger rispetto ad altri esempi papali. Estemporanee erano le brevi omelie del mattino sul vangelo del giorno – dapprima frequenti, poi rarefatte e interrotte nel 2020 – tenute a Santa Marta dal successore Francesco (che più volte, e con ragione, ha criticato lo stato fallimentare dell’attuale omiletica). In genere non conservate sono quelle delle celebrazioni mattutine di papa Wojtyła alla presenza di pochi invitati. E tra i predecessori, solo Paolo VI dedicava altrettanta cura alla preparazione personale dei testi, come dimostrano gli autografi.
Quattro pilastri
Ratzinger già nel 1973 aveva dedicato al tema un libro importante (Dogma e predicazione, Queriniana) e insistito sui quattro ineliminabili pilastri che nel predicare non vanno mai dimenticati: il dogma, la Scrittura, la chiesa, la situazione attuale.
Secondo il teologo allora docente a Ratisbona, la Scrittura sacra, che è parola di Dio, non solo «sta di fronte alla chiesa» e la forma, ma è anche un «elemento critico a tutti i livelli»: in altre parole, è il tribunale «secondo il quale la chiesa deve giudicarsi e in base al quale deve mutarsi». Non è però sufficiente la tradizione, perché la crisi, in atto da oltre un secolo, «dipende in non piccola parte dal fatto che le risposte cristiane trascurano gli interrogativi dell’uomo».
Benedetto XVI non ha dimenticato quanto aveva scritto da giovane teologo. Come negli antichi Padri della chiesa – su tutti il prediletto sant’Agostino – il suo rapporto con i testi biblici è infatti continuo, con una attenzione rigorosa e sistematica ai testi sacri dell’ebraismo, letti in quanto tali ma nello stesso tempo assunti dalla tradizione cristiana e resi comprensibili all’uomo di oggi.
Così in un’omelia del 2016 sulla vocazione di Mosè la riflessione è sul nome divino, «io sono». Perché «le cose possono essere passate e future» mentre «Dio è presente».
La novità manifestata al legislatore d’Israele è sconvolgente. «Dio si fa chiamare, possiamo chiamarlo, è quasi uno di noi», che parla e rivolge a Mosè parole fondanti: «Io ho osservato la vostra situazione, ho udito il vostro grido, conosco le vostre sofferenze, sono sceso per liberarvi». In modo analogo il papa emerito fa notare, parlando nel 2014 nella domenica della Trinità, che secondo la profezia di Isaia lo stesso Dio si dichiara «amico» di Abramo (41,8).
Il confronto costante con i testi biblici e i riferimenti all’attualità, con allusioni minime ma precise, riescono a coinvolgere chi legge, sia credente o non credente, in una visione della storia umana inserita nella storia della salvezza. Per l’originalità dello sguardo e una passione inesausta che vede nelle parole di un antichissimo inno cristiano – «Svegliati, tu che dormi, e Cristo ti illuminerà» (Efesini, 5,14) – la necessità di «non accontentarci della situazione in cui siamo».
È questo, in un’omelia quaresimale del 2014, «il grande pericolo del nostro tempo, che la banalità sia per noi sufficiente». Perché – osserva Ratzinger – «la banalizzazione della vita è così: si vive nella superficialità e si dorme sempre più profondamente».
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