«Bufala». «Falso scoop». «Macchinazione». Negli ultimi giorni la Lega e alcuni suoi dirigenti apicali hanno descritto così il caso Metropol, la vicenda svelata per la prima volta da chi scrive nel febbraio del 2019 sull’Espresso, ossia la trattativa avvenuto nell’omonimo hotel di Mosca il 18 ottobre 2018 alla quale aveva partecipato il fedelissimo di Matteo Salvini, Gianluca Savoini, con l’obiettivo di ottenere dai russi un finanziamento per la campagna elettorale per le europee.

«Una simpatica manovra per creare a tavolino una menzogna per infangare Salvini», l’ha definita ad esempio il senatore leghista Claudio Borghi. Il Carroccio è talmente infuriato da aver annunciato una denuncia in procura (l’ennesima, per la verità, le precedenti le ha perse tutte) e ha chiesto che sia anche il Copasir, il Comitato parlamentare che controlla l’attività dei servizi segreti, a occuparsi del caso.

«Oltre a quello che appare come un agente provocatore dell’Espresso che cercava in tutti i modi di incastrare la Lega in accordo con un amico giornalista, al tavolo ci sarebbero stati anche uomini dei servizi segreti stranieri», ha infatti scritto il partito di Salvini in un comunicato stampa. Ma di che cosa stiamo parlando? Che cosa ha scatenato la reazione leghista?

Caccia alle fonti

Tutto è nato da una serie di articoli pubblicati tra sabato e domenica dal giornale La Verità. Leggendo le carte dell’inchiesta condotta dalla procura di Milano sulla trattativa del Metropol, il quotidiano ha messo in evidenza due fatti.

Primo: uno di noi è stato in contatto più volte con Gianluca Meranda, uno dei tre italiani che hanno partecipato alla trattativa, e ha viaggiato insieme a lui sullo stesso aereo diretto a Mosca il giorno prima del famoso meeting nella capitale russa (sullo stesso volo, l’unico, c’era anche l’allora ministro Salvini, dettaglio sfuggito al quotidiano diretto da Maurizio Belpietro).

Secondo: al tavolo dell’hotel moscovita quella mattina del 18 ottobre 2018 c’era anche un agente dell’Fsb, i servizi segreti russi. Da qui la conclusione del quotidiano: poiché Meranda, oltre a essere un massone era anche la “talpa”, saremmo stati noi, insieme a lui, a costruire ad arte una notizia che in realtà non esisteva, vale a dire la trattativa per finanziare la Lega con soldi russi.

Una balla sesquipedale, visto che la trattativa c’è stata davvero, come dimostrano l’audio e i documenti pubblicati. E come ha certificato il tribunale di Milano, secondo cui l’obiettivo della trattativa era proprio quello «di finanziare illecitamente il partito Lega, grazie ai rapporti che Savoini, presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia, aveva saputo tessere con influenti personaggi del mondo politico, economico, culturale russo».

Savoini e le 40 riunioni

Per chi non ha seguito la vicenda con attenzione, e magari non conosce alla perfezione le regole del lavoro giornalistico, la narrazione cavalcata dalla Lega può però risultare suggestiva. Anche perché nei vari articoli citati dal partito non viene mai ricordato un fatto: il ruolo attivo di Savoini nel negoziato. Partiamo da una premessa. I giornalisti devono rispettare il segreto professionale: hanno il dovere di non rivelare le fonti delle proprie informazioni se queste chiedono di rimanere anonime. Perciò, come abbiamo fatto quando la procura di Milano ci ha convocato per indagare su quanto avevamo pubblicato, continueremo a non rivelare l’identità delle fonti.

Ci sentiamo però in dovere di fare chiarezza su alcuni punti. La Lega si dice scandalizzata per il fatto che dei cronisti abbiano incontrato e sentito più volte, sia prima che dopo la riunione del Metropol, uno degli italiani presenti al tavolo. Quale sarebbe l’anomalia non è chiaro: il cronista segue una storia e cerca di verificarla con tutte le persone coinvolte. Sulla trattativa per finanziare la Lega con soldi russi abbiamo lavorato per mesi. Avevamo saputo che, nell’ambito di questa trattativa, il 18 ottobre 2018 ci sarebbe stata una riunione importante all’hotel Metropol di Mosca, alla quale avrebbe partecipato Savoini, ex portavoce di Salvini e suo delegato per gli affari russi. Quale occasione migliore per verificare la veridicità delle informazioni raccolte fino ad allora? Se davvero al Metropol avessimo visto Savoini trattare con dei russi, sarebbe stata una conferma utile. L’audio della riunione e le parole di Savoini hanno ulteriormente fortificato le nostre già solide prove. Vale la pena ricordare l’introduzione politica fatta da Savoini – e non da Meranda – all’inizio della riunione: «Il prossimo maggio ci saranno le elezioni europee. Vogliamo cambiare l’Europa, una nuova Europa deve essere vicina alla Russia...questo è solo quello che voglio dire sulla situazione politica. Ora voglio che i nostri partner tecnici continuino questa discussione». Da qui iniziava la discussione sui dettagli dell’operazione commerciale e di finanziamento.

