Quando la Svezia agli ottavi ha eliminato gli Stati Uniti di Megan Rapinoe and Co., la finalissima di Coppa del Mondo fra Spagna e Inghilterra è diventata sempre più papabile. Con la favorita dai pronostici fuori dai giochi, i più hanno iniziato ad almanaccare sullo stato di salute delle due formazioni, sul talento delle giocatrici, sulle capacità strategiche dei rispettivi allenatori. Né Spagna né Inghilterra sono mai arrivate fin qui, il desiderio di vedere incoronata una squadra nuova si sposa bene con il sentimento di rinnovamento generale che caratterizza il calcio femminile.

Entrambe le formazioni hanno giocato un campionato altalenante. La Spagna ha subito una sonora sconfitta per 4-0 dal Giappone ai gironi; mentre l’Inghilterra è arrivata in semifinale contro la Svezia giocando un calcio sofferto, molto diverso dal gioco offensivo e propositivo a cui ci aveva abituati allo scorso Europeo.

Ma sono le due formazioni che alla fine hanno gestito meglio i momenti di tensione. L’ultima volta si sono scontrate ai quarti dello scorso Europeo. L’Inghilterra ha vinto per 2-1 una partita che aveva mandato tutti i segnali giusti, lasciando presagire la ribalta per una nuova potenza calcistica. Al contrario, da quella spedizione, la Spagna era tornata a casa con dubbi e domande aperte. La sconfitta aveva fatto definitivamente luce su un movimento che a livello internazionale stentava a raggiungere i livelli di spettacolo e classe che il campionato aveva messo in evidenza durante tutta la stagione.

Il cuore del Barcellona

La rosa che si era presentata agli Europei era Barcelona-centrica. Il vero cuore pulsante di quella che avrebbe dovuto disvelarsi come una delle formazioni simbolo del nuovo testamento del calcio femminile era lo spogliatoio della squadra catalana.

I presupposti per far bene c’erano: il Pallone d’Oro ad Alexia Putellas, la vittoria sfiorata in finale di Champions League contro l’Olympique Lyon, tutto un parco di giocatrici suddivise fra Barça, Real e Atlético che già a immaginarsele insieme veniva da stropicciarsi gli occhi. Ci aspettavamo il calcio del futuro e invece il giorno prima dell’esordio Alexia Putellas si era rotto il crociato.

Da lì in poi si era vista una squadra costantemente sul punto di. Sul punto di giocare come sapeva, sul punto di fare gol, sul punto di passare il turno. Una promessa mancata, una profezia incompiuta per tutti, non solo in Spagna. Un po’ come se a non compiersi fosse la nuova visione del calcio futuristico.

Sono indimenticabili le immagini della scorsa estate di Alexia a bordo campo, con lo sguardo perso in un punto che la telecamera non poteva mostrarci, gli occhi rossi e gonfi. Era tristezza? Era rabbia? Poco dopo avremmo scoperto che si trattava di entrambi i sentimenti.

Al rientro dall’Europeo, le giocatrici si rendono conto che per evolversi ulteriormente è necessario cambiare pelle. Fanno squadra ancora una volta e prendono una decisione: bisogna mandare via coach Jorge Vilda e ricominciare tutto da capo. La strategia non è elegante ma cristallina.

Il 22 settembre quindici di loro (fra cui Patri Guijarro, Mapi León, Aitana Bonmatí, Mariona Caldentey, Sandra Paños) inviano una mail alla Federazione nella quale chiedono apertamente di non essere convocate fino a quando le condizioni non saranno cambiate. La gestione attuale, scrivono, ha un effetto dannoso sul loro stato emotivo e fisico.

Rinnovo forzato

La risposta è negativa e la Federazione nella persona del presidente Luis Rubiales non le asseconda: Vilda non viene esonerato, anzi, sapendo dell’enorme vivaio di talento che è diventata la Spagna, si guarda intorno e convoca giocatrici di seconda fascia, fortissime anche loro, anche se non hanno mai messo piede in Nazionale. Il lavoro infaticabile che in questi ultimi anni è stato svolto in Spagna a livello di giovanili facilita il rinnovo forzato della nazionale ammutinata.

Jorge Vilda ha avuto la fortuna di essere messo alle strette in una nazione così. Una specie di paradiso del calcio femminile che punta a divenire il campionato per club più importante dopo quello inglese, notoriamente la nazione che da qualche anno a questa parte ha investito ingenti quantità di denaro al fine di creare il campionato più competitivo in Europa e forse del mondo. I risultati si stanno vedendo.

La defezione di campionesse della caratura di Mapi Leon e di Sandra Paños si è trasformata nella possibilità di creare una squadra non più avversa al suo stratega, anche giovane, più motivata.

Nel vuoto della rosa che si è creato, Vilda ha avuto la capacità di inserire le giocatrici giuste. Come Salma Paralluelo, attaccante diciannovenne che in questo Mondiale ha incantato con la sua velocità e la freddezza con cui conclude a rete.

Paralluelo non è una scoperta di Vilda; già da qualche anno si parla di lei, un talento raro, di come la sua provenienza dai 400 ostacoli in atletica la renda un’attaccate imbattibile in velocità. Ma è innegabilmente di Vilda il tempismo con cui nelle ultime partite l’ha messa in campo al momento giusto, affinché segnasse due gol decisivi prima contro l’Olanda e poi contro la Svezia, ai quarti e in semifinale.

Gli ammutinamenti

I tentativi di ammutinamento sono un fenomeno comune nel calcio femminile; uno sport che negli ultimi anni ha dimostrato spesso di essere in grado di portare dinamiche politiche su un campo d’erba. È proprio a marzo di quest’anno che Corinne Diacre, ex allenatrice della Francia, è stata allontana dalla panchina con le stesse dinamiche messe in atto dalla Spagna. A prendere distanza dalla nazionale fino al suo allontanamento era stata per prima Wendy Renard - capitana della formazione con otto Champions League vinte e quindici campionati con il club Olympique Lyon. Per Diacre però le cose si sono messe male subito, la Federazione non ha fatto molta resistenza nell’allontanarla.

È probabile che il peso di una giocatrice come Renard e la fiducia e il rispetto per ciò che lei rappresenta per il calcio femminile, abbiano contribuito a velocizzare il rinnovamento dello staff. Eppure in finale c’è andata la Spagna, la formazione con la protesta fallita, non quella che è riuscita a mettere in atto i desideri della squadra. Quando ha ignorato la richiesta delle giocatrici della Spagna, Rubiales lo sapeva? È improbabile.

Ma fare un buon lavoro a livello di investimenti, giovanili, pubblicità, visibilità è sempre una buona idea. La strategia vincente della Spagna è solo parzialmente la visione di gioco di Vildas, un allenatore che nessuno più voleva. Si tratta piuttosto di poter attingere ad un parco di giocatrici grande e pieno di talento. E questo è merito delle giocatrici stesse e di una nazione che crede in uno sport anche a televisori spenti.

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