Non c’era bisogno dell’ennesima comunicazione dell’Ema per capire che la connessione fra rari casi di trombosi e il vaccino AstraZeneca non è una questione strettamente scientifica, ma di rappresentazione della verità. Il grande filologo Erich Auerbach lo aveva capito già settant’anni fa quando ha parlato della «tecnica del riflettore». 

Ecco in cosa consiste: «Di tutto un ampio discorso», scrive Auerbach in Mimesis, pubblicato nel 1946«s’illumina una piccola parte, ma tutto il resto, che servirebbe a spiegarlo e a dare a ciascuna cosa il suo posto, e verrebbe, per così dire, a formare un contrappeso a ciò che è stato messo in risalto, viene lasciato nel buio. In questo modo vien detta apparentemente la verità, poiché quanto è detto è incontestabile, e tuttavia tutto è falsato, essendo che la verità è composta di tutta la verità e del giusto rapporto fra le singole parti».

Le proporzioni contano

Il racconto politico, mediatico e anche giudiziario delle vicissitudini di AstraZeneca delle ultime settimane ha messo in luce gli effetti avversi del vaccino e contestualmente ha lasciato in ombra i benefici di una misura che finora ha  immunizzato decine di milioni di persone dal Covid-19, malattia che ucciso oltre 2,8 milioni di persone nel mondo. 

«Prendere l’aereo ha un rischio cento volte superiore di fare il vaccino, non lo dico io, lo dicono le statistiche», ha detto l’epidemiologo Andrea Crisanti a Sky, mentre su Repubblica Elena Dusi spiegava che l’aspirina è più pericolosa dell’iniezione prodotta da AstraZeneca. Si potrà obiettare che, per quanto rare, le reazioni avverse, anche fatali, sono effettivamente collegate al vaccino, e dunque i governi e la stampa dei paesi liberi e democratici hanno il dovere di dire ai cittadini tutta la verità, senza omettere nulla. 

Il problema è, appunto, la concezione della verità su cui si fa affidamento. Se la verità consiste nel semplice accertamento di un fatto, senza contesto né senso delle proporzioni rispetto ad altri fatti che compongono lo scenario nella sua interezza, allora insistere sulla pericolosità del vaccino, con ampio sfoggio di testimonianze e spericolate inchieste coperte con la foglia di fico dell’“atto dovuto”, è corretto. Ma se la verità, come dice Auerbach, è costituita anche dal giusto rapporto fra le singole parti che la compongono, la faccenda cambia.

I momenti di agitazione

Le decine di milioni di persone che vivono libere dalla minaccia del Covid grazie al vaccino anglo-svedese sono un pezzo della verità; la persona che ogni due milioni e mezzo di vaccinati sperimenta un grave effetto collaterale è un altro pezzo della verità, e come tale va raccontato.

Queste due parti, però, non hanno lo stesso valore nel racconto della vicenda, la loro verità specifica emerge soltanto quando vengono stabiliti e rappresentati i giusti rapporti fra le singole parti.

Spesso sul caso AstraZeneca si è preferito invece usare la tecnica del riflettore, illuminando alcuni elementi meno rilevanti e lasciando in ombra quelli macroscopici, secondo una strategia che Auerbach denunciava come sommamente pericolosa, specialmente nei momenti di agitazione: «Il trucco nella maggior parte dei casi è facile da scoprire, ma alla gente, nei momenti di grandi passioni, manca la volontà di farlo». 

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