Non c’è solo il Metropol però che fa capire quanto Savoini fosse parte attiva nella gestione dell’affare. Si tratta di un’interlocuzione con il colosso energetico russo Gazprom. Agli atti dell’inchiesta di Milano è citata una mail inviata a Savoini, definita dallo stesso «la risposta di Gazprom», datata 1° febbraio 2019 a firma del vicedirettore del Reparto logistica, Anatolii Moiseevich Cerner: il manager scriveva «che la società non era interessata a intraprendere un rapporto commerciale con EURO IB (banca d’affari legata a Meranda, ndr) a causa sia del prezzo di vendita che risulterebbe eccessivamente basso rispetto ai valori di mercato che delle perplessità sull’esperienza e competenza operativa di EURO IB nello specifico settore petrolifero». Non solo: per cercare di convincere Gazprom a prendere parte all’affare, nei giorni seguenti, Savoini scriveva a Dmitry Vadimovich Bakatin, «azionista di riferimento del gruppo Sputnik (holding dell’omonima rete di siti informativi controllati dal Cremlino, n), con pregresse cariche in aziende di stato russe tra cui Gazprom Media Holding Jsc».

Bakatin «si impegnava a intercedere presso il ceo (amministratore delegato, ndr) di Gazprom», è scritto negli atti dell’inchiesta di Milano.

La demenziale ipotesi cavalcata dagli uomini di Salvini in parlamento e nei giornali governativi (una trattativa creata ad arte dall’Espresso e da Meranda) perché Savoini cercava in autonomia di convincere Gazprom a partecipare all’operazione? Savoini forse tramava contro sé stesso? E come spiega il partito le 40 riunioni tra aprile e luglio documentate dalla Guardia di finanza propedeutiche all’affare leghista? Tra i russi della trattativa, annotano i finanzieri, c’erano anche «Ilya Yakunin (presente al Metropol e legato a un avvocato – politico di Russia Unita, il partito di Putin) Aleksandr Dugin e Andrei Kharchenko «in qualità di rappresentanti di alti esponenti dell’establishment russo, i quali si sarebbero impegnati a favorire la conclusione dell’operazione sia con lo scopo di assicurare un sostegno finanziario al partito italiano Lega Salvini premier sia in vista di una remunerazione economica promessa loro».

L’ombra di Dugin

Ecco dunque spiegata la presenza al tavolo del Metropol di Andrei Kharchenko, agente dei servizi segreti russi nonché collaboratore del filosofo sovranista e ortodosso Dugin. La notizia rilanciata con grande enfasi dalla Lega era già uscita sull’Espresso quasi due anni fa: secondo il partito sarebbe la prova che quello del Metropol è stato un complotto. In realtà è l’ulteriore conferma che quella riunione non era un incontro casuale fra tre russi e tre italiani, come aveva dichiarato inizialmente Savoini (prima della pubblicazione dell’audio), ma un meeting a cui erano presenti di sicuro un agente dei servizi russi e lui, l’ex portavoce di Salvini.

Kharchenko è molto legato Dugin, che i giornali di destra e lo stesso Savoini conoscono molto bene, il suo pensiero e carisma sono molto apprezzati nelle redazioni dei quotidiani sovranisti. L’ultima intervista apparsa proprio su La Verità è il 22 marzo 2022, titolo: «È una guerra alle oligarchie mondiali».

Il fatto che il russo Kharchenko fosse seduto con Savoini al tavolo del Metropol certifica che all’incontro hanno preso parte figure di primo piano del cerchio di potere di Putin. La spia russa ha viaggiato spesso con il filosofo idolo dei sovranisti, italiani e europei. Per esempio, come hanno scritto già diversi giornali internazionali, ha usato il passaporto di stato nel novembre 2016 per recarsi ad Ankara (Turchia) insieme a Dugin, tra gli ideologi dell’annessione della Crimea e della guerra contro l’Ucraina.

Pochi giorni prima avevano incontrato in Crimea un consigliere del presidente turco Erdogan. Kharchenko, inoltre, lavora per la fondazione Eurasia di Dugin. Il papà di Dugin era ufficiale del Kgb, mentre lui è stato consigliere di Sergei Naryshkin, diventato numero uno dei servizi segreti.

Dunque i rapporti tra Savoini, Dugin e Kharchenko sono nati ben prima che l’avvocato italiano Meranda entrasse in scena. Uno degli ultimi incontri tra Savoini e Dugin risale a un convegno del giugno 2019. In quell’occasione l’intellettuale putiniano ha detto di conoscere Salvini «personalmente, credo che sia il miglior leader dell’Europa nuova, è l’uomo del futuro».

Al suo fianco, nonostante il caso Metropol deflagrato, un Savoini sorridente. Nonostante tutti questi fatti, la Lega ora sostiene che Savoini sia la vittima di un grande complotto ordito da giornalisti e faccendieri. Ma la verità, come scrive il tribunale e sanno anche nel governo, è che la trattativa c’è stata. E questa operazione leghista ha un unico obiettivo: cancellare ricordi moscoviti imbarazzanti per l’attuale vicepremier Salvini. (1. continua)

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